VIVERE ULTRAS forum: I colori ci dividono, la mentalità ci unisce! (dal 23/01/04)

Personaggi Storici

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Slalom-Lager
view post Posted on 25/8/2006, 13:14     +1   -1




Spero vi piaccia l'idea di creare un Topic, in cui ognuno è libero di inserire personaggi storici che ritiene, per un modo o per un altro, particolari e interessanti. Unica regola: non devono essere capi di stato. Vi pregherei di limitare le vostre discussioni, alla figura scelta e evitare commenti propagandistici, altrimenti verrà chiesto ai moderatori di cancellare. E' indispensabile, rispetto e maturità.

Joseph Goebbels

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Nato a Rheydt in Renania nel 1897, a quattro anni si ammala di poliomielite che lo isola dai coetanei fino a 12 anni e gli rese l'infanzia triste e infelice. I fratelli lo ricordano rinchiuso volontariamente in soffitta dove leggeva libri e enciclopedie. I genitori di Goebbels sognavano che il figlio facesse carriera militare, ma ciò fu impossibile a causa della poliomielite che aveva degenerato il suo fisico. Infatti, allo scoppio della prima guerra mondiale Joseph frequentava il liceo e fu scartato dal servizio militare senza neppure una visita. I genitori pensarono che sarebbe diventato un prete brillante, Joseph allora, si rivolse a padre Moller. Ottenne un prestito, presso l'Albertus Magnus, di 964 marchi che lo aiuteranno negli studi e nella vita. Goebells conseguì una splendida carriera scolastica con ottimi voti in Tedesco, Latino e Greco.

A venti tre anni si laurea e intraprende la strada della letteratura e del giornalismo e diviene segretario di un piccolo partito di estrema destra guadagnando circa 100 marchi al mese. La sua carriera da giornalista è disastrosa, il suo primo manoscritto Michael, infarcito di luoghi comuni, e accenti nazionalistici viene respinto dagli editori e dai giornali. Nasce da lì il suo odio profondo verso gli ebrei rei di avere il monopolio sulla cultura tedesca. Goebbels si avvicina nel 24 al partito nazionalsocialista per caso, quando un suo amico lo invita ad ascoltare un discorso di propaganda tra nazisti e socialisti e viene invitato, a intervenire al dibattito.

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I socialisti lo accusano di essere uno sfruttatore capitalista ma, Joseph con un abile mossa propagandista, invita un uomo della folla a salire sul palco e a mostrare al pubblico quanti soldi avesse nel portafoglio. Joseph svuota anch'egli il portafoglio che conteneva solo pochi spiccioli, il pubblico applaude ormai conquistato. Nel 24 inizia quindi la sua attività politica divenendo Gauleiter della Renania e s'iscrive al partito nazionalsocialista e Hitler lo incarica di riorganizzare il partito, irreggimentare le S.A., e di conquistare propagandisticamente le piazze più difficili della Germania. Le sue doti di abilissimo oratore sempre padrone di sè, che finge a meraviglia le sue emozioni, capace di sfruttare la ricchezza della sua voce, capace di stabilire immediatamente il contatto con il pubblico, riescono a infondere odio e entusiasmo alla folla, sempre più numerosa, che assiste ai suoi discorsi.

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I suoi interventi in pubblico causano sempre più tensioni sociali culminando in pestaggi e a volte provocando anche la morte. Goebbels, divenuto ormai un abilissimo propagandista, riesce anche a sfruttare le sconfitte, esaltando la sofferenza dei feriti e addirittura ingaggiando degli attori che saranno avvolte in bende tinte con l' anelina per simulare le ferite. Joseph riorganizza anche i manifesti propagandistici ridisegnandoli con caratteri più marcati e con colori più vivaci per attrarre più facilmente il pubblico. La battaglia più attiva la conduce sulla stampa, sul giornale Der Angriff (l'assalto), un giornale di ispirazione anticomunista e antisemita che non dà pace agli oppositori politici con calunnie, insinuazioni e scandali. Nel 1930 il nazismo ottiene i primi successi (da 800 mila voti il partito guadagnò più di sei milioni di consensi), acquisendo 107 parlamentari nel Reichstag e Goebbels venne nominato capo della propaganda. Nei tre anni seguenti Goebbels getta le basi per l'avvento del Nazismo facendo ricorso a tutti i mezzi possibili come la radio con la quale trasmette i discorsi nelle più grandi città tedesche e con il grammofono distribuendo per posta più di 50000 dischi contenenti duri attacchi al governo.

