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Personaggi Storici

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Hellas Army
view post Posted on 31/8/2006, 18:43 by: Hellas Army     +1   -1




CECCO ANGIOLIERI

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Cecco Angiolieri nasce a Siena attorno al 1260, da una ricca famiglia di banchieri; si hanno poche notizie sulla sua vita, che comunque fu piuttosto movimentata e violenta.

Sua madre fu monna Lisa de' Salimbeni, appartenente dunque a una delle più nobili, cospicue e potenti famiglie del Comune; suo padre Angioliero, a sua volta figlio di quell'Angioliero detto Solàfica (cioè Serafica) che fu per alcuni anni banchiere di Gregorio IX, era fra le personalità più in vista della vita politica ed economica di Siena. Entrambi entrarono nell'ordine dei Cavalieri di Santa Maria (indicati poi col satirico nome di Frati Gaudenti), del quale potevano far parte anche i coniugati.

In un ambiente così fatto Cecco crebbe e si formò secondo i modi d'allora e volto a impossessarsi della cultura vigente (in particolar modo le arti del trivio e del quadrivio), come rivela e documenta la sua produzione poetica. Milita come alleato dei Fiorentini contro Arezzo nel 1288, e qui probabilmente conosce Dante, che sfida a una tenzone di sonetti. Nel 1281 era fra i senesi che militavano contro i ghibellini asserragliati nel castello di Turri di Maremma, e fu più di una volta multato per essersi allontanato dal campo senza la dovuta licenza. Lo troviamo ancora colpita da multe in città l'anno successivo (1282), ed esattamente l'11 luglio, per essere stato trovato ancora in giro di notte dopo il terzo suono della campana del Comune. Altra multa gli fu comminata nel 1291 in circostanze analoghe.

Sono questi gli anni ai quali risale pressoché per intero la sua produzione poetica, almeno quella che ci è pervenuta. Dovrebbe esser questo anche il periodo in cui un oscuro rimatore, un certo Simone, si volge a lui come a maestro (son. 112) e in cui fiorisce l'amicizia (che poi doveva dimostrarsi assurda) con Dante Alighieri. Non è improbabile che i due si fossero conosciuti anche di persona in occasione della guerra contro Arezzo, anzi documento probante ne potrebbe essere il son. 109 (Lassar vo' lo trovare di Becchina), inviato da Cecco a Dante fra il 1289 e il 1294, nel quale si parla d'un vanesio e vile " mariscalco " certamente noto a entrambi e di entrambi oggetto di riso (Amerigo di Narbona, anch'egli fra i combattenti della guerra d'Arezzo). Anteriore al 1293-1294 sarà anche da tenere il secondo episodio di questa amicizia (son. 110), riguardante certe troppo sottili e compiaciute accuse di incoerenza rivolte da Cecco al sonetto dantesco Oltre la spera prima che questo fosse incluso nell'ordito della Vita Nuova (al cap. XLI); mentre il terzo episodio, che denuncia inequivocabilmente la violenta frattura fra i due e che è documentato dal son. 111 (Dante Alighier, s'i' so' bon begolardo) nella sua tessitura prorompente di sarcastiche contumelie, va fissato al 1303-1304, come risulta dal v. 8: "S'eo so' fatto romano, e tu lombardo ". Si allude certo qui al primo esilio di Dante a Verona presso Bartolomeo della Scala ("e tu lombardo"); ma se ne ricava analoga notizia per Cecco, che doveva essere esule a Roma (o s'eo so' fatto romano), dov'egli secondo una notizia di Celso Cittadini, per altro poco attendibile, sarebbe dimorato in casa del cardinale senese Riccardo Petroni. Purtroppo non ci sono giunti i tre sonetti che Dante verosimilmente avrà scritti in tenzone con quelli ora ricordati dell'Angiolieri. Anche un'altra volta Cecco fu lontano da Siena, e probabilmente per ragioni politiche, dacché egli, per indicare il desiderio di ritornarvi, usa la parola " ribandito ", termine tecnico per significare il richiamo in città di chi ne era stato bandito: ",s'i' veggia '1 dì sia 'n Siena ribandito" (son. 32, 2); ma nulla di più se ne sa. Intanto nel 1302 l'Angiolieri vendeva a un tal Neri Perini del popolo di Sant'Andrea una sua vigna per settecento lire; ed è questo l'ultimo documento d'archivio nel quale Cecco è nominato ancor vivo, perché nel successivo documento che lo riguarda e che è del 25 febbraio del 1313, egli compare come già morto. In esso i numerosi figli di lui, che dunque si era sposato e aveva messo su famiglia, Meo, Deo, Angioliero, Arbolina e Sinione (un'altra figlia, Tessa, era già emancipata), rifiutano l'eredità paterna perché eccessivamente gravata di debiti. Se ne deduce che l'Agiolieri doveva esser morto poco innanzi.

