VIVERE ULTRAS forum: I colori ci dividono, la mentalità ci unisce! (dal 23/01/04)

Personaggi Storici

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BustoBoy
view post Posted on 27/8/2006, 17:12     +1   -1




Gabriele d'Annunzio (Pescara 12 marzo 1863 - Gardone Riviera 1 marzo 1938)

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Poeta e drammaturgo italiano, simbolo del decadentismo ed eroe di guerra, oltre a quella letteraria ebbe anche un'eccentrica carriera politica.

Oltre ad essere stato affascinato dalle opere e dalla vita del poeta, vorrei citare una breve cronistoria dal '14 in poi, dalla causa interventista ai legami con il fascismo e la "rivalità" con Mussolini, passando per l'impresa Fiumana.


1914
24 luglio: inizio delle ostilità
13 agosto: pubblica sul «Figaro» L'Ode pour la Résurrection latine, pregna di solidarietà verso la causa alleata.
30 settembre: dopo aver visitato il fronte francese a Soissons, d'Annunzio pubblica sul «Journal» un articolo interventista.
1915
15 marzo: In compagnia di Ugo Ojetti, si reca sugli avamposti di Reims e invia le sue testimonianze al «Corriere della Sera» perorando la causa interventista
3 maggio: D'Annunzio lascia il suolo francese per tornare in Italia
5 maggio: Orazione per la sagra dei Mille per l'inaugurazione del monumento garibaldino di Quarto, con cui inizia la serie di discorsi a favore della causa interventista del 'maggio radioso', poi raccolti in Per la più grande Italia
7 maggio: discorso agli esuli dalmati a Genova
12 maggio: orazione all'Hotel Regina di Roma
13 maggio: Arringa al popolo di Roma in tumulto
17 maggio: ultima orazione romana dalla ringhiera del Campidoglio
24 maggio: Alla dichiarazione di guerra italiana, d'Annunzio si arruola, benché dispensato per motivi di età. Il Poeta si trasferisce a Venezia, assegnato come tenete di complemento al quartier generale del Duca d'Aosta, comandante della Terza Armata
Luglio: missione aerea sull'Adriatico
21 luglio: discorso ai marinai scampati all'affondamento dell'incrociatore Amalfi
7-28 agosto: volo su Trieste
18-19 agosto: siluramento nel Golfo di Panzano
20 agosto: volo da Asiago a Trento
Ottobre: stanziatosi presso la Casetta Rossa sul Canal Grande, d'Annunzio prende parte a una serie di escursioni sul fronte e sul Carso
1916
16 gennaio: durante un atterraggio di fortuna, mentre è in volo alla vota di Zara, d'Annunzio batte la tempia destra contro la mitragliatrice di prua perdendo per sempre l'uso dell'occhio destro
Gennaio-settembre: d'Annunzio trascorre a Venezia nove mesi in convalescenza, assistito dalla figlia Renata
Settembre: nonostante le perplessità dei medici, d'Annunzio torna al fronte, fregiato della sua prima medaglia d'argento
13 settembre: bombardamento aereo delle posizioni militari di Parenzo
10-12 ottobre: d'Annunzio si fa assegnare alla XLV divisione fanteria e partecipa all'attacco del Veliki e del Faito
Ottobre-novembre: VIII e IX battaglia dell'Isonzo; d'Annunzio merita la seconda medaglia d'argento e la promozione a capitano
1917
Gennaio-aprile: d'Annunzio riceve la Croix de guerre e rimane alcuni mesi in congedo
Aprile: d'Annunzio ottiene il comando della VIII Squadriglia da bombardamento del IV raggruppamento nel campo di aviazione della Comina. Viene insignito della terza medaglia d'agento
23 maggio: azione di bombardamento in appoggio all'avanzata della Terza Armata
25 maggio: bombardamento dell'alto Medeazza
28 maggio: d'Annunzio partecipa all'azione dei Lupi di Toscana per conquistare la Quota 28 al fianco del maggiore Randaccio, che cade fra le sue braccia in battaglia; in suo onore è l'orazione funebre La corona del fante
3-4 agosto: volo su Pola per bombardare le posizioni nemiche
8-9 agosto: all'urlo Eia Eia Eia Alalà!, d'Annunzio ripete il bombardamento di Pola e guadagna la promozione a maggiore
21-23 agosto: d'Annunzio partecipa all'offensiva aerea su Chiapovano, sulla Bainsizza e sul rovescio dell'Hermada. Ferito al polso, viene premiato con la quinta medaglia d'argento commutata nella croce di cavaliere dell'ordine militare di Savoia
4-5 ottobre: bombardamento delle Bocche di Cattaro che gli vale la prima medaglia di bronzo
24 ottobre: benché febbricitante, d'Annunzio pronuncia numerosi discorsi per rincuorare gli eserciti dopo la sconfitta di Caporetto
1918
10-11 febbraio: d'Annunzio colpisce l'opinione pubblica con 'La Beffa di Buccari': il siluramento di un piroscafo austriaco nella baia di Buccari, a bordo di tre Mas, con una trentina di uomini guidati da Costanzo Ciano
Marzo: d'Annunzio assume il comando della I Squdriglia navale di siluranti aeree e partecipa con Ciano a nuove missioni navali
Maggio-Luglio: d'Annunzio forma la Squadra San Marco e partecipa ad azioni di attacco e ricognizione, come il bombardamento di Pola
2 agosto: primo tentativo di volo su Vienna
8 agosto: secondo tentativo di volo su Vienna
9 agosto: d'Annunzio raggiunge in volo Vienna, lanciando sulla capitale nemica 40.000 volantini con un suo testo italiano e altri 350.000 con un testo di Ojetti in lingua tedesca. In entrambi i messaggi è contenuta una provocatoria esortazione alla resa. L'impresa gli vale la medaglia d'oro, che viene commutata nella promozione a ufficiale dell'Ordine militare di Savoia
24 ottobre: inizia la grande offensiva lanciata dal generale Diaz che si concluderà con la la battaglia di Vittorio Vento. Durante le operazioni, d'Annunzio conduce la sua squadriglia tre volte sul nemico. Le ultime imprese gli valgono la promozione a tenente colonnello e la medaglia d'oro, consegnatagli personalmente dal Duca d'Aosta
Novembre: fine delle ostilità; d'Annunzio, nel corso della guerra viene decorato con sei medaglie d'argento, due d'oro, una di bronzo, la Croce di Ufficiale dell'Ordine Militare di Savoia e tre promozioni per meriti di guerra.Tuttavia, solleva l'opinione pubblica contro le decisioni prese da Wilson e dagli Alleati alla Conferenza di Parigi, ribadendo l'italianità di Fiume e della Dalmazia

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1919
14-15 gennaio: d'Annunzio pubblica sulla «Gazzetta di Venezia», sull'«Idea nazionale» e sul «Popolo d'Italia» una Lettera ai Dalmati pregna di ideali irredentisti
11 marzo: In onore della laurea conferitagli honoris causa dalla Sapienza di Roma, il Poeta rivolge una Lettera agli studenti dalmati sull'«Idea nazionale»
4 maggio: d'Annunzio pronuncia una violenta invettiva contro Wilson
6 maggio: orazione ai reduci dalla ringhiera del Campidoglio
12 maggio: discorso agli aviatori nel campo di Centocelle
26 maggio: L'«Idea nazionale» pubblica l'opuscolo L'italia alla colonna e la vittoria col bavaglio, discorso dannunziano che il governo impedì all'Augusteo il 24 maggio
28 maggio: orazione irredentista in Piazza delle Terme a Roma
9 giugno: attraverso l'articolo Pentecoste d'Italia, pubblicato sul «Popolo d'Italia», viene ribadita l'italianità di Fiume
23 giugno: d'Annunzio scrive per l'«Idea nazionale» Il comando passa al popolo
26 giugno: con un'altro intervento sull'«Idea nazionale», L'erma bifronte, d'Annunzio condanna il governo italiano
1 luglio: Disobbedisco, nuovo articolo irredentista
9 luglio: L'ala d'Italia è liberata, discorso di Centocelle
11 settembre: d'Annunzio in divisa da tenente colonnello dei Lancieri di Novara, a bordo di una Fiat tipo 4, raggiunge a Ronchi un gruppo di ufficiali dell'esercito, decisi a liberare Fiume
12 settembre: alla testa di un esercito di 2000 uomini, d'Annunzio viene accolto a Fiume come liberatore, occupando la città in nome del Regno Italiano. La cittadinanza lo nominza governatore
13 settembre: il generale Pittaluga, aquartierato con le truppe alleate a Fiume, cede i poteri al Comandante. Incomincia la reggenza dannunziana di Fiume
1920
8 settembre: Il Comandante approva il Disegno di un nuovo ordinamento dello Stato libero di Fiume ovvero Carta del Carnaro, radatta da Alceste De Ambris
12 novembre: Il Trattato di Rapallo decreta l'indipendenza di Fiume e occasiona l'ultimatum del generale Caviglia per lo sgombero dei legionari da Fiume
26 novembre: due giorni dopo la scadenza dell'ultimatum viene attaccato il palazzo del govenro di Fiume, dove il Comandante viene lievemente ferito
26 dicembre: Nel Messaggio agli Italiani, d'Annunzio dichiara e giustifica la resa dopo gli scontri del 'Natale di Sangue' fra legionari ed esercito regolare
28 dicembre: d'Annunzio rassegna le dimissioni dal Governo provvisiorio della Reggenza
1921
18 gennaio: d'Annunzio lascia Fiume dopo numerosi discorsi di commiato dai legionari
1922
Gennaio: d'Annunzio appoggia la Federazione Italiana dei Lavoratori del Mare del sindacalista Giuseppe Giulietti, che verrà fagocitata dal regime
27-28 maggio: d'Annunzio ospita Georgij Vasil'evic Cicerin, commissario sovietico agli affari esteri
3 agosto: discorso dal balcone di palazzo Marino a nazionalisti e fascisti
13 agosto: a causa di una misteriosa caduta dalla finestra sfuma l'incontro di d'Annunzio con Francesco Saverio Nitti e Benito Mussolini per la pacificazione nazionale
28 ottobre: d'Annunzio assiste incredulo alla marcia su Roma
2 novembre: Il Comandante pubblica sulla «Patria del popolo», organo dei legionari, il messaggio L'alto monito di Gabriele d'Annunzio alla giovinezza italiana
1924
Isolato e vigilato da Mussolini al Vittoriale, d'Annunzio riceve il titolo nobiliare di Principe di Montenevoso, e si fa donare la nave Puglia e il MAS di Buccari.
1933
9 ottobre: d'Annunzio scrive una lettera a Mussolini, avversando gli accordi che il Duce stringe con la Germania di Adolf Hitler
1934
12 luglio: dopo l'incontro fra Hitler e Mussolini a Venezia, d'Annunzio si affatica per l'interruzione dei rapporti italo-tedeschi sia per via epistolare che di persona; seguirà anche una Pasquinata dissacratoria contro il dittatore tedesco
1937
30 settembre: ultimo incontro con Mussolini: d'Annunzio raggiunge il Duce alla stazione di Verona, per dissuaderlo dall'alleanza con la Germania nazista