Anche l'aviazione diventa strumento di propaganda: Hitler giunge ai comizi in aereo e Goebbels lo annuncia alla folla dicendo che il Fuhrer arriva dal cielo. Nel 1933 Hitler diventa cancelliere e cominciano gli anni dei trionfi nei quali Goebbels monta un apparato di propaganda che raccoglie nelle sue mani tutti i più moderni mezzi di espressione. In pochi mesi riesce a controllare l'industria cinematografica, poi estende il potere sulla letteratura creando una lista nera dei libri proibiti ed espropriando le principali case editrici estendendo, di fatto, la propaganda anche all'estero. Così in pochi anni Goebbels, libero da antichi complessi di frustrazione e di inferiorità, diventa uno degli uomini più potenti e temuti della Germania, ammirato anche all'estero. Allo scoppio del secondo conflitto mondiale si schierò con gli estremisti quali Bormann e Himmler e promulgò i decreti della "guerra totale" e della "terra bruciata" e chiese sempre più misure severe contro chi dava segno di debolezza o di cedimento. Con questi decreti cominciò a incitare i tedeschi alla distruzione di tutto ciò che rimanesse nelle mani del nemico e nel 45 Hitler lo nominò difensore di Berlino e per la sua prima volta nella vita Goebbels ebbe la divisa da ufficiale. Hitler alla vigilia della morte lo nominò Cancelliere del Reich e il primo e ultimo atto ufficiale di Goebbels quale capo del governo fu un telegramma a Doenitz che era a Flensburg. Alle 18,15 del primo maggio mise a letto i suoi figli addormentandoli con il sonnifero poi li fece avvelenare da un ufficiale medico. Dieci minuti più tardi Joseph con la moglie Magda salirono abbracciati nel giardino della Cancelleria e si uccisero con il cianuro e la rivoltella: Goebbels aveva 48 anni, Magda 44.


 
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ButelFabio
view post Posted on 25/8/2006, 13:43     +1   -1




Francesco Crispi
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. ( l'ho presa da qua tanto per star sul breve )

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Francesco Crispi (Ribera, 4 ottobre 1819 - Napoli, 12 agosto 1901), statista italiano, fu Presidente del Consiglio dei ministri italiano nei periodi 7 agosto 1887 - 6 febbraio 1891 e 15 dicembre 1893 - 14 giugno 1896


Primi anni

Nel 1846 iniziò l'attività di avvocato a Napoli. Il 12 gennaio 1848 allo scoppio della rivoluzione siciliana a Palermo si affrettò a raggiungere l'isola e prese parte attiva alla guida dell'insurrezione. Dopo la restaurazione del governo borbonico 15 maggio 1849 fu escluso dai benefici dell'amnistia e costretto a riparare in Piemonte.

Qui cercò invano di ottenere un impiego come segretario comunale di Verolengo e si ridusse a sbarcare il lunario facendo il giornalista. Coinvolto nella cospirazione mazziniana di Milano del 6 febbraio 1853, fu espulso dal Piemonte e costretto a rifugiarsi a Malta e in seguito a Parigi. Espulso anche dalla Francia, raggiunse Mazzini a Londra, dove continuò a cospirare per il riscatto dell'Italia.

