SCUSATE RAGAZZI...
nel leggere con attenzione cio' che e' stato riportato nella vostra sezione
ho ritrovato nel mio computer questo articolo riportato dall' Espresso in
data 25 marzo del 2011..e la rabbia sale..GIUSTIZIA PER PAOLO!!!
Paolo Scaroni è un semplice tifoso bresciano in trasferta a Verona il 24 settembre 2005. Non sa che la sua vita sta per cambiare radicalmente in peggio, non può presagire l’assurdità di una giornata fatta di feroci colpi alla testa, di manganellate, di soprusi. Da persone in divisa. E di lunghissimi giorni silenziosi, in coma, passati sul lettino di un ospedale. L’agghiacciante vicenda narrata dettagliatamente da Paolo Biondani de l’Espresso , è salita alla ribalta delle cronache quando una poliziotta decide di vederci chiaro, di sollevare un tappeto fatto di insabbiamenti, coperture e bugie dei suoi colleghi.
Lo fa dopo aver ascoltato il racconto del ragazzo, quando miracolosamente si sveglia dal coma dopo 64 giorni nonostante la previsione dei medici che non gli davano scampo, se non di continuare a vivere come un vegetale. “Ci sono le prove che sono stato picchiato dalla polizia, da sette poliziotti che hanno fatto di tutto per uccidermi. Quando sono stato ricoverato a Verona non avevo nemmeno un livido sul corpo, ma mi hanno colpito solo alla testa. Volevano farmi male, ma io sono sopravvissuto. Mi hanno rubato la vita e adesso voglio giustizia”, diceva Paolo due anni fa.
E le aule di giustizia si apriranno oggi per il processo ad otto poliziotti della celere di Bologna. A Verona, 25 marzo 2011, dopo ben 4 anni di indagini. “La mia storia è simile a quella di Federico Aldovrandi, Gabriele Sandri, Stefano Cucchi, Carlo Giuliani… La differenza è che io sono ancora vivo e posso parlare“, dice Paolo Scaroni che oggi ha 34 anni e il 100 per cento d’invalidità civile. Paolo Scaroni ha un piede rimasto paralizzato, la voce sconnessa dovuta ai postumi del trauma e la memoria perduta in parte:
“Oggi la cosa che mi fa più male è che mi hanno cancellato l’infanzia e l’adolescenza. Ho perso tutti i ricordi dei miei primi vent’anni di esistenza. Sono molto legato ai familiari di Aldovrandi. Suonava il clarinetto come me, nelle nostre vicende ci sono coincidenze incredibili. Io sono stato massacrato alle otto di sera, lui è stato ammazzato la stessa notte, sei ore dopo. Ora vogliamo fondare un’associazione: familiari delle vittime della polizia”. Gli altri particolari raccapriccianti sulla triste vicenda, documentati con foto e video dall’Espresso e ricostruiti dalle indagini, riguardano i pestaggi a 32 tifosi, tutti colpiti alla schiena, ad una ragazza con il seno tumefatto e ad altri due giovani con trauma cranico e mani fratturate.
E poi le testimonianze dei macchinisti e del personale di un treno che non combaciano con la relazione ufficiale firmata da F. M., dirigente della questura di Verona, secondo cui la colpa delle cariche sarebbe tutta dei tifosi che “occupavano il primo binario bloccando la testa del treno”, con la pretesa di “far rilasciare due arrestati” e che poco dopo avrebbero aggredito i poliziotti con “cinghie, aste di ferro, calci, pugni e scagliando massi presi dai binari“. Tutto falso, secondo i testimoni: “I tifosi erano assolutamente tranquilli, noi eravamo pronti a partire: non ho visto nessun atto di violenza, provocazione o lancio di oggetti“, dichiarano i macchinisti.
La verità dei fatti è confermata anche dai funzionari presenti della Digos di Brescia, che la stessa notte cominciano a raccogliere testimonianze e referti dei tifosi feriti. Come ogni storia all’italiana fatta di tagli e insabbiamenti la poliziotta di Verona scopre che i filmati dei suoi colleghi, che in teoria dovrebbero aver ripreso tutti gli scontri, si interrompono proprio nei minuti in cui Paolo è stato massacrato. Peggio: nella versione consegnata ai magistrati è stato tagliato il commento finale di due agenti. “Adesso il questore ci incarna…“. “Ascolta, tu prova a guardare subito le immagini di quando il…”
In questi anni la causa di Paolo Scaroni è stata sostenuta dagli amici del suo gruppo, Brescia 1911, autotassatosi per pagargli le spese legali e spesso in prima linea in curva con lo striscione “Giustizia per Paolo”. Ma l’avvocato di parte civile, Alessandro Mainardi, è preoccupato: “Rischiamo una prescrizione che sarebbe vergognosa. Se non c’è certezza della pena per le forze di polizia, come si può pretendere che i cittadini abbiano fiducia nella giustizia? Sulle responsabilità individuali siamo tutti garantisti. Ma qui, dopo tante menzogne, una cosa è certa: un ragazzo inerme è stato ridotto in fin di vita da una squadraccia che indossa ancora la divisa. Uno Stato civile avrebbe almeno risarcito i danni. Invece, dopo cinque anni, il ministero dell’Interno non si è ancora degnato di offrire un soldo“.
Paolo afferma amaramente: “Nessuno potrà ridarmi la memoria o il lavoro ma il mio processo deve fermare i poliziotti violenti: a scatenare la parte peggiore è la sicurezza di farla franca“. Tre mesi fa ha scritto al ministro Roberto Maroni, ma non ha ricevuto risposta. Questo è il succo della missiva, che dovrebbe essere universalmente condivisibile con i fatti (e non solo a parole), in uno Stato di Diritto, mandata al Ministero dell’Interno: “La violenza va condannata e l’omertà va combattuta prima di tutto da chi rappresenta la legge“.
(fonte l’Espresso)
Attached Image: PAOLO