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Cereal killer_87
view post Posted on 27/8/2006, 19:18     +1   -1




premetto che non è farina del mio sacco

EMILIANO ZAPATA

Nato l'8 agosto del 1879 nel villaggio di Anenecuilco, frazione di Villa de Ayala, Stato di Morelos, Emiliano è il penultimo dei dieci figli di una delle tante famiglie impoverite dalle haciendas, le grandi aziende agricole divoratrici di terre che sono l'asse della modernizzazione promossa dal dittatore Porfirio Díaz. Nel Morelos, terra di paradossi e di contraddizioni, si scontrano allora due civiltà: quella degli imprenditori capitalisti imbevuti di positivismo e quella degli indigeni legati alla terra e al villaggio (pueblo) che conservano uno spirito indomito e un forte senso della solidarietà.
Emiliano, che parla spagnolo e nahuatl, la lingua degli antichi messicani, riceve l'istruzione elementare fino a quando, rimasto orfano all'età di 16 anni, comincia a lavorare distinguendosi ben presto come buon agricoltore e gran conoscitore di cavalli. Dotato di una mente inquieta e di una natura indipendente, non tarda a conquistarsi una posizione di prestigio all'interno della comunità, diventandone al tempo stesso la sua memoria vivente. All'inizio del secolo, lo troviamo chino su antichi documenti coloniali che dimostrano la legittimità delle rivendicazioni del pueblo.
Negli stessi anni, conosce due personaggi che giocheranno un ruolo importante nella sua vita: Pablo Torres Burgos e Otilio Montaño. Entrambi sono maestri di scuola, entrambi divoratori di letteratura incendiaria. Il primo gli mette a disposizione la propria biblioteca dove vi può leggere anche "Regeneración", la rivista clandestina dei fratelli Flores Magòn; il secondo lo introduce alla letteratura libertaria e in particolare all'opera di Kropotkin.
Il battesimo politico avviene nel febbraio 1909 quando, eletto sindaco di Anenecuilco, Zapata appoggia il candidato a governatore dell'opposizione, Patricio Leyva. La vittoria dell'aspirante ufficiale, Pablo Escandón, provoca ad Anenecuilco dure rappresaglie e nuove perdite di terre. Verso la metà del 1910, dopo un'infruttuosa intervista con il presidente Díaz e vari tentativi di risolvere i problemi del pueblo per la via legale, Zapata e i suoi cominciano a occupare e a distribuire terre.
Nel frattempo, il 20 novembre 1910, un gruppo di liberali democratici ostili a Díaz, capeggiato da Francisco Madero, fa appello alla resistenza contro la dittatura, promettendo fra l'altro la restituzione delle terre usurpate. Nel Morelos i tempi sono maturi: passato un primo momento di esitazione, Zapata si lancia nella lotta armata.
Dopo la morte di Torres Burgos per mano dei federales, egli diventa il capo indiscusso della rivoluzione del sud. Appoggiato dai pueblos, riesce a tenere in scacco le truppe governative fino alla rinuncia del dittatore nel maggio del 1911. Il 7 giugno ha un deludente incontro con Madero il quale, venendo meno alle promesse, si mostra insensibile alle rivendicazioni contadine. L'inevitabile rottura si produce in novembre quando, ormai esasperato, Zapata riprende le armi, lanciando il Plan de Ayala dove si definisce Madero un traditore e si decreta la restituzione delle terre. La rivoluzione del sud ha ormai una bandiera: "sono disposto a lottare contro tutti e contro tutto" scrive Zapata a Gildardo Magaña, suo futuro successore.
Ha inizio una guerra lunga e difficile, prima contro Madero, poi contro Huerta e infine contro Carranza. I soldati dell'Ejército Libertador del Sur combattono in unità mobili di due o trecento uomini comandati da un ufficiale con il grado di "colonnello" o "generale". Applicando la tecnica della guerriglia, colpiscono i distaccamenti militari per poi abbandonare la carabina 30/30 e scomparire nel nulla. Invano, i federales mettono il Morelos a ferro e fuoco: gli zapatisti sono inafferrabili.
Verso la fine del 1913, grazie anche alle spettacolari vittorie di Villa al nord, l'antico regime traballa. Dopo la fuga di Huerta (15 luglio), nell'autunno 1914 si celebra ad Aguascalientes una Convenzione tra le differenti frazioni rivoluzionarie che però non riescono a trovare l'accordo. Tra la costernazione dei presenti, il delegato zapatista, Antonio Díaz Soto y Gama, strappa la bandiera nazionale proclamando la necessità di "farla finita con tutte le astrazioni che opprimono il popolo".
In dicembre, in seguito alla rottura con Carranza, che rappresenta la borghesia agraria del nord, le truppe contadine di Villa e Zapata entrano trionfanti a Città del Messico inalberando i vessilli della vergine della Guadalupe, patrona dei popoli indigeni. Gli abitanti della capitale hanno paura dell'Attila del Sud, però i rivoluzionari non commettono saccheggi né atti di violenza. In un gesto poi diventato famoso, Zapata rifiuta l'invito a sedere sulla poltrona presidenziale: "non combatto per questo. Combatto per le terre, perché le restituiscano". E torna nel Morelos, territorio libero dopo la fuga dei proprietari terrieri e dei federales.
Nel 1915, prende forma quel grande esperimento di democrazia diretta che è stato chiamato la Comune di Morelos. Affiancati da una generazione di giovani intellettuali e studenti provenienti da Città del Messico, gli zapatisti distribuiscono terre e promulgano leggi per restituire il potere ai pueblos. Tuttavia il loro destino si gioca più a nord, nella regione del Bajío, dove le strepitose vittorie di Obregón su Villa capovolgono nuovamente la situazione. A quel punto, la rivoluzione contadina entra in una fase di declino progressivo da cui, salvo per brevi momenti, non si riprenderà più. Quasi invincibile sul piano militare, Zapata è attirato in un'imboscata - lui, che aveva sempre temuto il tradimento - e assassinato il 10 aprile 1919, presso l'hacienda di Chinameca. Non ha compiuto 40 anni.
La storia non finisce qui. Ancora forti, gli zapatisti eleggono loro capo Gildardo Magaña, giovane e abile intellettuale con doti di conciliatore. Questi continua la lotta fino al 1920, quando aderisce al Plan de Agua Prieta, lanciato contro Carranza da un gruppo di generali del Sonora. Ormai stremati, i guerriglieri del Morelos accettano di deporre le armi in cambio della promessa di una riforma agraria. La pace è fatta: sorge così un regime che considera Zapata tra i propri fondatori accanto a coloro che lo hanno assassinato. Tuttora i militari messicani - gli stessi che combattono i neozapatisti del Chiapas - venerano il caudillo del sur, il cui ritratto si può vedere in ogni caserma.
Quale può essere, oggi, il bilancio dello zapatismo? Più volte, gli storici si sono chiesti se quella del Morelos sia stata un'autentica rivoluzione sociale. Alla domanda molti, sia marxisti che liberali, hanno risposto di no, etichettandola come una ribellione conservatrice, localista e perfino reazionaria. Tuttavia, è facile osservare che il movimento andava oltre la semplice rivendicazione delle terre. Possedeva, ad esempio, una chiara concezione del potere e del governo. Secondo il caudillo del sur, la nazione si doveva costruire a partire da un'organizzazione decentralizzata di pueblos liberamente federati, sovrani ed autonomi nelle decisioni politiche, amministrative e finanziarie. Altro aspetto importante era la preminenza delle autorità civili su quelle militari, una concezione assai avanzata per il Messico di quel tempo.
Al contrario di quanto sostengono i suoi detrattori, Zapata comprese anche la necessità di non rimanere isolato. Per questo mandò rappresentanti all'estero (tra gli altri, Octavio Paz Solorzano, padre del poeta) e aprì le porte del Morelos a tutti coloro che erano disposti a unirsi alla sua lotta. Nel 1913, chiamò anche Ricardo Flores Magón, allora esiliato negli USA, il quale, per motivi mai del tutto chiariti, non poté accettare l'invito.
Combinazione contraddittoria di passato, presente e futuro, il movimento zapatista marca l'irruzione delle civiltà indigena nel Messico contemporaneo: la sua sconfitta ha solo rimandato il problema. A fine secolo, Zapata cavalca di nuovo, rivendicando i diritti dei più piccoli.

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Ionio
view post Posted on 28/8/2006, 00:16     +1   -1




Giovanni Falcone

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Salto la biografia e vado a ciò che mi ha spinto ad inserirlo nel thread, quanto riportato è tratto dal web per un maggiore dettaglio espositivo.






...Il 29 luglio 1983 il consigliere Chinnici, a capo del team di magistrati di cui fanno parte Falcone, Barrile e Paolo Borsellino, viene ucciso con la sua scorta in via Pipitone; lo sostituisce Antonino Caponnetto, il quale riprende l'intento di assicurare agli inquirenti le condizioni più favorevoli nelle indagini sui delitti di mafia.

Si costituisce quello che verrà chiamato "pool antimafia", sul modello delle èquipes attive nel decennio precedente di fronte al fenomeno del terrorismo politico. Oltre lo stesso Falcone del gruppo facevano parte i giudici Di Lello e Guarnotta, e Paolo Borsellino, che aveva condotto l'inchiesta sull'omicidio del capitano dei Carabinieri Emanuele Basile, nel 1980.

L'interrogatorio iniziato a Roma nel luglio 1984 in presenza del sostituto procuratore Vincenzo Geraci e di Gianni De Gennaro, del Nucleo operativo della Criminalpol, del "pentito" Tommaso Buscetta, è da considerarsi una vera e propria svolta per la conoscenza di determinati fatti di mafia e specialmente della struttura dell'organizzazione "Cosa nostra".

I funzionari di Polizia Giuseppe Montana e Ninni Cassarà, stretti collaboratori di Falcone e Borsellino, vengono uccisi nell'estate 1985. Si comincia a temere per l'incolumità dei due magistrati, i quali, per motivi di sicurezza, vengono trasferiti con le famiglie presso il carcere dell'Asinara.

Attraverso questa serie di vicende drammatiche si giunge alla sentenza di condanna a Cosa nostra nel primo maxiprocesso (16 dicembre 1987) emessa dalla Corte di Assise di Palermo, presidente Alfonso Giordano, dopo ventidue mesi di udienze e trentasei giorni di riunione in camera di consiglio. L'ordinanza di rinvio a giudizio per i 475 imputati era stata depositata dall'Ufficio istruzione agli inizi di novembre di due anni prima.

Gli avvenimenti successivi risentono negativamente di tale successo. Nel gennaio il Consiglio superiore della magistratura preferisce il consigliere Antonino Meli a Falcone, a capo dell'Ufficio istruzione, in sostituzione di Caponnetto che aveva voluto lasciare l'incarico.
Inoltre in seguito alle confessioni del "pentito" catanese Antonino Calderone, che avevano determinato una lunga serie di arresti (comunemente noti come "blitz delle Madonie"), il magistrato inquirente di Termini Imerese si ritiene incompetente, e trasmette gli atti all'Ufficio palermitano. Meli, in contrasto con i giudici del pool, rinvia le carte a Termini, in quanto i reati sarebbero stati commessi in quella giurisdizione. La Cassazione, allo scorcio del 1988, ratifica l'opinione del consigliere istruttore, negando la struttura unitaria e verticisti delle organizzazioni criminose, e affermando che queste, considerate nel loro complesso, sono dotate di "un'ampia sfera decisionale, operano in ambito territoriale diverso ed hanno preponderante diversificazione soggettiva". Questa decisione sancisce giuridicamente la frantumazione delle indagini che l'esperienza di Palermo aveva inteso superare.

Il 30 luglio Giovanni Falcone richiede di essere destinato a un altro ufficio. In autunno Meli gli rivolge l'accusa d'aver favorito in qualche modo il cavaliere del lavoro di Catania Carmelo Costanzo, e quindi scioglie il pool, come il giudice Paolo Borsellino aveva previsto fin dall'estate in un pubblico intervento, peraltro censurato dal CSM. I giudici Di Lello e Conte si dimettono per protesta.


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Su tutta questa vicenda nel giugno 1992, durante un dibattito promosso a Palermo dalla rivista "Micromega", Borsellino ebbe a ricordare: "La protervia del consigliere istruttore Meli l'intervento nefasto della Corte di cassazione cominciato allora e continuato fino a oggi, non impedirono a Falcone di continuare a lavorare con impegno". Nonostante simili avvenimenti sempre nel corso del 1988, Falcone aveva realizzato una importante operazione in collaborazione con Rudolph Giuliani, procuratore distrettuale di New York, denominata "Iron Tower", grazie alla quale furono colpite le famiglie dei Gambino e degli Inzerillo, coinvolte nel traffico di eroina.

Il 20 giugno 1989 si verifica il fallito e oscuro attentato dell'Addaura presso Mondello a proposito del quale Falcone affermò "Ci troviamo di fronte a menti raffinatissime che tentano di orientare certe azioni della mafia. Esistono forse punti di collegamento tra i vertici di Cosa nostra e centri occulti di potere che hanno altri interessi. Ho l'impressione che sia questo lo scenario più attendibile se si vogliono capire davvero le ragioni che hanno spinto qualcuno ad assassinarmi". Il periodo subito successivo segue con lo sconcertante episodio del cosiddetto "corvo": alcune lettere anonime che accusano astiosamente Falcone e altri.

Una settimana dopo l'attentato il CSM decide la nomina di Giovanni Falcone a procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica di Palermo. Nel gennaio 1990 coordina un'inchiesta che porta all'arresto di quattordici trafficanti colombiani e siciliani, inchiesta che aveva preso l'avvio dalle confessioni del "pentito" Joe Cuffaro' il quale aveva rivelato che il mercantile Big John, battente bandiera cilena, aveva scaricato nel gennaio 1988, 596 chili di cocaina al largo delle coste di Castellammare del Golfo.

Nel corso dell'anno si sviluppa lo "scontro" con Leoluca Orlando, originato dall'incriminazione per calunnia nei confronti del "pentito" pellegriti, il quale rivolgeva accuse al parlamentare europeo Salvo Lima. La polemica prosegue con il ben noto argomento delle "carte nei cassetti" che Falcone ritenne frutto di puro e semplice "cinismo politico".

Nel 1990 alle elezioni dei membri togati del Consiglio superiore della magistratura, Falcone è candidato per le liste "Movimento per la giustizia" e "Proposta 88" (nella circostanza collegate): l'esito sarà però negativo.
Intanto si fanno più aspri i dissensi con l'allora procuratore Giammanco, sia sul piano valutativo, sia su quello etico, nella conduzione delle inchieste.