Il 15 giugno 1859 rientrò in Italia dopo aver pubblicato una lettera in cui si opponeva all'ingrandimento del Piemonte, autoproclamandosi fautore di uno stato italiano unito e repubblicano. Per due volte quell'anno percorse, in incognito, varie città siciliane, preparando l'insurrezione del 1860.


La spedizione dei mille

Tornato a Genova, organizzò insieme a Bertani, Bixio, Medici e Garibaldi la Spedizione dei Mille e, aggirando con uno stratagemma le esitazioni di Garibaldi, fece in modo che la spedizione prendesse il via il 5 maggio del 1860. Dopo gli sbarchi a Marsala il giorno 11 e a Salemi il 13, Garibaldi fu proclamato dittatore della Sicilia con le parole d'ordine Italia e Vittorio Emanuele.

Dopo la caduta di Palermo, Crispi fu nominato Ministro dell'Interno e delle Finanze del governo siciliano provvisorio, ma fu presto costretto a dimettersi a seguito dei contrasti fra Garibaldi e gli emissari di Cavour sulla questione dell'immediata annessione all'Italia. Nominato segretario di Garibaldi, Crispi ottenne le dimissioni di Depretis, che Garibaldi aveva nominato dittatore in sua vece, e avrebbe sicuramente continuato ad opporsi risolutamente al Cavour a Napoli, dove era stato nominato da Garibaldi Ministro degli Esteri, se l'arrivo delle truppe regolari italiane non avesse portato all'annessione del Regno delle due Sicilie all'Italia e poi al ritiro di Garibaldi a Caprera e alle dimissioni dello stesso Crispi.


La politica

Nel 1861 si candidò per l'estrema sinistra alla Camera dei Deputati nel Collegio di Palermo, ma venne battuto. Per fortuna, un caro amico siciliano, il repubblicano Vincenzo Favara, aveva presentato la sua candidatura nel Collegio di Castelvetrano (TP), dove Crispi, pur essendo sconosciuto ai più, risultò vincitore grazie alla campagna propagandistica svolta dal suo “grande elettore”, che organizzò anche una raccolta fondi per consentire al neo-deputato, all'epoca in gravi ristrettezze economiche, di recarsi a Torino per l’inaugurazione del Parlamento.

Alla Camera, Crispi acquistò la fama di essere uno dei membri più combattivi e irruenti del partito repubblicano. Nel 1864, tuttavia, egli si convertì alla fede monarchica, pronunciando la famosa frase, in seguito ripetuta nella sua corrispondenza con Mazzini: La monarchia ci unisce, la repubblica ci divide.

Nel 1866 declinò la proposta di entrare nel governo Ricasoli e nel 1867 si adoperò per impedire l'invasione degli Stati Pontifici ad opera dei Garibaldini, prevedendo la conseguente reazione francese che portò al disastro di Mentana. Utilizzando lo stesso metodo che in seguito Cavallotti userà contro lo stesso Crispi, provocò la violenta agitazione, nota come affare Lobbia, con la quale parecchi deputati dell'ala conservatrice furono accusati di corruzione, senza che vi fosse il supporto di prove consistenti a sostegno di questa accusa.

Allo scoppio della guerra Franco-Tedesca del 1870 si adoperò energicamente per impedire la progettata alleanza dell'Italia con la Francia e per trasferire a Roma il governo Lanza. La morte di Rattazzi nel 1873 indusse i sostenitori di Crispi ad avanzare la sua candidatura per la guida della Sinistra, ma Crispi, ansioso di rassicurare la Corona, sostenne invece l'elezione di Depretis.

Dopo l'avvento al potere della Sinistra nel novembre 1876 fu eletto Presidente della Camera. Nell'autunno del 1877 si recò a Londra, Parigi e Berlino per una missione di carattere riservato, avendo così occasione di stabilire cordiali relazioni personali con Gladstone, Granville e altri statisti inglesi, nonché con il cancelliere Bismarck.