Uomo frivolo e spensierato, disordinato e dissipatore, ebbe come ideale di vita tre cose solamente, la donna, la taverna e il dado (sono parole dello stesso Angiolieri); tuttavia ci ha lasciato un ricco canzoniere, dal quale risalta moltissimo anche il suo romanticismo di vita nell'amore per una Becchina, figlia di un cuoiaio. Nelle sue rime frequente è il motivo dell'odio verso i suoi genitori, velato da un profondo senso di malinconia. Cecco è sicuramente il più noto, e forse anche il più efficace, felice e fortunato rappresentante fra il Due e Trecento di quel genere di poesia, alla quale, con accezione rigorosamente scientifica, dovrebbe essere attribuita la denominazione di giocosa, o più comprensivamente di comico-giocosa, conforme alla mentalità retorica dell'ultimo Medioevo e all'insegnamento delle Poetrie. Una poesia cioè d'argomento e di linguaggio realisticamente quotidiano e dialettale (" comico ") in toni scherzosi e burleschi (" giocoso "; di sernio iocosus, di materia iocosa discettavano i trattati di retorica). Siffatta poesia, pur nei suoi modi e aspetti municipalistici. non è soltanto comunale e toscana, ma, configurata tecnicamente com'essa era e cristallizzata scolasticamente, ricopre tutto il territorio delle letterature romanze, dal francese Rustebeuf allo spagnolo Bernardo Ruiz, dai Carmina buralla a tanti aspetti dei Fabliaux, delle Fratasies, delle Cantigas d'escarnho et de maldizer, ecc. fìno a certe punte addirittura della poesia provenzale. Essa rappresenta il fastidio e la sazietà dei modi aulici assai poveri del senso e del gusto della realtà; si richiama alla vivace varietà della vita in contrapposizione.

Più che autentica poesia, la critica moderna scorge nell'Angiolieri arte, genialità, brio, sbrigliata caricatura..