Falcone accoglie l'invito del vice-presidente del Consiglio dei ministri, Claudio Martelli, che aveva assunto l'interim del Ministero di grazia e giustizia, a dirigere gli Affari penali del ministero, assumendosi l'onere di coordinare una vasta materia, dalle proposte di riforme legislative alla collaborazione internazionale. Si apre così dal marzo 1991 un periodo caratterizzato da una attività intensa, volta a rendere più efficace l'azione della magistratura nella lotta contro il crimine.

Falcone si impegna a portare a termine quanto ritiene condizione indispensabile del rinnovamento: la razionalizzazione dei rapporti tra pubblico ministero e polizia giudiziaria, e il coordinamento tra le varie procure. Si poneva l'esigenza di un coordinamento di livello nazionale.

Istituita nel novembre del 1991 la Direzione nazionale antimafia, sulle funzioni di questa il giudice si soffermò anche nel corso della sua audizione al Palazzo dei Marescialli del 22 marzo 1992. "Io Credo - egli chiarì in tale circostanza, secondo un resoconto della seduta pubblicato dal settimanale "L'Espresso" (7 giugno 1992) - che il procuratore nazionale antimafia abbia il compito principale di rendere effettivo il coordinamento delle indagini, di garantire la funzionalità della polizia giudiziaria e di assicurare la completezza e la tempestività delle investigazioni. Ritengo che questo dovrebbe essere un organismo di supporto e di sostegno per l'attività investigativa che va svolta esclusivamente dalle procure distrettuali antimafia". La candidatura di Falcone a questi compiti fu ostacolata in seno al CSM, il cui plenum non aveva ancora assunto una decisione definitiva, prima della tragica morte di Falcone.

E' il 23 maggio 1992 quando alle 17 e 56, all'altezza del paese siciliano di Capaci, cinquecento chili di tritolo fanno saltare in aria l'auto su cui viaggia il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre uomini della scorta, Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani.

All'esecrazione dell'assassinio, il 4 giugno si unì il Senato degli Stati Uniti, con una risoluzione intesa a rafforzare l'impegno del gruppo di lavoro italo-americano, di cui Falcone era componente.

Nemmeno due mesi più tardi, il 19 luglio, toccava a un altro magistrato cadere sotto i colpi della mafia. Paolo Borsellino veniva ucciso da un'autobomba a Palermo in via D'Amelio. Si tratta di uno dei periodi più bui della storia della Repubblica Italiana.

Falcone fu personaggio discusso, per alcuni molto odiato in vita e molto amato dopo la morte, un personaggio diffidente e schivo, ma tenace ed efficiente. Per quanto fosse un uomo normale, ha lottato in prima persona con tutte le sue forze per tutelare la propria autonomia di giudice in trincea contro la mafia, e oggi è considerato a tutti gli effetti un simbolo positivo, una storia da non dimenticare.
 
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A.C.A.B.
view post Posted on 29/8/2006, 14:15     +1   -1




José Antonio Primo De Rivera

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Durante il primo novecento e poi ancora durante tutta la storia della Spagna franchista, le simpatie di tutta la nostra area non si sono concentrate come sarebbe facile pensare sulla figura del generalissimo Franco, bensì su quella del fondatore della Falange Spagnola, José Antonio Primo De Rivera. Se la storia della Spagna è stata scritta dalle vittorie militari del generalissimo Francisco Franco per molti questo è sembrato semplicemente un regime o uno dei tanti stati di polizia del mondo, privo però di quella reale caratterizzazione politica che solo José Antonio poteva dargli.
José Antonio è stato un figlio dei suoi tempi e di una Spagna dilaniata da secoli di decadenza politico economica e sospesa tra una destra conservatrice (latifondisti, alto clero e varie componenti monarchiche ancorate a conflitti dinastici e prive di produrre un minimo di rinascita nazionale) ed una sinistra fortemente influenzata dalla lotta di classe violenta e oltranzista. In questo quadro desolante, premonitore di quella che poi sarebbe diventata guerra fratricida nel 1936, José Antonio maturò il suo pensiero politico.
Dopo una brevissima esperienza nelle file monarchiche José Antonio si rese conto che quella destra era troppo ottusa, vincolata al passato e legata ai propri interessi economici e ai privilegi, per poter divenire promotrice della nuova Spagna. Sicuramente in questo contribuì l'esperienza del padre usato e poi abbandonato dal sovrano Alfonso XIII. Così maturò in lui la necessità di creare qualcosa di nuovo nella politica spagnola, slegato da interessi di parte e sensibile ai reali bisogni della comunità nazionale.
Nacque così il movimento della Falange (1931) che per stessa definizione di Josè Antonio doveva essere un "antipartito", slegato dalla destra monarchica conservatrice che disprezzava fortemente, e contrapposto ovviamente alle sinistre e al sistema repubblicano instauratosi in Spagna in quegli anni.
La Falange doveva formarsi tra le componenti sane della Spagna motivate dall'idea imperiale ma non nostalgiche, forti di valori millenari e non corrotte dalle brame di potere. Queste componenti erano ovviamente i giovani. Il mito della giovinezza preso prestito dal Fascismo Mussoliniano divenne un cardine della Falange e trovò applicazione pratica nella regola di voler accettare all'interno del movimento solo persone sotto i quarantacinque anni d'età.
Il nuovo movimento doveva poi staccarsi dallo spirito borghese della rassegnazione davanti agli eventi e divenire artefice del grande progetto della nuova Spagna. Questo spirito antiborghese fece avvicinare José Antonio agli ambienti movimentisti dei nazionalsindacalisti di Ledesma Ramos. La componente nazionalsindacalista in cui permanevano forti simpatie anarchiche, dopo una iniziale diffidenza nei confronti del borghese avvocato castigliano, divenne la spina dorsale del movimento falangista.
Come simbolo della Falange fu adottato il drappo rossonero identico a quello dei sindacalisti anarchici del F.A.I. e per differenziarsi da questi, furono aggiunti il giogo con le frecce simbolo dei Re Cattolici.
.Il nuovo movimento propugnava la terza via, l'uomo nobile e aristocratico della destra unito agli ideali e le rivendicazioni sociali della sinistra.
Allo scoppio della guerra civile e negli anni precedenti José Antonio non mutò mai idea a riguardo della destra così come della sinistra. A chi propugnava l'odio di classe ribatteva l'importanza della unità della Patria intesa nel suo significato più alto di unità d'intenti della comunità verso fini più alti, e a chi cercava di difendere la profonda ingiustizia sociale della Spagna prometteva riforme radicali in segno opposto.
Con lo scoppio della guerra civile fu imprigionato dalle truppe repubblicane e giustiziato con complice disinteresse di Franco e dei suoi generali. La sinistra repubblicana si sbarazzò così dell'unico soldato politico che il fronte opposto presentava, la destra guidata e sorretta dal generalissimo Franco si giovava della perdita di un alleato mai troppo amato e ne faceva un martire. I ringraziamenti e le pubbliche ovazioni di Franco al fondatore della Falange furono strumentali a mantenere la componente dottrinariamente più elevata all'interno del suo regime politico e nessuna riforma reale in senso corporativo fu attuato dal generalissimo.
Alla fine i suoi grandi nemici di sempre Destra e Sinistra hanno avuto il sopravvento, ma rimangono i suoi scritti immortali a ricordarci che è ancora giusto e attuale contrapporsi alla prima come alla seconda.
«La destra è l'aspirazione a mantenere un'organizzazione economica per quanto ingiusta, la sinistra è il desiderio di sovvertire una organizzazione anche se con il cambio si spazzeranno via molte cose buone. E gli uni e gli altri indorano tutto con una serie di considerazioni spirituali». José Antonio Primo De Rivera, Madrid 29 Ottobre 1933.

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Per approfondimenti:
· "Scritti e discorsi di battaglia" di José Antonio Primo De Rivera - Edizioni Settimo Sigillo
· "José Antonio Prima De Rivera" di G. Almirante - Ciarrapico Editore
· "José Antonio e la Falange Spagnola" di E. Carbone - Edizioni Thule
· "La rivoluzione proibita" di B. Nellessen - Edizioni Volpe

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Hellas Army
view post Posted on 29/8/2006, 14:36     +1   -1




CORNELIU ZELEA CODREANU

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Nacque il 13 settembre 1899 a Husi, una piccola città della Moldavia settentrionale romena, immersa in una natura aspra e severa ove il retaggio atavico della stirpe era preservato ben più che nella capitale Bucarest, attratta dalle sirene della modernità e del cosmopolitismo.

Per noi che militiamo su posizioni antagoniste al mondo moderno, è doveroso ricordare la figura del leggendario fondatore della "Legione Arcangelo Michele" (24 giugno 1927), della "Guardia di Ferro" (20 giugno 1930) e del raggruppamento "Tutto per la Patria" (20 marzo 1935).

Inquadrabili fra quei movimenti di rinascita nazionale -sorti un po' dapertutto, nel periodo fra le due guerre mondiali, sull’onda della Rivoluzione Fascista- tali formazioni, oltre che alla salvezza della Romania dal pericolo marxista e dall’usura, intendevano procedere anche al rinnovamento spirituale della stirpe, nonchè alla realizzazione interiore del singolo militante.

Codreanu adottò, infatti, quale uniforme dei legionari, la camicia verde, colore tradizionalmente simbolo di rigenerazione, di vita e di speranza.

Ascesi, mistica del sacrificio, pratica del digiuno, fede nella forza della preghiera, culto delle icone e degli antenati, fedeltà alla monarchia, tutto ciò era riconducibile ad una visione del mondo, tipica della Tradizione Cristiano-Ortodossa, che affonda le sue radici nelle ultime, limpide espressioni dell’ethnos indoeuropeo.

Inoltre, attività lavorative, ricreative e sportive diventavano ulteriori tappe per la fortificazione psichica e fisica del singolo legionario e del Cuib o nido, cellula-base attorno alla quale si articolava la Legione.

Le lunghe escursioni nei boschi, sui monti o nelle località ove si erano svolte importanti battaglie, i bivacchi attorno al fuoco ricollegavano il fenomeno legionario romeno a quei Wandervogel che, in un mondo guglielmino avviato alla dissoluzione, cercavano nella natura incontaminata l’essenza d’una Germania archetipica e primordiale (Sublimata poi nelle trincee o fra le fila dei Corpi Franchi).

"La domenica e tutti i giorni di festa i cuiburi di ogni categoria devono mettersi in marcia. Noi non conosciamo la nostra terra. Alcuni non conoscono nemmeno il villaggio vicino. Nei giorni di festa, sotto la pioggia o col bel tempo, d’inverno o d’estate, dobbiamo uscire in mezzo alla natura. La terra romena deve diventare una specie di formicaio in cui si incontrino, su tutte le strade, migliaia di cuiburi che marciano verso ogni direzione. All’ora della funzione religiosa, ci si fermi nella chiesa che si trova sul cammino. Ci si fermi dai camerati dei villaggi vicini. La marcia è salutare. La marcia ristora e ridà vigore ai nervi e allo spirito. Ma sopratutto la marcia è il simbolo dell’azione, dell’esplorazione, della conquista legionaria" ("Il Capo di Cuib", Edizioni di Ar, Padova 1981).

Corneliu Zelea Codreanu attribuiva poi notevole importanza al canto, quale fattore di salute spirituale e di coesione del gruppo.

Ed allora, canti legionari di battaglia e vecchie canzoni dei soldati e dei contadini, dedicate alle gesta degli antichi eroi ed al lavoro dei campi, accompagnavano ovunque le camice verdi.

La creazione di mense ed ostelli a prezzi politici per i legionari -ognuno dei quali doveva considerarsi un "viandante della rivoluzione"- dimostrano una volta di più l’importanza attribuita da Codreanu alla gioventù, intesa come quella particolare predisposizione dell’anima alla purezza, all’avventura ed all’intransigenza, malgrado le avversità della vita ed il naturale decadimento fisico.

Il legionario, anche se incanutito, è sempre giovane poichè interiormente non si è mai allontanato da quella sorgente di vita che è l’adesione ai principi atemporali della Tradizione.

Emblematiche le parole del comandante legionario Ion Motza, caduto poi eroicamente nella guerra di Spagna: "Lo spirito delle fiabe dell’infanzia e delle battaglie epiche del nostro passato vive nella gioventù. Essa sente che nulla può dare alla vita bellezza e incanto se non lo slancio eroico e l’amore per un ideale. Questa purezza di sentire, dalla quale si leva la generosità del giovane per la conquista eroica della vittoria, questo vigoroso e splendido slancio verso l’ideale lo proteggono dall’angusta prigione dell’individualismo materialista e lo rendono atto ad essere integrato nella comunità" ("L’uomo nuovo", Edizioni di Ar, Padova1978).