Nel dicembre 1877 prese il posto di Nicotera al Ministero degli Interni del governo Depretis, e il suo breve dicastero (70 giorni) fu caratterizzato da una serie di importanti avvenimenti. Il 9 gennaio 1878 la morte di Vittorio Emanuele II e l'ascesa al trono di Umberto diedero modo a Crispi di garantire il formale insediamento di una monarchia unitaria attraverso l'assunzione da parte del nuovo re del nome di Umberto I Re d'Italia, anziché di quello di Umberto IV di Savoia. Le spoglie di Vittorio Emanuele furono sepolte nel Pantheon di Roma invece che essere trasferite al mausoleo dei Savoia a Superga. Il 9 febbraio 1879 la morte di Pio IX fu seguita dal primo conclave tenuto dopo l'unificazione dell'Italia.

Crispi, con l'aiuto del cardinale Pecci, che in seguito diventerà Papa Leone XIII, persuase il Sacro Collegio a tenere il conclave a Roma e prorogò la durata della legislatura nel timore che la solennità dell'evento potesse altrimenti esserne disturbata. Le qualità di grande statista dimostrate in questa occasione non furono sufficienti ad evitare l'ondata di indignazione scatenata dagli oppositori di Crispi a seguito dell'accusa di bigamia, mossagli senza che a sostegno di essa vi fosse un qualsiasi fondamento legale. Crispi fu costretto a dimettersi, nonostante il fatto che il suo precedente matrimonio, contratto a Malta nel 1883 fosse stato dichiarato nullo, e che egli regolarizzasse in seguito la sua nuova unione con la signora Barbagallo.

Per 9 anni la carriera politica di Crispi subì una battuta d'arresto, ma nel 1887 ritornò in carica come Ministro degli Interni nel governo Depretis, succedendo a Depretis stesso come Primo Ministro nel 1889.

Una delle sue prime iniziative da capo del governo fu quella di recarsi in visita presso Bismarck, che desiderava consultare riguardo il funzionamento della Triplice Alleanza. Basando la propria politica estera su tale alleanza, integrata dal trattato navale con la Gran Bretagna (il cosiddetto naval entente), negoziato dal suo predecessore, Conte Robilant, Crispi assunse un atteggiamento risoluto nei confronti della Francia, interrompendo i lunghi e infruttuosi negoziati sul trattato commerciale franco-italiano, e declinando l'invito francese ad organizzare un padiglione italiano alla grande Esibizione Internazionale di Parigi del 1889.

In politica interna Crispi completò l'adozione dei codici sanitario e commerciale e riformò l'amministrazione della giustizia. Abbandonato dai propri amici del Partito Radicale, Crispi governò con l'appoggio della Destra fino a quando, il 31 gennaio 1891 un'incauta allusione ad un preteso atteggiamento servile del partito conservatore nei confronti delle potenze straniere portò alla caduta del suo governo.

Nel dicembre 1893 l'incapacità del governo Giolitti di ristabilire l'ordine pubblico in Sicilia (i Fasci siciliani) e in Lunigiana, ebbe come conseguenza la richiesta da parte dell'opinione pubblica del ritorno al potere di Crispi. Dopo aver riassunto l'incarico di Primo Ministro represse con forza le insurrezioni, e appoggiò con decisione le energiche misure correttive adottate dal Ministro delle Finanze Sonnino, per salvare le finanze dello stato italiano, duramente scosse dalla crisi del sistema bancario degli anni 1892-1893.

La risolutezza di Crispi nella repressione dei moti popolari, ed il suo rifiuto sia di uscire dalla Triplice Alleanza che di sconfessare il proprio ministro Sonnino, causarono una rottura con il leader radicale Cavallotti, il quale lo attaccò con una spietata campagna diffamatoria. Un fallitto attentato subito ad opera di un anarchico portò ad una momentanea tregua, ma gli attacchi di Cavallotti presto ripresero più aspri che mai. Ciononostante nelle elezioni generali del 1895 Crispi ottenne una vastissima maggioranza, ma un anno dopo, la sconfitta dell'esercito italiano ad Adua durante la Prima guerra Italo-Abissina provocò le sue dimissioni.