FRANCESCO GUICCIARDINI

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Francesco Guicciardini nacque da nobile famiglia nel 1483 a Firenze. Dopo aver compiuto studi umanistici e giuridici, nel 1508 sposò Maria Salviati, appartenente a una famiglia di antica nobiltà, che ne rafforzò l'influenza politica. Ebbe una serie di incarichi da parte dello Stato fiorentino, per conto dapprima della Repubblica, poi dei Medici. Questo primo periodo di attività politica va dal 1508 al 1516 ed è segnato da importanti incarichi pubblici: dal 1511 al 1513 Guicciardini fu ambasciatore in Spagna presso re Ferdinando il Cattolico e nel 1514 e 1515 ebbe posizioni di primo piano nell'amministrazione di Firenze. Risalgono a questo periodo le Storie fiorentine, che abbracciano il periodo compreso fra il 1378 e il 1509, e soprattutto il Discorso di Logrogno, uno scritto di teoria politica ove Gucciardini sostiene una riforma in senso aristocratico della Repubblica fiorentina, proponendo un sistema affine a quello veneziano. Tra il 1516 al 1527 Guicciardini lavora per la curia pontificia, al servizio dei papi Medici: prima Leone X, poi Clemente VII. E' lui a tessere le iniziative che portano alla lega di Cognac contro Carlo V. Di questo periodo è il Dialogo del reggimento di Firenze, in due libri, ultimati nel 1526. Guicciardini immagina una discussione svoltasi a Firenze nel 1494, due anni dopo la morte di Lorenzo il Magnifico. Gli interlocutori sono il padre dello scrittore, Piero, Paolantonio Soderini e Pier Capponi, tutti ferventi repubblicani, a cui si contrappone il vecchio Bernardo del Nero, legato al partito mediceo. Quest'ultimo, partendo da un'impietosa analisi dei fatti e non da idee preconcette, dimostra ai tre amici quanto illusoria sia la loro fede repubblicana, sostenendo che il regime democratico presenta più numerosi e gravi difetti di quello monarchico. Bernardo ammette tuttavia la difficoltà di restaurare il potere mediceo nelle circostanze presenti, proponendo in alternativa alla costituzione democratica un governo misto, che preveda un gonfaloniere a vita, un Consiglio Grande per l'elezione dei magistrati, un senato per la preparazione delle leggi e per la trattazione degli affari di maggiore importanza. Emerge sin d'ora la convinzione che in politica non si possono dare delle regole assolute, teorie generali o dottrine sistematiche valide in ogni tempo ed in ogni luogo. Un terzo breve periodo coincide con la restaurazione della Repubblica a Firenze dopo il sacco di Roma, fra il 1527 e il 1530. Costretto alla vita privata per aver servito i Medici, Guicciardini scrive in propria difesa tre orazioni: Consolatoria, Accusatoria, Defensoria. Ritiratosi a Roma, completa la composizione dei Ricordi e compone, nel 1529, le Considerazioni intorno ai Discorsi di Machiavelli sulla prima Deca di Tito Livio. Attraverso un'analisi precisa e rigorosa dell'opera di Machiavelli, Guicciardini cerca di dimostrare che i suoi ragionamenti, in apparenza così serrati e convincenti, sono in realtà infondati ed arbitrari. Il dissenso non si riferisce solo a singoli aspetti della trattazione, ma investe più a fondo, e in generale, i fondamenti stessi della filosofia della storia, su cui Machiavelli basava il suo pensiero. La storia romana non conserva, per Guicciardini, nessun valore esemplare, dal momento che non ci sono, nella storia, leggi e modelli assoluti, che permettano di comprendere e di valutare la realtà. La visione del mondo che ne deriva risulta cosi tutta relativa e frammentaria, senza più riuscire a ricomporsi nella totalità di un sistema teorico capace di offrire criteri certi ed indiscutibili. I Ricordi accompagnano vari periodi dell'attività di Guicciardini diplomatico e uomo politico, nutrendosi di questa lunga e complessa esperienza. Di qui il carattere dell'opera (il titolo significa propriamente "cose da ricordare" e quindi, per estensione, "pensieri", "riflessioni"), che muove dalla realtà per affrontare, con un pessimismo amaro e disilluso, problemi più generali. Si tratta di riflessioni che possono offrire un utile insegnamento ma che non hanno, tuttavia, una validità assoluta, in quanto la realtà non obbedisce a leggi universali, conservando un andamento sempre mutevole e imprevedibile. Di qui deriva anche la struttura del libro, in cui i "ricordi" si susseguono indipendentemente l'uno dall'altro, senza fondersi in un quadro complessivo e unitario, dando vita a una specie di "anti-trattato", in quanto rinunciano a una compiutezza sistematica e totalizzante del discorso. Dopo la caduta della Repubblica di Firenze e la restaurazione del potere mediceo (1530), Guicciardini rientrò a Firenze, ricoprendo varie mansioni per conto dei Medici e di papa Clemente VII, ma dopo il 1534, il nuovo papa Paolo III non gli affidò più incarichi di rilievo. D'altronde il nuovo duca, Cosimo de' Medici, diffidava dell'atteggiamento antimperiale di Guicciardini, cosicché nel 1537 egli preferì ritirarsi nella villa presso Arcetri (Firenze), dove lavorò alla Storia d'Italia, la sua opera più vasta e impegnativa. Morì nel 1540 senza aver potuto rivedere la redazione definitiva dell'opera. Scritta fra il 1537 e il 1540, la Storia d'Italia abbraccia gli avvenimenti compresi fra il 1492 (anno della morte di Lorenzo il Magnifico) e il 1534 (anno della morte di Clemente VII), comprendendo i fatti più luttuosi della storia recente - dalla calata di Carlo VIII (1494) al sacco di Roma (1527) - in cui si consuma la "ruina d'Italia", che rappresenta in centro di interesse principale dell'autore. L'opera muove da un'impostazione storiografica nuova e moderna, che supera decisamente l'angusta prospettiva municipale della storiografia tradizionale: lo sguardo dello storico esce ormai dai confini di Firenze per abbracciare le vicende dell'Italia nel suo insieme, a loro volta inserite e spiegate nel quadro della grande politica europea, in cui la nostra penisola svolgeva un ruolo allo stesso tempo secondario, e tuttavia tragicamente rilevante.