Bellissimo, inoltre, il saluto legionario, sull’attenti con la mano destra posata sul cuore, a raccogliere la propria saldezza interiore, e poi subito slanciata nel saluto romano, verso le forze della Luce.

"Il Paese va in rovina per mancanza di uomini, non per mancanza di programmi. E’ questa la nostra convinzione. Dobbiamo quindi non elaborare nuovi programmi ma allevare uomini, uomini nuovi...Di conseguenza la Legione Arcangelo Michele sarà una scuola e un esercito più che un partito politico" ("Per i legionari", Edizioni di Ar, Padova 1984), volendoci insegnare il Capitano come solo dopo aver sottomesso il nemico interiore, cioè il proprio ego, nella cosiddetta Grande Guerra, si possa poi aver ragione di quello esterno, nella lotta politica propriamente intesa o Piccola Guerra.

Ancora validissime sono le sei leggi fondamentali del Cuib, di seguito elencate:

"1) La legge della disciplina: sii legionario disciplinato, perchè solo in questo modo sarai vittorioso. Segui il tuo capo nella buona e nella cattiva sorte.

2).La legge del lavoro: lavora. Lavora ogni giorno. Lavora con amore. Ricompensa del lavoro ti sia non il guadagno, ma la soddisfazione di aver posto un mattone per la gloria della Legione e per il fiorire della Romania.

3) La legge del silenzio: parla poco. Parla quando occorre. Di’ quanto occorre. La tua oratoria è l’oratoria dell’azione. Tu opera, lascia che siano gli altri a parlare.

4) La legge dell’educazione: devi diventare un altro. Un eroe. La tua scuola, compila tutta nel Cuib. Conosci bene la Legione.

5) La legge dell’aiuto reciproco: aiuta il tuo fratello a cui è successa una disgrazia. Non abbandonarlo.

6) La legge dell’onore: percorri soltanto le vie indicate dall’onore. Lotta e non essere mai vile. Lascia agli altri le vie dell’infamia: Piuttosto che vincere per mezzo di un’infamia, meglio cadere lottando sulla strada dell’onore" ("Il Capo di Cuib").

Decine di migliaia di giovani accorsero sotto le bandiere della rivoluzione nazionale romena, sconvolgendo i piani delle centrali bolsceviche e del grande capitale finanziario, allarmate dai successi anche elettorali della Legione.

Purtroppo, per un insieme sciagurato di circostanze, le istituzioni che avrebbero avuto il dovere di favorire il movimento legionario -e cioè la Chiesa Ortodossa e la Monarchia- disertarono tale compito.

L’alto clero tenne una posizione furbesca ed attendista, mentre il Re Carol II, circuito dall’amante e da consiglieri al soldo di forze straniere, avversò duramente Codreanu (A ciò non fu estranea una politica estera tedesca più legata a schemi sciovinistici che ad una visione europea e rivoluzionaria d’ ampio respiro, come quella dell’Italia Fascista).

Il movimento legionario, vittima delle provocazioni di un regime e di una polizia segreta -la famigerata Oculta- che non esitarono a ricorrere ad una vera e propria "strategia della tensione", cadde in un vortice quasi samsarico di violenze e di vendette.

Malgrado tutto -come possiamo leggere su "Raido", n°16, solstizio d’estate 1999- "i legionari quando dovevano vendicare il tradimento o le persecuzioni dei propri camerati, arrivando anche all’assassinio di qualche aguzzino, si costituivano poichè, ferventi religiosi, sapevano che quell’azione doveva essere espiata con la carcerazione ed in ultimo con il giudizio di Dio".

Dopo innumerevoli persecuzioni, processi ed incarcerazioni (Non a caso, fra i simboli della Legione v’erano le grate del carcere), il Capitano e tredici Camerati, durante un finto tentativo di fuga, vennero assassinati, la notte fra il 29 ed il 30 novembre 1938 nella foresta di Jilava, da alcuni gendarmi prezzolati dal nemico.

L’ordine fu dato da quelle stesse forze cosmopolite ed antinazionali che, tuttora, si ostinano a denominare Rumenia -e non Romania- la terra dei daci e dei legionari di Traiano, per svilirne i millenari legami con Roma e con il mondo indoeuropeo.

Del resto, stante l’inarrestabile avanzare dell’età oscura, un uomo cavalleresco ed eroico come Codreanu non poteva che essere "colui che doveva morire", come egregiamente definito da Cesare Mazza.

Ora, a prescindere da quanto strettamente attinente alla situazione romena dell’epoca, gli insegnamenti del Capitano e degli altri comandanti legionari offrono validissimi punti di riferimento ed elementi di riflessione per chi, come noi, si pone su posizioni metapolitiche.

Specialmente i libri di Codreanu possono essere considerati una sorta di manuali d’istruzione per una corretta formazione del giovane legionario e l’attività d’una comunità militante inserita organicamente in un più vasto progetto nazional-rivoluzionario, quale "zona libera" in un mondo di rovine (A nostro avviso, nel concetto di Cuib si possono rinvenire taluni echi del Ribelle jungeriano e dell’idea comunitaria delle saghe di Tolkjen).

Nel concludere, vogliamo ricordare come l’attuale Romania, uscita dal plumbeo regime comunista e poi caduta nelle spire del liberalcapitalismo, veda di nuovo i legionari percorrere quei sentieri dell’Onore e della Riscossa indicati un tempo da Corneliu Zelea Codreanu.



JAN PALACH

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Jan Palach (Cecoslovacchia, oggi Repubblica Ceca, 11 agosto 1948 - Praga 19 gennaio 1969) è stato uno studente cecoslovacco divenuto simbolo della resistenza anti-sovietica del suo paese.

Modesto studente di filosofia, assistette con simpatia alla stagione riformista del suo paese, chiamata Primavera di Praga. Questa esperienza, però, fu repressa militarmente dalla truppe del Patto di Varsavia, ed in particolare dall'Unione Sovietica, in pochi giorni. Per protestare contro quell'iniziativa bellica, Palach prima fondò un gruppo di volontari anti-URSS e successivamente decise di cospargersi il corpo di benzina in piazza San Venceslao a Praga, appiccando il fuoco con un accendino (16 gennaio 1969). Morirà tre giorni dopo.

Decise quindi di suicidarsi morendo carbonizzato, ma preferì non bruciare i suoi appunti e i suoi articoli (che rappresentavano i suoi pensieri politici), che tenne in uno zaino molto distante dalle fiamme. Tra le dichiarazioni trovate nei suoi quaderni, spicca questa: "Poiché i nostri popoli sono sull'orlo della disperazione e della rassegnazione, abbiamo deciso di esprimere la nostra protesta e di scuotere la coscienza del popolo. Il nostro gruppo è costituito da volontari, pronti a bruciarsi per la nostra causa. Poiché ho avuto l'onore di estrarre il numero 1, è mio diritto scrivere la prima lettera ed essere la prima torcia umana. Noi esigiamo l'abolizione della censura e la proibizione di Zpravy (il giornale delle forze d'occupazione sovietiche). Se le nostre richieste non saranno esaudite entro cinque giorni, il 21 gennaio 1969, e se il nostro popolo non darà un sostegno sufficiente a quelle richieste, con uno sciopero generale e illimitato, una nuova torcia s'infiammerà".

Grazie a questo gesto estremo, Palach venne consideratato dagli anticomunisti come un eroe e un martire; in città e paesi di molte nazioni furono intitolate strade con il suo nome. Anche la Chiesa Cattolica lo difese, affermando che "Un suicida in certi casi non scende all'Inferno" e che "non sempre Dio è dispiaciuto quando un uomo si toglie il suo bene supremo, la vita". Questo clima portò a drammatiche conseguenze: almeno altri sette studenti, tra cui l'amico Jan Zajíc, seguirono il suo esempio e si tolsero la vita, anche se la notizia non è sicura poiché le TV locali non le diedero tanta importanza.

Dopo il crollo del comunismo e la caduta del Muro di Berlino, la sua figura fu rivalutata: nel 1990 il presidente Václav Havel gli dedicò una lapide per commemorare il suo sacrificio in nome della libertà. Oggi, molte associazioni studentesche, anche di sinistra, lo ricordano come una persona morta in nome dei suoi ideali: non sono pochi i circoli di giovani dedicati a Jan Palach. Tuttavia, il Partito Comunista di Boemia e Moravia ha attualmente un parere negativo riguardo la sua azione.

Paragonato a Jan Hus, pensatore e riformatore religioso boemo condannato per eresia e bruciato sul rogo nel 1415, compare in "Primavera di Praga" di Francesco Guccini: Jan Hus di nuovo sul rogo bruciava all'orizzonte del cielo di Praga...



MASSIMO MORSELLO

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Massimo Morsello è nato in una famiglia della borghesia di Roma. La madre proveniente dalla Bulgaria, era emigrata in Italia dopo l'arrivo al potere del partito comunista. Egli descrisse il padre come "profondamente anticomunista" ed un ammiratore della filosofia sociale del Fascismo.

Nel 1975, all'età di 16 anni, aderisce al Movimento Sociale Italiano. Diviene un membro dell'associazione politica giovanile Fronte della Gioventù e successivamente del FUAN, un'organizzazione di destra di studenti universitari. Il FUAN era una organizzazione politica meno dipendente dal partito politico di riferimento in parlamento, rispetto all'altra organizzazione. Era bensì una sorta di laboratorio politico dell'estrema destra politica italiana sul finire degli anni '70. Durante i cosiddetti "Anni di Piombo" o della Strategia della tensione Morsello viene coinvolto in una serie di fatti violenti ed è toccato della possibilità di essere membro del gruppo terrorista neofascista, chiamato Nuclei Armati Rivoluzionari.

È in questi anni che Morsello inizia a coltivare la sua seconda passione, oltre alla politica, iniziando la carriera di musicista, con la prima performance al primo Campi Hobbit. Sempre in questo contesto acquisisce il soprannome di Massimino.

Dopo il massacro alla Stazione di Bologna avvenuto il 2 agosto 1980, Massimo Morsello, Roberto Fiore, leader di Terza Posizione ed altre sette persone sono accusate di associazione sovversiva. Fuggono dapprima in Germania, poi, dopo alcuni mesi, si rifugiano a Londra. La magistratura italiana richiede immediatamente alle autorità inglesi l' estradizione dei due, rifiutata dalle corti della Gran Bretagna poiché i crimini, di cui erano accusati, rispondevano solamente ad una natura politica. Al rifiuto delle autorità inglesi è stata avanzata addirittura l'ipotesi che Morsello e Fiore abbiano evitato l'estradizione grazie alla collaborazione del servizio segreto inglese MI6.

Intanto a Londra, Morsello continua le sue attività musicali. È in concerto con Scusate, ma non posso venire trasmessa in Italia via satellite il 22 luglio 1996.

Nella seconda metà degli anni novanta, a Morsello viene diagnosticato un cancro. Segue la controversa terapia con lasomatostatina, studiata da Prof. Di Bella, senza risultati. Nell'aprile 1999, Morsello era nella possibilità di rientrare in Italia senza essere incarcerato, per le sue precarie condizioni di salute. Egli non lascia mai la musica fino alla sua morte, sopraggiunta nel marzo del 2001 ed aiuta Fiore nella fondazione di Forza Nuova.




