La Compagnia della teppa
Nell'Ottocento un gruppo di ricchi annoiati girava per Milano commettendo azioni vandaliche: un festino fu loro fatale
In milanese teppa significa muschio.
A Milano, intorno al 1818, sorse una congrega dedita ad atti di vandalismo, scherzi e soprusi che fu chiamata Compagnia della teppa, perché usava ritrovarsi nelle gallerie che corrono sotto il Catello Sforzesco, le cui pareti sono appunto ricoperte di muschio. Nelle fila della Compagnia si poteva trovare ogni genere di persona: delinquenti accanto a studenti, giovani in cerca di emozioni e orchestrali della Scala, artisti di poco valore e contestatori politici. La polizia austriaca sopportò la combriccola anche quando gli scherzi si spingevano oltre i limiti, provocando seri danni a cose e persone; addirittura una volta i «teppisti» arrivarono al punto di gettare tra le acque del Naviglio la garitta di una guardia croata che si era addormentata lì dentro.
Nel 1821, dopo la cosiddetta «avventura dei nani» a Villa Simonetta (ancora oggi la si può vedere tra via Stilicone e via Principe Eugenio), l'autorità austriaca intervenne e, non potendo sopportare oltre, decise di arrestare tutti i componenti della banda, che erano circa una sessantina. Cosa successe quel giorno? Si racconta che il capo della compagnia, un certo Ciani, chiamato da tutti Baron Bontemp, ricco di famiglia, affittò Villa Simonetta ad uso dei suoi compagni per trasformare le noiose serate in feste a base di cibi e divertimenti lussuriosi. Una sera di quei giorni di eccessi, i componenti della teppa si sparsero per Milano alla ricerca di nani e gobbi; con invitanti promesse di una serata di follie in compagnia di belle donne dai facili costumi, reclutarono le persone da portare alla villa. Presto raccolsero quasi tutti i deformi della città tra i quali l'allora famoso Gasgiott, il capo dei nani, l'uomo con più bitorzoli sulla testa che si fosse mai visto, brutto oltre ogni limite, violento e sessuomane come nessun altro. Per meglio organizzare la serata, i teppisti rastrellarono le sartorie teatrali della città alla ricerca di abiti eleganti che conferissero un fare dignitoso ai corpi sgraziati dei nani. Per quanto riguarda le ragazze, il reclutamento si svolse nei pressi del cosiddetto Monte Tabor, una specie di parco dei divertimenti dove, su giostre simili alle odierne montagne russe, l'ebbrezza della velocità favoriva approcci fisici tra le giovani coppie. Le frequentatrici femminili del parco erano ragazze di buona famiglia con una sana voglia di divertimenti alternativi a quelli concessi dalla morale dell'epoca. Alle libertine fanciulle fu promessa una serata in compagnia di uomini di classe, tra cibi raffinati e danze coinvolgenti. Arrivate alla villa le sprovvedute vennero fatte sedere a una tavola riccamente imbandita. Quando si stava cominciando a mangiare, da un salone attiguo vennero fatti entrare i «signori». Le donne, inizialmente sorprese dalle inaspettate figure, cominciarono ad urlare quando questi si avvicinarono con intenti maliziosi. I nani, convinti dalle promesse della Compagnia che le ragazze fossero consenzienti, si avventarono su di loro con cupidigia e violenza. Le ragazze cominciarono a fuggire in ogni direzione mentre gli omiciattoli le seguivano sempre più smaniosi. Alla vista di questo spettacolo i ragazzi della teppa si divertivano come matti. Il tutto, però, degenerò presto in una lotta a colpi di unghie e schiaffi. Quando i nani diventarono realmente pericolosi, i ragazzi della Compagnia furono costretti a intervenire per salvare le fanciulle. Cominciarono a volare pugni e coltellate. Una ragazza, fortunosamente sfuggita alla baraonda, riuscì ad avvertire la polizia che arrivò giusto in tempo per fermare la rissa ed evitare che qualcuno si facesse male sul serio. Le forze dell'ordine probabilmente avrebbero lasciato correre anche questa bravata, ma, il caso volle, che tra le fanciulle raggirate ci fosse anche una nobile di casa Traversi, molto amica del viceré austriaco. La situazione fu aggravata dal fatto che la teppa aveva già manifestato sentimenti antiaustriaci in diverse situazioni e il suo impegno politico stava aumentando di giorno in giorno. La Compagnia fu così sciolta e molti dei suoi componenti furono allontanati dalla città: alcuni furono costretti a partire per il servizio militare, altri vennero esiliati in Piemonte o in Svizzera. Da allora il termine teppa indica in senso generico feccia o gentaglia; teppista invece chi commette azioni violente o vandaliche.
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