POGGIO BRACCIOLINI

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Nato a Terranuova-in-Valdarno [Arezzo] nel 1380, fu avviato alle lettere da Salutati, fu amico e corrispondente di Bruni e Niccoli. Nel 1403 divenne abbreviatore apostolico a Roma. Come segretario apostolico fu al concilio di Costanza (1414-18) con Giovanni XXIII l'antipapa. Profitto di quest'ufficio per numerosi viaggi alla ricerca di codici antichi. A lui si deve la scoperta di molte orazioni di Cicero (due a Cluny nel c.1415 e sette a Langres nel 1417), delle "Istituzioni di oratoria" di Quintilianus, trovate a San Gallo nel 1416-7, de "La natura delle cose" di Lucretius, delle "Selve" di Statius, delle "Puniche" di Silius Italicus. Con la deposizione di Giovanni XXIII perse il suo incarico. Nel 1418- 1422 dimorò in Inghilterra, poi fu di nuovo a Roma. Nel 1453-58 fu a Firenze come cancelliere della repubblica. Qui morì nel 1459.
Bracciolini aveva uno spirito inquieto, arguto, polemico, a volte decisamente iroso. Seguace della morale attiva dell'umanesimo fiorentino. In lui tuttavia è avvertibile una vena di pessimismo. Non tanto nei già citati dialoghi L'avarizia (De avaritia, 1428-9) e Contro gli ipocriti (Contra hypocritas, 1448). Quanto soprattutto in quelli intitolati L'infelicità dei principi (De infelicitate principum, 1440), La varietà della fortuna (De varietate fortunae, 1448), La miseria della condizione umana (De miseria humanae condicionis, 1455). Bracciolini ha scritto anche delle Storie del popolo fiorentino (Historiae florentini populi, 1454-1459) che furono tradotte in italico dal figlio Iacopo. Numerose e vigorose le "invettive", tra cui alcune contro Valla. Vivace l'epistolario.
Il Libro di facezie (Liber facetiarum, 1438-1452) è una raccolta di motti, facezie e novellette. Vi è un uso sicuro della lingua latina, modellata sull'esempio ciceroniano ma con i modi, le forme e i ritmi vicini alla lingua parlata fiorentina. E' la cosa più viva e vivace di Bracciolini, tra i migliori prodotti del primo umanesimo.
Come umanista Bracciolini sostenne che la filologia è più passione e partecipazione che tecnica e metodo. A lui, in combutta con Niccoli, si deve l'introduzione della scrittura libraria detta "umanistica", che subito si impose e caratterizzò anche esteriormente i prodotti della nuova cultura.

NICCOLO' MACHIAVELLI

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Niccolò Machiavelli nacque a Firenze il 3 maggio 1469.

Nel 1498, a 29 anni, fu eletto Segretario della Repubblica, un incarico che gli fornì l'occasione di viaggiare spesso. Nel 1500, infatti, fu inviato presso Luigi XII di Francia e, nel 1502, andò in legazione presso Cesare Borgia.

In questo periodo si batté per dotare la Repubblica Fiorentina di armi proprie. Dopo aver preso parte ad alcune ambascerie in Tirolo, a Monaco, in Francia e presso il conclave succeduto alla morte di papa Pio III, venne condannato ad un anno di confino: un effetto degli eventi che seguirono la decisione della Lega Santa di ripristinare la dinastia medicea a Firenze (Dieta di Modena, 1512). Fu questo uno dei suoi periodi più difficili, anche a causa del carcere e delle torture che un'accusa di tentata congiura antimedicea lo portò a subire.

Nella seconda metà dell'anno compose "Il Principe", opera che Machiavelli offrì a Lorenzo de' Medici (nipote del Magnifico) tra il settembre del 1515 e lo stesso mese del 1516. Nel 1520, il cardinale Giulio de' Medici gli diede l'incarico di scrivere le "Istorie Fiorentine" per conto dello Studio pisano. Gli otto libri delle Istorie furono consegnati un anno dopo al nuovo committente, Clemente VII.

Nel 1526, Francesco Guicciardini, suo intimo amico, tentò di mettere in scena una replica della sua commedia "La Mandragola", che però si risolse in un nulla di fatto. In seguito all'indebolimento di papa Clemente VII dopo il sacco di Roma (1527), a Firenze venne restaurata la Repubblica, ma Machiavelli non fu chiamato a ricoprirvi incarichi.

Morì il 21 giugno dello stesso anno.
 
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