AHMAD SHAD MASSUD

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Nato nel 1953 nel villaggio di Jangalak, nella regione del Panshir, a Nord di Kabul è di etnia tagika.
Di buona famiglia, il padre militava come ufficiale sotto il re Zahir Shah.
Per decisione del padre frequenta il Licèe francese di Kabul, la scuola "bene" dell'Afghanistan di allora, e poi il Politecnico. Tra le sue letture Mao e Che Guevara. Nel 1975 fonda il suo primo gruppo armato e quando nel 1979 l'Unione Sovietica invade l'Afghanistan diveta uno dei leader della resistenza islamica dei mujaheddin.
E' proprio in quegli anni che gli viene attribuito il soprannome di "leone del Panshir". Per sette volte i russi tentano di conquistare la regione da lui difesa e per sette volte sono respinti. Massud combatte per il suo popolo e per la democrazia. Nel 1992 la destituzione del governo filorusso di Najibullah. Massud consegna il Paese al professore teologo Burhanuddin Rabbani, che guida il partito democratico Jamiat Islammi.
E' a questo punto che in l'Afghanistan scoppia una guerra senza quartiere tra gli artefici della sconfitta del governo filosovietico. Massud, vicepresidente e ministro degli esteri, è bersagliato in prima persona dalla rivalità e dall'odio etnico di Gulbuddin Hekmatyar, capo del partito di opposizione Herzbi Islammi. La lotta spiana la strada ai Talebani che nascono come forza politica e nel 1994 sono già padroni del Paese.
Kabul bombardata tutti i giorni da Hakmatyar viene ridotta ad un cumulo di macerie. Nel 1996 l'ascesa dei Talebani costringe Massud a ritirarsi nella valle del Panshir. Controlla ancora circa il 10% dell'Afghanistan e ha tra i 15 e i 20 mila combattenti. Stringe alleanza con l'ex nemico Dostum, il generale uzbeko, rientrato Afghanistan dopo quattro anni di esilio in Turchia. Nasce così l'Alleanza del Nord.
Nel 1999 Massud compie un "giro diplomatico" in Europa, cercando di sensibilizzare i Paesi occidentali al dramma afghano, denunciando le connessioni tra Talebani e Osama Bin Laden.
La lotta di Massud contro i talebani è disperata.
I Talebani si ripromettono di conquistare anche quello spicchio di Afghanistan fuori dal loro controllo. Massud deve affrontare l'emergenza dei profughi, migliaia di persone stipate in campi fatiscenti, in condizioni sanitarie spaventose. Ma il "Leone" si difende e nelle interviste che rilascia ai pochi giornalisti occidentali che si avventurano nel Panshir si mostra fiero e determinato.
Massud è ferito il 9 settembre del 2001 in un attentato suicida commesso da due arabi che si fingono giornalisti, in possesso di passaporti belgi contraffatti. I due riescono ad avvicinare Massud e durante il colloquio fanno esplodere una bomba nascosta in una telecamera. L'attentato sarebbe maturato grazie a una triangolazione tra talebani, servizi segreti pakistani e l'onnipresente Bin Laden. Qualcuno sospetta che l'omicidio sia un segnale per i kamikaze pronti in Usa.
Per qualche giorno la notizia del ferimento di Massud è smentita. Poi il 14 l'Alleanza ammette la morte del Leone.
Il 16 settembre 2001 migliaia di persone si radunano a Jangalak per i funerali di Massud.




GIOVANNI GENTILE

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Giovanni Gentile, filosofo italiano (Castelvetrano 1875 - Firenze 1944), docente a Palermo dal 1906 al 1914; passò poi a Pisa alla cattedra di filosofia teoretica; nel 1915 partecipò attivamente al Comitato pisano di preparazione e mobilitazione civile, secondo i principi espressi ne La filosofia della guerra (1914). Nel 1919 venne chiamato all'Università di Roma; dal 1922 al 1924 fu ministro della Pubblica Istruzione e legò al suo nome la riforma della scuola. A conclusione di quanto aveva scritto e fatto nel decennio precedente, nel 1923 si iscrisse al partito fascista, adoperandosi per dargli un programma ideologico e culturale: primo atto di questo suo impegno fu il Manifesto degli intellettuali del fascismo (1925), a cui Croce rispose con un contromanifesto che da allora rese insanabile il contrasto fra i due filosofi. Prospettando il fascismo come rigenerazione morale e religiosa degli Italiani, Gentile tentò di collegarlo direttamente al Risorgimento. Dal 1920 in poi il filosofo diresse il Giornale critico della filosofia italiana e numerose collane di classici e di testi scolastici; dal 1925 al 1944 diresse l'Enciclopedia Italiana. Negli ultimi anni del fascismo Gentile tentò di porsi al di sopra dei contrasti con un nuovo programma di unità nazionale (Discorso agli Italiani, 1943), ma venne ucciso dai partigiani fiorentini (15 aprile 1944) come uno dei maggiori responsabili del regime fascista.
IL PENSIERO E LE OPERE FILOSOFICHE
Al centro della ricerca filosofica di Gentile è lo studio del pensiero di Rosmini e di Gioberti, che egli considera espressione genuina e autonoma della filosofia italiana, per cui conferma e assolutizza il primato e l'autonomia del pensiero italiano e critica quanto in esso crede immissione eterogenea e deviante. Programma della sua attività di studioso sono stati quindi: la riforma della dialettica hegeliana in senso soggettivistico (Riforma della dialettica hegeliana, 1913); la critica del marxismo (La filosofia di Marx, 1899; Economia ed etica, 1934); lo studio della tradizione culturale e filosofica delle varie regioni italiane (Il tramonto della cultura siciliana, 1919; Gino Capponi e la cultura toscana del secolo decimonono, 1922; La cultura piemontese, 1922); la riforma della scuola in chiave anti-illuministica e antipositivistica (Scuola e filosofia, 1908; Il problema scolastico del dopoguerra, 1919; La riforma dell'educazione, 1920; Sommario di pedagogia come scienza filosofica, 1913-14); la formulazione di un nuovo sistema filosofico come riforma della dialettica hegeliana (Teoria generale dello spirito come atto puro, 1916; Sistema di logica come teoria del conoscere, 1917; La filosofia dell'arte, 1931; Introduzione alla filosofia, 1933). Nel tentativo di riforma della dialettica hegeliana, Gentile così procede: Hegel riteneva possibile una dialettica del "pensato", cioè della realtà nei suoi aspetti oggettivi e pensabili; secondo Gentile invece è possibile solo una dialettica (in quanto attività dell'essere che si sviluppa e diviene) del "pensante" (cioè del soggetto che pensa nell'atto in cui pensa). Ogni cosa, infatti, è reale nella misura in cui è pensata, perciò ogni realtà deve essere ridotta al pensiero nell'atto in cui la pone, ovvero al soggetto del pensiero inteso non come Io empirico o individuale, ma come "soggetto trascendentale", cioè assoluto e universale. A questo si riduce tutta la realtà: il passato e il futuro, il bene e il male, la verità e l'errore, la natura, Dio e infine i vari Io particolari. È perciò assurdo pensare che la realtà sia autonoma rispetto al soggetto ed esista prima e indipendentemente da esso. A questa erronea concezione rimane ferma la scienza che considera la natura preesistente al soggetto pensante, cadendo nel dogmatismo e nel naturalismo, cioè in una visione realistica, statica e meccanica delle cose: la valutazione gentiliana della scienza è pertanto negativa. L'oggettivismo della scienza è ancora più accentuato nell'ambito della religione che subordina il soggetto all'oggetto assolutizzato, cioè a Dio che non è altro se non una posizione o creazione da parte dell'Io. La religione sostituisce al concetto del soggetto autonomo e creatore (autoctisi) quello della creazione del soggetto da parte dell'oggetto (eteroctisi) e al concetto di conoscenza come posizione che il soggetto fa dell'oggetto, quello della rivelazione che l'oggetto fa di se stesso. Il realismo oggettivistico della religione e della scienza sono superati dalla filosofia, nella quale il pensiero in atto si libera della sua alienazione, riconoscendosi come unica realtà. La filosofia in quanto sapere assoluto è quindi superiore sia alla scienza sia alla religione. Al realismo oggettivistico sfugge l'arte, che appartiene al momento della pura soggettività spirituale ed è perciò inattuale in quanto precede l'attualizzarsi, cioè l'oggettivarsi, dello spirito. L'arte è infatti fantasia e sentimento. L'esigenza d'identificazione di soggetto e oggetto è anche a fondamento della filosofia del diritto (Fondamenti di una filosofia del diritto, 1916; Genesi e struttura della società, post., 1946). Tutti i rapporti che sono a fondamento della vita morale e sociale sono risolti nell'interiorità dello spirito, non sussistendo inter homines, ma in interiore homine. Morale e diritto riposano sulla dialettica di volente e voluto, corrispondente a quella di pensante e pensato, in quanto l'atto del pensare puro è anche un atto di volontà. Nella volontà volente si risolve la moralità che è volontà creatrice del bene. Nel voluto, che è l'oggettivazione del contenuto dell'atto volente ed è costituito dall'insieme delle leggi e delle norme che ci obbligano, si risolve il diritto. La legge nella sua normatività e nella sua coattività non è dunque estranea all'Io, ma a esso interna. Da ciò consegue l'identificazione della volontà del singolo e dello Stato nell'unità del soggetto assoluto. Su questo concetto Gentile insiste in Genesi e struttura della società dove, respingendo l'identificazione di pubblico e privato, nega l'autonomia dell'individuo di fronte allo Stato alla cui potenza non si attribuiscono limiti.
TEORIE PEDAGOGICHE
La pedagogia di Gentile s'identifica con i suoi concetti filosofici e si basa su due principi fondamentali: la realizzazione dell'identità fra educatore ed educando nell'atto educativo, che rispecchia il superamento delle distinzioni fra soggetti empirici nell'assolutezza dell'Io trascendentale, e il rifiuto di ogni carattere prefissato e astratto nel contenuto dell'insegnamento, e di ogni regola didattica, in quanto sia il metodo sia la tecnica d'insegnamento sono destituiti di senso dal momento che l'educazione è fondamentalmente un atto spirituale di autoeducazione. Questi principi non furono estranei alla riforma della scuola (1923) cui Gentile attese come ministro della Pubblica Istruzione e che, nota appunto come "riforma Gentile", venne peraltro condizionata in prevalenza da altri due fondamentali aspetti della posizione idealistica del filosofo: la concezione della scuola come funzione della vita dello Stato (rispecchiata, in particolare, nell'istituzione dell'esame di Stato a conclusione degli studi che potevano anche effettuarsi in istituzioni private) e il privilegio accordato alla formazione d'impronta umanistica.



WOLFRAM VON ESCHENBACH

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Wolfram von Eschenbach era nativo di Eschenbach [Franconia]: qui nacque nel c.1170. Soggiornò a lungo alla corte del langravio Hermann di Turingia, dove incontrò forse Walther von der Vogelweide. Le sue liriche sono scritte in altotedesco medio, sono prevalentemente d'argomento amoroso secondo la tradizione del minnesang. Vi sono spunti di forte concentrazione poetica. Suggestive in particolar modo le "albe", con la rappresentazione del distacco degli innamorati al termine della notte felice. Esse si distinguono, all'interno della tradizione, per la loro visione morale e per l'esaltazione della "fedeltà". Wolfram è però soprattutto l'autore di uno dei poemi più ampi e profondi del panorama europeo del tempo. Il Parzival (c.1200-1210) è formato da circa 25 mila versi. Rielabora l'incompiuto "Perceval" di Chré tien de Troyes, si rifà alle leggende del ciclo bretone del Graal. Sfondo teologico e morale della vicenda è il rapporto tra colpa umana e grazia divina. Sfondo storico e letterario, l'innesto della nuova spiritualità delle crociate e degli ordini monastico-cavallereschi (i Templari) sulla tradizione celtica di re Artù e della Tavola Rotonda. Nell'avventura del giovane Parzival che, superati ostacoli e tentazioni arriva alla dignità di supremo custode della reliquia (il Graal), è la metafora di un processo di elevazione morale, dalle tenebre terrene del peccato fino alla luce di dio, secondo uno schema tipico degli scrittori mistici. Il poema annuncia anche un tipo caratteristico di narrazione, destinato a rinnovarsi poi nella tradizione successiva, per diventare alla fine il "bildungsroman", il romanzo cioè che ricostruisce la "formazione" dell'individuo come graduale costruzione della sua personalità etica. Una ansia inquieta spinge i cavalieri, che oltrepassano boschi e si lasciano alle spalle ricche città , alla ricerca d'altro: emotivi e nostalgici, tuttavia non si lasciano mai andare, anzi controllano con "cortese" attenzione i loro atti e le loro parole. Parzifal, ragazzo ingenuo e rozzo lascia il castello dove vive protetto dalla madre e, come i cavalieri che ammira e il cui modello segue, impara a essere riservato e a tacere. Ma deve imparare anche a superare le regole dell'educazione cortese e dell'etica cavalleresca, e parlare e interrogare quando il destino lo vuole. Sia la madre prima di partire, che Gurnemanz che si è fatto carico della sua educazione cortese, gli hanno raccomandato comportamenti gentili e prudenti, e soprattutto il riserbo. Ma questa educazione mondana e approvata dai suoi simili non gli gioverà nell'incontro fatale con il re pescatore Anfortas. Parzifal giunge al palazzo del re, giudato dal suo cavallo a briglie sciolte, e ferito, con una piaga sempre aperta, simbolo del peccato carnale inconciliabile con la purezza che i guardiani del santo Graal debbono conservare. Anfortas soffre senza speranza, e con lui tutta la corte. Basterebbe che Parzifal facesse una sola domanda, quella 'vera', e chiedesse al re cosa lo fa soffrire: la guarigione del re riporterebbe la gioia alla sua corte. Parzifal invece, memore del riserbo cortese, tace commettendo una colpa fatale di cui, come negli antichi drammi greci, è inconsapevole. E' proprio questo comportamento stoltamente 'innocente' uno dei punti più significativi del romanzo, che distingue il "Parzifal" dagli altri racconti del ciclo arturiano. Il discrimine tra perfezione cortese e mondana, e la perfezione cristiana e mistica. Per Abelardus l'etica coincide con lo spazio della ragione consapevole e della intenzione: non può esserci colpa là dove non c'è assenso consapevole, una azione non premeditata è sempre innocente. Ma per l'oppositore di Abelardus, Bernardus da Cleirvaux, che Wolfram segue, ogni atto ha in sé una forza e un significato al di là della adesione intenzionale perché rompe un ordine soprannaturale e invisibile: chi lo compie anche inavvertitamente non può quindi sottrarsi alla colpa e alla pena. Solo umiliandosi e riconoscendo la superiorità della incomprensibile volontà divina che lo ha condannato alla disperazione, Parzifal potrà ritornare al castello del Graal, interrogare Anfortas e essere infine proclamato re. Il "Parzifal", primo grande bildungsroman europeo, pone dunque il percorso morale dalla ingenua adolescente incolta e selvaggia, attraverso l'educazione mondana e cavalleresca, fino al raggiungimento della gioia mistica ottenuta con il superamento di ogni norma umana e l'abbandono alla volontà divina. In Wolfram è dunque forte la visione religiosa e morale. Ma accanto a questo è un forte amore per il fantastico. La sua è spesso una viva narrazione, sempre molto attento ai fatti della vita e al colorito esotico. Ciò che costituisce il maggior fascino del poema che ebbe una buona fortuna, oltre a un rilancio in epoca romanticistica (specie dopo l'uso fattone da Richard Wagner). Wolfram, oltre alle liriche, ha scritto anche altri poemi. Il Willehalm (c.1215) che si rifà ad argomenti del ciclo carolingio (in special modo alla "Chanson de Aliscans") e che traccia un ritratto ideale del conte Guglielmo d'Aquitania, pio cavaliere e crociato. Suo anche l'incompiuto Titurel (c.1215) ispirato anch'esso alle vicende del Graal.



ALBERTO DA GIUSSANO

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Alberto da Giussano (nato a Giussano, nell'odierna provincia di Milano, e vissuto nel Nord dell'Italia intorno al XII secolo) è stato un combattente lombardo.

Inesistenti o quasi sono le notizie biografiche su di lui: l'unica certezza è che fu un cavaliere bravo e coraggioso. Secondo una tarda cronaca milanese egli fondò, organizzò ed equipaggiò la Compagnia della Morte, associazione militare di giovani cavallerizzi che ebbero una grande importanza nella Battaglia di Legnano, in quanto difesero fino alle stremo il Carroccio della Lega Lombarda contro l'esercito imperiale di Federico Barbarossa.

La tradizione dà all'Alberto da Giussano il merito di averli valorosamente condotti in quello scontro campale del 1176: alcuni storici la ritengono tuttavia falsa e poco attendibile in quanto "troppo romanzata ed idealizzante". Nell'immaginario collettivo la sua figura rimane comunque un simbolo di libertà dei popoli oppressi dal potere.

L'eroe lombardo è ricordato anche durante il Palio di Legnano, dove da anni un figurante lo rappresenta a cavallo con la spada alta verso il cielo e dopo l'ingresso allo stadio, dà il via alla competizione ippica tra le contrade. Inoltre a Legnano è stata eretta in suo onore una statua che lo raffigura, essa si trova in Piazza Monumento, nei pressi della stazione FS.

Nel 1991 egli è presente, con la Spada in una mano e lo Scudo nell'altra (così come compare nella statua legnanese), nel simbolo elettorale della Lega Nord in quanto i fondatori di tale movimento politico lo assunsero a simbolo della propria battaglia politica.
 
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view post Posted on 29/8/2006, 15:39     +1   -1




DAVID BEN GURION

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David Ben Gurion (P?o?sk 16 ottobre 1886 - Sde Boker (Israele) 1 dicembre 1973) è uno statista israeliano.
Nato David Grün, immigrò giovanissimo in Palestina dalla Polonia russa, è rimasto per tutta la vita legato al pionierismo delle origini tanto che, nel pieno della sua attività politica, tra il suo terzo e quarto Governo, si ritirò per due anni in un kibbutz del Neghev (Sde Boker).
A questo proposito è molto significativo un suo scritto che recita: È chiaro che i fondatori ed i costruttori dello Stato d'Israele non sono stati gli uomini politici, ma gli immigrati che hanno ricostruito il Paese con il sudore della fronte.
Quando gli inglesi, con il Libro Bianco del 1939, posero gravi restrizioni all'immigrazione ebraica, fu il più deciso organizzatore dell'immigrazione illegale, ma anche di un esercito regolare ebraico, l'Haganah, che combattesse a fianco degli inglesi contro il nazismo e dichiarò: combatteremo la guerra come se non ci fosse il Libro Bianco, e il Libro Bianco come se non ci fosse la guerra.
Socialista militante dal 1910, dirigente sindacale dal 1921 al 1933, fu poi fino al 1948 presidente dell'Agenzia ebraica, una specie di governo ombra degli ebrei residenti in Palestina sotto il mandato britannico.
Toccò a lui proclamare, il 14 maggio 1948, la Costituzione ufficiale dello Stato d'Israele e di assumerne immediatamente la guida nella guerra, scoppiata subito dopo, con gli Stati arabi confinanti.
Fu al governo come Ministro della Difesa e Primo Ministro per 13 anni, dal 1949 al 1953 e dal 1955 al 1963, guidando il suo Paese a una seconda vittoria nella Crisi di Suez nel 1956.
Per 21 anni fu leader del Partito Socialista Democratico Mapai.
Nel 1965 tentò, con scarso successo, il rientro in politica fondando un nuovo partito.
Gli ultimi anni della sua vita li ha trascorsi come un patriarca, studiando, meditando e coltivando la terra. E' sepolto a Sde Boker accanto alla moglie Paula, presso la città Nabatea di Avdat.

MOSHE DAYAN

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Moshe Dayan (20 maggio 1915- 16 ottobre 1981) fu un generale e politico israeliano. Fu il quarto capo di stato maggiore delle Forze di Difesa Israeliane. In alcune biografie compare la data di nascita 4 maggio 1915 e la data di morte 16 dicembre 1981
Il suo nome, in ebraico, significa "Mosè il Giudice". È stato un personaggio emblematico per lo stato di Israele, conosciuto in tutto il mondo per la benda sull'occhio sinistro, perso in Siria durante la Seconda Guerra Mondiale.

Infanzia e prime esperienze militari

Dayan era un sabra, ossia un israeliano nato in Palestina. Venne alla luce nel famoso kibbutz di Degania, da Shmuel e Debora, due sionisti che erano immigrati dall'Ucraina.
A 14 anni entrò nell'Haganah, la forza semi ufficiale nata per difendere gli insediamenti ebraici in Palestina. Sergente nel periodo precedente la Seconda Guerra Mondiale, fu influenzato dagli insegnamenti dell'ufficiale inglese filo sionista Orde Charles Wingate, specialista di guerriglia che, nel 1938, creò le Special Night Squads, reparti composti da militari britannici e da membri dell'Haganah per fronteggiare la rivolta araba. Quando, nel 1939, l'Haganah fu resa illegale dal governo britannico, Dayan venne incarcerato.

Seconda Guerra Mondiale

Nel 1941, l'Haganah prese a collaborare con i britannici nella guerra contro l'Asse. Dayan, liberato, venne aggregato alla Settima divisione di fanteria australiana. Il 7 giugno di quell'anno, durante le operazioni contro la Siria controllata dalla Francia di Vichy, venne colpito all'occhio sinisto da un proiettile di fucile, mentre stava osservando le posizioni nemiche con un binocolo. Dopo un recupero solo parziale dell'occhio, Dayan iniziò ad usare la benda nera che diventerà uno dei segni distintivi del suo personaggio. Per il suo ruolo nella guerra in Siria, ricevette la Distinguished Service Order, una delle massime onorificenze militari britanniche.

Comandante militare

Nella guerra arabo israeliana del 1948 combatté come ufficiale superiore. In buoni rapporti con il primo ministro David Ben-Gurion, divenne un suo protetto, assieme a Shimon Peres.
Nel 1955 diventò Capo di Stato Maggiore. Con questa carica diresse la seconda guerra arabo israeliana contro gli arabi nel 1956, portando i suoi soldati fino al Canale di Suez.

In politica

L'operazione di Suez gli diede un immenso prestigio. In contrasto con il governo, nel 1958 diede le dimissioni dall'esercito.
Nel 1959, entrò nel Mapai, il partito laburista di Ben-Gurion. Divenne ministro dell'Agricoltura, carica che mantenne fino al 1964. Nel 1965, assieme ad altri esponenti scissionisti del Mapai, aderì al partito Rafi, fondato da Ben-Gurion dopo aver lasciato i laburisti a seguito del Caso Lavon.
Levi Eshkol, che nel 1963 era diventato primo ministro, non era in sintonia con Dayan. Quest'ultimo si ritirò così a vita privata, dedicandosi all'archeologia, di cui era appassionato, e facendo un viaggio in Vietnam come reporter, spinto da un ovvio interesse per la guerra che si combatteva allora.

La Guerra dei sei giorni

Nel 1967, con l'aggravarsi della crisi con i paesi arabi, Eshkol, nonostante la sua scarsa simpatia per Dayan, lo nominò ministro della Difesa. Il primo ministro, che prima della nomina di Dayan rivestiva anche la carica di ministro della Difesa, non aveva infatti neppure compiuto il servzio militare. Nell'imminenza della guerra, era quindi indicato affidare il ministero ad una guida carismatica.
Sebbene i piani di guerra fossero stati già preparati in precedenza dal Capo di stato maggiore Yitzhak Rabin, Dayan diede il suo contributo alla vittoria, ottenuta in appena sei giorni, in quella che appunto venne chiamata Guerra dei sei giorni. Però Dayan, tra le cui doti non si poteva enumerare una particolare modestia, riuscì a farsi passare come il principale autore della grande vittoria. Per lui, che dopo la vittoria rimase ministro della difesa fino al 1974, si ipotizzava ormai un futuro da Primo Ministro.
All'interno del governo laburista, Dayan era uno dei cosiddetti "falchi", che si opponevano con decisione a qualsiasi proposta volta a rinunciare ai territori conquistati nel 1967 in cambio della pace. Disse una volta che avrebbe preferito rimanere in guerra tenendo Sharm el-Sheikh (la città, sulla punta meridionale del Sinai, occupa una posizione strategica, in quanto controlla le linee di navigazione che collegano il porto israeliano di Eilat al Mar Rosso) piuttosto che ottenere la pace cedendo Sharm el-Sheikh. Più tardi, nel corso della sua carriera politica, abbandonò questo modo di pensare e giocò un ruolo importante nelle trattative che portarono alla pace con l'Egitto.

La guerra del Kippur

Dopo la morte di Levi Eshkol, nel 1969, divenne primo ministro Golda Meir. Dayan, come s'è detto, rimase al dicastero della difesa. Era ancora in carica quando, il 6 ottobre 1973, iniziò la Guerra del Kippur. I primi due giorni di guerra furono traumatici per Israele.
Dayan porta indubbiamente alcune responsabilità nelle sconfitte iniziali. Assieme alle altre massime autorità civili e militari, aveva sottovalutato i segnali d'allarme che provenivano da diverse fonti. Si era rifiutato di mobilitare le Forze di Difesa Israeliane per lanciare un attacco preventivo contro Egitto e Siria, in quanto credeva che le stesse FDI avrebbero potuto vincere con facilità anche se gli arabi avessero attaccato per primi.
Dopo le pesanti sconfitte dei primi due giorni di guerra, le ottimistiche idee di Dayan cambiarono radicalmente. Fu sul punto di annunciare "la caduta del Terzo Tempio" ad una conferenza stampa, dimenticandosi di parlarne prima con la Meir. Cominciò anche a parlare apertamente di usare armi di distruzione di massa contro gli arabi.
Riuscì comunque a recuperare il controllo (della situazione e di sé stesso) e condurre la guerra fino alla vittoria finale.
Anche se la Commissione Agranat, sorta per indagare su quanto non aveva funzionato nella guerra dell’ottobre 1973, non attribuì responsabilità particolari alla dirigenza politica del paese, a cui Dayan apparteneva, un’ondata di proteste da parte dell’opinione pubblica costrinse lui e Golda Meir a dimettersi.

Ministro degli Esteri

Secondo chi lo conosceva, la guerra del Kippur aveva profondamente depresso Dayan. Per un certo periodo dopo le dimissioni dal governo, tenne un profilo politico basso. Nel 1977, anche se rieletto alla Knesset nella lista del Partito Laburista, accettò di diventare Ministro degli Esteri nel nuovo governo, retto dal leader del Likud Menachem Begin. Dayan non entrò mai a far parte del Likud, ma ugualmente il nuovo incarico ministeriale fu visto come un tradimento da molti suoi colleghi di partito laburisti.
Agli Esteri, il suo ruolo fu basilare per giungere agli Accordi di Camp David, con cui si stabilì la pace con l’Egitto. Dayan si dimise nel 1979 (assieme ad Ezer Weizman, che in seguito entrò nel partito laburista), a causa di disaccordi con Begin riguardo alla questione palestinese. Gli accordi di pace con l’Egitto includevano clausole riguardanti futuri negoziati con i palestinesi, ma Begin, contrario all’ipotesi, non inserì Dayan tra gli incaricati delle trattative.

La morte

Nel 1981, Dayan fondò un nuovo partito, il Telem, che chiedeva un ritiro unilaterale dalla Cisgiordania e dalla Striscia di Gaza. Alle elezioni politiche del 30 giugno 1981, per la decima legislatura della Knesset, il partito vinse due seggi, ma Dayan morì poco dopo, a Tel Aviv, di cancro al colon. È sepolto nel moshav di Nahalal, dove era cresciuto.

Eredità

Dayan era una personalità controversa e le sue opinioni non sempre erano chiare al prossimo. Ebbe pochi amici stretti. La sua intelligenza brillante ed il suo carisma si combinavano ad un notevole cinismo ed a una certa mancanza di senso del limite.
Ariel Sharon di lui disse: Si potrebbe svegliare con cento idee, di cui novantacinque pericolose e tre cattive. Le altre due, di contro, sarebbero brillanti.
Dayan combinò un’identità laica, da membro di un kibbutz ed un certo pragmatismo, con un profondo amore, quasi mistico, per il popolo ebraico e per la terra d’Israele. Pare che, vedendo la folla di religiosi ebrei che si affollava sulla Spianata del Tempio dopo la conquista di Gerusalemme nel 1967, abbia domandato "Dove siamo? In Vaticano?". Più tardi fece rimuovere la bandiera israeliana dalla Cupola della Roccia. Ritenendo che la Spianata del Tempio fosse più importante come luogo storico che come luogo sacro, ne affidò il controllo amministrativo ad un consiglio mussulmano.
Dayan fu anche uno scrittore ed un archeologo dilettante. La passione per l’archeologia lo spinse a collezionare diversi reperti, non sempre nel rispetto delle leggi. Dopo la sua morte, la collezione venne venduta dalla seconda moglie Rachel, allo stato. La prima moglie si chiama Ruth.
Sua figlia Yael è scrittrice ed ha seguito le sue orme in politica. Nel corso degli anni, ha aderito a diversi partiti di sinistra, sedendo anche alla Knesset e nel consiglio comunale di Tel Aviv.
Il figlio Assi è regista, il nome a volte viene scritto con una sola s Asi.

OTTO SKORZENY

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Otto Skorzeny (Vienna 12 giugno 1908 - Madrid 5 luglio 1975) fu un colonnello austro-tedesco. È stato uno dei più conosciuti ed abili soldati della Germania nazista durante la Seconda guerra mondiale.
Aderì al partito nazista austriaco nel 1930 e otto anni dopo fu favorevole all'annessione tra l'Austria e il Terzo Reich. Nel 1939 giunse a Berlino ed entrò nella "Leibstandarte Adolf Hitler", passando l'anno seguente alla divisione "Das Reich". Dopo aver combattuto in Olanda e poi in Francia, nel 1941 venne trasferito sul Fronte Orientale, dal quale fu rimpatriato nel dicembre 1942. Nell'aprile del 1943 venne destinato all'ufficio VI (il Sicherheitsdienst) del RSHA, con l'incarico di organizzare una piccola unità di commando (Friedenthaler Jagdverbände) con il compito di sviluppare la condotta di azioni di guerra sul modello dei commando inglesi, e che quindi si doveva affiancare ai già esistenti reparti Brandenburg dell'Abwehr: le prime missioni in Medio Oriente e in Russia, tuttavia, fallirono.
Dopo il 25 luglio 1943, Skorzeny venne inviato in Italia da Himmler con l'incarico di coadiuvare il generale Kurt Student, cui Hitler aveva affidato l'incarico di condurre l'Operazione Eiche (ovvero di cercare il luogo in cui Mussolini era tenuto prigioniero e di liberarlo). I suoi compiti di fatto si esaurirono nel momento in cui venne scoperta la prigione di Mussolini sul Gran Sasso, e anche se egli prese parte all'operazione (condotta il 12 settembre da paracadutisti del Fallschirmjäger-Lehrbataillon), lo fece solamente come osservatore.
Tuttavia, nel momento che era previsto che almeno un uomo dovesse accompagnare Mussolini all'aeroporto di Pratica di Mare, e da lì in Germania, il fatto che questo uomo sia stato Skorzeny lo catapultò in una massiccia operazione di propaganda di Goebbels che lo rese il protagonista dell'operazione a danno dei veri liberatori di Mussolini. Promosso al grado di SS-Sturmbannführer e decorato con la Croce di Cavaliere, a Skorzeny venne affidato il comando della sezione S (Operazioni speciali) del Sicherheitsdienst.
Nell'aprile del 1944 collaborò con Himmler alla pianificazione dell'operazione, poi fallita, condotta dall'SS-Fallschirmjäger Bataillon 500 per la cattura di Tito. Egli poté mettersi di nuovo in luce a seguito del fallito attentato di von Stauffenberg a Hitler del 20 luglio 1944, quando organizzò un'unità speciale delle SS che a Berlino iniziò la repressione.
In ottobre, con un altro colpo di mano, rapì a Budapest il figlio del reggente d'Ungheria, ammiraglio Horthy, occupando la sede del governo magiaro e impedendo a quest'ultimo di siglare un accordo di armistizio con le forze sovietiche. Per questo successo il 22 ottobre, a Rastenburg, venne promosso SS-Obersturmbannführer e incaricato nell'ambito dell'operazione Wacht am Rhein (l'Offensiva delle Ardenne), di occupare i ponti di Amay, Huy e Ardenne, sulla Mosa (Operazione Greif), con un'unità da lui stesso organizzata e diretta, la Panzerbrigade 150, composta interamente da soldati tedeschi in uniforme americana e che sapevano parlare benissimo l'inglese.
Fu catturato nel maggio del 1945 dagli americani, ma fu successivamente assolto da tutte le accuse (1947) per crimini di guerra. Nel 1948 abbandona l'Austria e si reca in Spagna, alla corte del caudillo Francisco Franco, di cui Skorzeny sarà sempre un sostenitore. Il suo antisemitismo e il suo odio nei confronti di Israele lo porteranno a sostenere, in sede ONU, alcune risoluzioni in favore della Palestina, anche se il leader Yasser Arafat era ideologicamente molto diverso da lui.
 
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Hellas Army
view post Posted on 29/8/2006, 16:00     +1   -1




minchia, due giudei :blink:

io allora rilancio con questo :D

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da notare che sul giornale books & booksmen scrisse che in germania non c'era alcun lager ;)
 
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view post Posted on 29/8/2006, 16:16     +1   -1




seh, ma hai dimenticato la biografia...

Simon Wiesenthal (Buczacz, Impero Austro-Ungarico (ora Buchach, Ucraina) 31 dicembre 1908 - Vienna, 20 settembre 2005), dedicò la maggior parte della sua vita a raccogliere le informazioni necessarie sui criminali nazisti per poterli sottoporre a processo.

I primi anni e la Seconda guerra mondiale

Simon Wiesenthal era un ingegnere civile. Ricevette la laurea dall'Università Tecnica di Praga nel 1932 dopo esser stato rifiutato dal Politecnico di Lwów a causa delle restrizioni razziali imposte agli studenti ebrei. Nel 1936 sposò Cyla Mueller. Wiesenthal, quando scoppiò la Seconda guerra mondiale, viveva a Lwów in Polonia. In seguito al patto Molotov-Ribbentrop Lwów fu occupata dall'Unione Sovietica. Il patrigno ed il fratellastro di Wiesenthal furono uccisi da membri del NKVD, la polizia segreta sovietica. Wiesenthal stesso fu costretto a chiudere la sua ditta e lavorare in una fabbrica. Quando la Germania invase l'Unione Sovietica nel 1941 Wiesenthal e la sua famiglia furono catturati dai nazisti ed avviati verso i campi di concentramento.
La moglie di Wiesenthal riuscì a nascondere la sua identità ebrea per via dei capelli biondi e grazie a documenti falsi fornitele dalla resistenza polacca in cambio degli schemi degli scambi ferroviari disegnati da Wiesenthal. Simon non fu così fortunato, fu internato in vari campi di concentramento dove sfuggì all'esecuzione in varie occasioni.

L'inizio della caccia ai criminali nazisti

Wiesenthal fu liberato dalle forze statunitensi il 5 maggio 1945 dal campo di concentramento di Mauthausen. Quando i soldati lo trovarono, egli pesava meno di 45 chilogrammi ed era senza forze. Appena si rimise iniziò a lavorare per conto dell'esercito statunitense raccogliendo informazioni per i processi contro i crimini di guerra nazisti. Nel 1947 egli e altri trenta volontari fondarono il Centro di documentazione ebraica a Linz in Austria per raccogliere informazioni per futuri processi. Quando Stati Uniti ed Unione Sovietica persero interesse nel perseguire ulteriori crimini di guerra, il gruppo fu messo da parte. Wiesenthal stesso continuò con la raccolta di informazioni nel suo tempo libero mentre lavorava a tempo pieno per aiutare le vittime della Seconda guerra mondiale. Durante questo periodo, Wiesentahl fu essenziale per la cattura del principale ideatore dell'Endlösung (Soluzione finale), Adolf Eichmann. Dopo l'esecuzione di Eichmann in Israele nel 1962, Wiesenthal riaprì il Centro per la documenazione ebraica che cominciò a lavorare su nuovi casi. Tra i suoi successi più clamorosi vi fu la cattura di Karl Silberbauer, l'ufficiale della Gestapo responsabile dell'arresto di Anna Frank. La confessione di Silberbauer aiutò a discreditare la voce che Il diario di Anna Frank fosse un falso. In questo periodo Wiesenthal localizzò nove dei sedici nazisti messi sotto processo nella Germania Ovest per l'uccisione degli ebrei di Lwów, città dove visse egli stesso. Tra gli altri criminali catturati Franz Stangl, il comandante dei campi di concentramento di Treblinka e Sobibor, Hermine Braunsteiner-Ryan, una casalinga che viveva a Long Island, New York che durante la guerra aveva supervisionato all'uccisione di centinaia di bambini.

Il Wiesenthal Center

Nel 1977 gli fu dedicata l'agenzia per la memoria sull'olocausto, il Simon Wiesenthal Center. Il Simon Wiesenthal Center promuove la consapevolezza dell'antisemitismo, controlla i gruppi neonazisti, gestisce i musei della Tolleranza a Los Angeles e Gerusalemme e collabora ad assicurare alla giustizia i criminali nazisti di guerra sopravvis

Coinvolgimento dei politici in Austria e gli ultimi anni

Negli anni '70, fu criticato e ostacolato da politici austriaci quando affermò che molti ministri del governo socialista formato da Bruno Kreisky erano stati membri del Partito nazista quando l'Austria era parte del Terzo Reich. Lo stesso Kreisky, di origine ebrea, apostrofò Wiesenthal come Nestbeschmutzer, uno che sporca il proprio nido.
Durante gli anni Wiesenthal ricevette molte minacce di morte, nel 1982 fu fatta esplodere una bomba all'esterno della sua abitazione a Vienna dai Neonazisti tedeschi ed austriaci.
Nell'aprile 2003 Wiesenthal annunciò il suo ritiro dicendo di aver trovato gli sterminatori che stava cercando: "Sono sopravvissuto a tutti loro. Se ne è rimasto qualcuno, sarebbe troppo anziano e debole per sostenere un processo oggi. Il mio lavoro è finito.". Secondo Wiesenthal l'ultimo grande criminale austriaco in vita è Alois Brunner, il braccio destro di Eichmann, che si crede si nasconda in Siria sotto la protezione del regime di Assad.
Wiesenthal passò gli ultimi suoi anni di vita a Vienna dove morì sua moglie Cyla il 10 novembre 2003 all'età di 95 anni per cause naturali. Wiesenthal stesso morì nel sonno a Vienna il 20 settembre 2005.

Miscellanea

Il 19 febbraio 2004 la Gran Bretagna decise di premiare con la carica onoraria di cavaliere Wiesenthal in riconoscimento ad una "vita al servizio dell'umanità". La carica di cavaliere riconobbe anche il lavoro del Simon Wiesenthal Center. A Wiesenthal vennero attribuite inoltre la medaglia del Congresso statunitense, la medaglia della Libertà tedesca, la medaglia Luxemburg della libertà, la legione d'onore francese, la croce d'onore austriaca per le arti e le scienze e le decorazioni dei gruppi della resistenza francesi ed austriaci.
Il personaggio di Yakov Liebermann del romanzo di Ira Levin I bambini venuti dal Brasile è stato modellato su Wiesenthal ed egli apparì come personaggio secondario in Dossier Odessa di Frederick Forsyth che forniva informazioni ad un giornalista tedesco sulle tracce di un criminale nazista.

Critiche

Secondo Peter Novick e Yehuda Bauer, Wiesenthal inventò il numero di "vittime non ebree dell'Olocausto", cinque milioni.
Un articolo del 7 maggio 1991 pubblicato sul Jerusalem Post sosteneva che il precedente capo del Mossad Isser Harel avesse scritto un manoscritto mai pubblicato nel quale si sosteneva che Wiesenthal "non solo non ebbe alcun ruolo nel perseguire Eichmann ma mise in pericolo l'intera operazione Eichmann e fece fallire la cattura programmata del medico di Auschwitz Josef Mengele". Harel sosteneva di aver scritto il manoscritto frustrato dal credito guadagnato da Wiesenthal per la cattura di Eichmann. Harel rifiutò di pubblicare il manoscritto dicendo che "I Nazisti e gli antisemiti sarebbero gli unici contenti di leggere del cacciatore di Nazisti Wiesenthal".
In un articolo successivo, Haim Mass argomentò che le specifiche accuse di Harel contro Wiesenthal potevano essere confutate e Wiesenthal iniziò la caccia ad Eichmann fornendo la prima fotografia del colonnello delle SS. Lo stesso Wiesenthal criticò la motivazione addotta da Harel per non aver pubblicato il suo manoscritto chiedentdo " se è preoccupato che 'i Nazisti e gli antisemiti sarebbero gli unici a essere felici di leggere del cacciatore di Nazisti Wiesenthal', perché egli non esitò a continuare a screditarmi senza riserve sui media? Egli pensa che Naziste ed antisemiti leggano solo libri e non i giornali?".
Il collega nella caccia ai Nazisti Tuviah Friedman accusò Wiesenthal di aver raccontato cose non vere per aumentare il suo credito con il caso Eichmann.
Il capo dell'ufficio investigazioni speciali (OSI) degli Stati Uniti Eli Rosenbaum scrisse nel suo studio sul caso Waldheim Betrayal: The Untold Story of the Kurt Waldheim Investigation and Coverup:
"In conclusione, il ruolo di Wiesenthal nei casi più grossi sui Nazisti - Mengele, Bormann e naturalmente Eichmann - furono esempi di inettitudine, esagerazione ed autoglorificazione".
Rosenbaum descrisse Wiesenthal come "bugiardo congenito" alla biografa di Wiesenthal, Hella Pick.
Il predecessore di Rosenbaum alle investigazioni speciali, Neal Sher, rispondendo alla richiesta di Wiesenthal all'OSI di investigare sui criminali di guerra che vivevano negli Stati Uniti. scrisse: "poche delle vostre richieste si sono concluse con un'investigazione[;] la conclusione è... nessuna richiesta giunta dal vostro ufficio ha prodotto l'apertura di un caso da parte dell'OSI".
Il controverso autore ucraino-statunitense Myron B. Kurops denigrò le affermazioni di Wiesenthal sugli Ucraini: "Le truppe bolsceviche non erano capaci ma la cavalleria ucraina era peggio" e "La popolazione nativa dell'Ucraina cooperò attivamente con la Gestapo e le SS", poiché offrì poche prove di questo.


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Hellas Army
view post Posted on 29/8/2006, 16:17     +1   -1




EUGENE TERRE'BLANCHE

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I suoi antenati provenivano dalla Francia. Suo nonno, Etienne Terre’Blanche, fu un ribelle della Colonia Britannica del Capo, che combatté al fianco dei propri compatrioti Boeri. Suo padre fu Tenente Colonnello nelle precedenti Forze Armate Sudafricane e Comandante del distretto d’appartenenza.
Eugène Terre’Blanche fu selezionato fra 20.000 giovani Ufficiali di Polizia come guardia del corpo dell’allora Presidente e Primo Ministro Sudafricano. Le idee liberali del Primo Ministro provocarono una forte delusione in Eugène Terre’Blanche. Nel 1970, con 6 spiriti affini, fondò l’Afrikaner Weerstandsbeweging [in Italiano: Movimento di Resistenza Afrikaner] (AWB).
L’insieme di questi sette uomini diede vita al simbolo dell’AWB, il “Tre-Sette”, realizzato in opposizione al numero 666 delle forze sataniche.
Il suo Movimento aumentò dai 7 membri fondatori ad un numero di 70.000 persone, all’interno di un paese con una popolazione Bianca di 3,5 milioni.
Durante i comizi pubblici riuscì a radunare elevati numeri di ascoltatori, più di qualsiasi altro esponente politico Bianco. Il Governo Bianco rimase freddo ai suoi consigli e avvertimenti, fino alla sua capitolazione all’ANC, il più numeroso partito politico di neri.
Il nuovo governo nero ha costruito scandali e sostenuto false accuse nei tribunali contro Eugène Terre’Blanche, con l’aiuto dei propri agenti e il supporto dei mezzi d’informazione controllati dalla sinistra. L’AWB e il suo stato maggiore, comunque, non si sono fatti influenzare da tali campagne denigratorie e sono rimaste saldamente al suo fianco, riconoscendo in lui l’unico condottiero del nostro popolo. Terre’Blanche impugna la torcia della libertà per la sua nazione ed è riconosciuto come uno dei migliori oratori del mondo.
Come forse molti di voi già sanno, il capo dell’AWB, Sig. Eugène Terre’Blanche, sta attualmente scontando una sentenza di cinque anni in carcere, per tentato omicidio. Non ci sono prove di questo crimine ed egli è stato incarcerato in quanto ritenuto una minaccia per la “democrazia” in Sudafrica
 
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view post Posted on 29/8/2006, 16:24     +1   -1




ZELIJKO RAZNATOVIC - COMANDANTE ARKAN

Amatelo, odiatelo, osannatelo, disprezzatelo... Di sicuro uno che "HA vissuto, non è "sopravvissuto", in tutti i sensi...

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Nato in Slovenia da genitori serbi, Arkan deve la sua ricchezza alle rapine a mano armata in Europa occidentale, al contrabbando di armi e benzina e al saccheggio di abitazioni di musulmani bosniaci e di croati durante la guerra in Bosnia. In particolar modo, Arkan si è arricchito grazie al saccheggio sistematico delle case di amici e parenti di lavoratori emigrati ed ex-emigrati, dove trovava i risparmi inviati alle famiglie, che, non fidandosi del sistema bancario dell’Ex-Jugoslavia e per paura dell’inflazione galoppante, nascondevano la valuta in casa.
All’inizio degli anni 70 lavorava per i Servizi Segreti della Jugoslavia comunista. Con il primo febbraio 1974 si apre, con una rapina in un ristorante milanese, una lunga serie di rapine a mano armata in Svezia, Belgio e Paesi Bassi. Sconta una pena di 4 anni in Belgio, ma riesce a fuggire.
Tornato in Jugoslavia all’inizio degli anni ‘80 diventa capo della sicurezza della discoteca “Amadeus” e presidente del Fanclub della squadra “Stella Rossa Belgrado”. Uccide il direttore dell’Azienda Elettrica INA. A fine novembre 1990 è arrestato a Dvor/Una dalla polizia croata per traffico d’armi e rilasciato nel marzo del 1991.
A partire da quell’anno Arkan gestisce il Centro per la Formazione Militare del Ministero per gli Affari Interni serbo, recluta tra i seguaci del “F.C. Stella Rossa Belgrado” un'unità di volontari forte di circa 3000 uomini, che si danno il nome di “Tigri” e che a partire dall’autunno 1991 opererà come unità paramilitare lungo la frontiera serbo-croata.
La lista dei crimini commessi dall’unità “Tigre” è molto lunga: era solita attaccare con l’artiglieria un paese, di norma musulmano o croato, quindi vi entrava installandovi il terrore, uccidendo arbitrariamente civili, commettendo stupri, saccheggiando e distruggendo propietà private e monumenti e installando campi di concentramento. Secondo un documento interno dell’esercito Popolare Jugoslavo, il motivo principale per la lotta di Arkan non era tanto la lotta al nemico, quanto l’appropriazione di proprietà private.
Il 4 aprile 1992 l’unità “Tigre” uccise 17 persone a Bijeljina, lanciando dapprima una bomba nel Caffè Istanbul e poi un’altra nel negozio del macellaio del paese. Nei giorni seguenti le “Tigri” furono responsabili di 400 omicidi. L’unità paramilitare di Arkan operava allora nel quadro della sesta Brigata del Corpo d’Armata.
Il 2 maggio 1992 a Brcko le truppe di Arkan uccidono 600 persone negli insediamenti bosniaco-musulmani di Kolobara, Mujkici e Merajele. Gli uomini di Arkan mettono in piedi il campo di concentramento “Luka-Brcko” per Bosniaci musulmani e Croati. Il direttore del campo di concentramento è un uomo di Arkan. Davanti alla moschea di Glogova vengono uccisi 40 uomini.
Il 24 maggio 1992 le “Tigri”di Arkan massacrarono a Prijedor e nei vicini paesi Hambarine, Kozarac, Tokovi, Rakovcani, Cele e Rizvanovici più di 20.000 persone.
Il 20 giugno 1992 eseguirono una pulizia etnica a Sanski Most, massacrando nel vicino paese di Krasulja 700 persone (la fossa comune fu aperta nel 1997) e altre 180 persone, in primo luogo donne e bambini (anche questa fossa comune è stata scoperta nel 1997).
In febbraio/marzo 1993 Arkan e le sue truppe parteciparono al massacro a Cerska, in cui morirono 700 persone.
A Visegrad le truppe di Arkan parteciparono ai crimini contro i musulmani. Nella città che forní al premio Nobel Ivo Andric lo sfondo per il suo romanzo “Il ponte sulla Drina”, centinaia di musulmani furono uccisi, buttati dal ponte Drina o, come accadde ad una settantina di uomini, bruciati vivi.
L’11 giugno 1995 e nei giorni seguenti Arkan e le sue truppe aiutarono Ratko Mladic ad eseguire le esecuzioni di massa a Srebrenica.
Nel 1996 Arkan partecipò con il partito dell’Unità Serba, da lui fondato, alle elezioni in Bosnia, ottenendo un finanziamento di 225.000 dollari dall’OSCE.
Incriminato come criminale di guerra e ricercato dal Tribunale dell'Aja per le atrocità commesse durante le guerre in Croazia e in Bosnia-Erzegovina viene ucciso nella hall dell'hotel Intercontinental di Belgrado nel 2000, crivellato dai colpi di un commando killer.
 
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Hellas Army
view post Posted on 29/8/2006, 16:26     +1   -1




Che dire, nella mia area è un personaggio apprezzato. Erroneamente a mio parere.
 
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Chi l'ha visto?
view post Posted on 29/8/2006, 16:40     +1   -1




Mah sai, Hellas, nella tua area, che è anche la mia di partenza per capirci, si tende a glorificare il valore del "combattente per il combattente", specie se questi lo è/è stato in senso anticomunista o antiamericano (questo per semplificare, ovviamente...). Nel caso di Arkan, questo requisito c'è di sicuro... D'altronde, non si può negare nemmeno che abbia combattuto anche donne, bambini, vecchi (ammazzandoli come mosche e peggio che mosche). che abbia stuprato, depredato e fatto e un sqacco di soldi nel modo più sporco. che sia stato, prima e dopo, anche un criminale comune (ma anche un ultras). Questo, magari, per qualcuno (me compreso) potrebbe essere a certe condizioni un punto d'onore...

Poi bisogna guardare con occhi disincantati la guerra: spesso in guerra valore estremo e ferocia estrema coincidono, il mito dei cavalieri senza macchia e senza paura è morto, se mai ha avuto ragione di esistere (se non per qualche chiaro esempio nella storia...). Chi s getta nella mischia senza voltarsi indietro, spesso è alo stesso che poi si prende, diciamo, le sue "libertà", fatte di sangue e dolore altrui...

Io non provo nemmeno a giudicare, perchè una guerra non l'ho mai vista da vicino, Mi linmito a ripetere, che di sicuro si tratta di uno che ha "fatto", non è rimasto a guardare...
 
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BianconeroNato
view post Posted on 29/8/2006, 16:41     +1   -1




Karadzic io lo apprezzo molto di più!
 
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Chi l'ha visto?
view post Posted on 29/8/2006, 16:43     +1   -1




:o: :o: :o: :o: :o: :o: :o: :o: :o: :o: :o: :o: :o:
 
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BianconeroNato
view post Posted on 29/8/2006, 16:44     +1   -1




si è ancora latitante!
 
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171 replies since 25/8/2006, 13:14   24393 views
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