Il successivo governo Rudinì dette credito alle accuse di Cavallotti, e, alla fine del 1897 la magistratura chiese alla Camera l'autorizzazione a procedere contro Crispi con l'accusa di appropriazione indebita. Una commissione parlamentare incaricata di indagare sulle accuse mossegli, stabilì soltanto che Crispi, nell'assumere l'incarico di Primo Ministro nel 1893 aveva trovato il fondo di dotazione dei servizi segreti privo di disponibilità, e quindi aveva preso a prestito da una banca di stato la somma di 12.000 lire, da restituirsi con rate mensili garantite dal Tesoro.


Ultimi anni

La commissione, considerando questa procedura irregolare, propose alla Camera, che accettò, un voto di censura, ma si rifiutò di autorizzare l'incriminazione. Crispi si dimise dalla carica di parlamentare, ma fu rieletto a furor di popolo nell'aprile del 1898 nel suo collegio di Palermo. Per alcuni anni partecipò solo marginalmente alla vita politica, soprattutto a causa dell'incipiente cecità. Un riuscito intervento chirurgico gli restituì la vista nel giugno del 1900, e, nonostante avesse ormai 81 anni, riprese in buona misura la precedente attività. Presto, tuttavia, la sua salute peggiorò irreversibilmente, fino alla morte, sopraggiunta a Napoli il 12 agosto 1903.

L'importanza di Crispi nella vita politica italiana dipende meno dalle molte riforme realizzate dalle amministrazioni da lui presiedute che non dal suo forte patriottismo, dalla sua forte e vigorosa personalità, e dalla sua capacità di governare i propri concittadini con la costante tensione di cui essi avevano in quell'epoca bisogno. In politica estera egli contribuì grandemente a sollevare il prestigio dell'Italia, sfatando la fama di inaffidabilità e indecisione guadagnata a causa della politica di molti dei suoi predecessori.

Nei confronti della Francia, è vero che la sua politica apparve priva di tatto e moderazione, ma bisogna tener presente che la repubblica francese era allora impegnata in manovre diplomatiche anti-italiane, aventi lo scopo, sia rispetto ai rapporti col Vaticano che per quanto riguarda la politica coloniale, di creare le condizioni perché l'Italia si piegasse alle esigenze francesi ed abbandonasse la Triplice Alleanza. Crispi sarebbe stato disponibile a favorire buone relazioni con la Francia, ma si rifiutò di cedere alle pressioni e subire imposizioni, e in questo atteggiamento fu sostenuto dalla maggior parte dell'opinione pubblica italiana. Le critiche a cui andò incontro durante la sua carriera furono più dovute alle sfortunate circostanze della sua vita privata e alle malversazioni di alcuni suoi collaboratori, che approfittarono senza scrupoli del suo nome, che non a manchevolezze sue personali o del sua condotta politica.
 
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Slalom-Lager
view post Posted on 25/8/2006, 14:27     +1   -1




Giangiotto, sai che Franceschini scrisse un libro bellissimo sugli anni delle BR ? Si chiama "Mara, Renato e io"; se non l'hai letto, leggilo. Ripercorre tutte le tappe della lotta armata, mettendo in evidenza debolezze e atti di coraggio. Ne vale la pena.
 
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22 Luglio 1927
view post Posted on 25/8/2006, 19:57     +1   -1




Julius Evola

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Julius Evola (Roma, 19 maggio 1898 - 11 giugno 1974), pseudonimo di Giulio Cesare Andrea Evola, fu un pensatore italiano del XX secolo.

Le sue posizioni, vicine al fascismo e il nazismo, ne espressero una critica nella chiave del tradizionalismo. Mussolini, che ne apprezzò il lavoro, gli preferì in seguito Giovanni Gentile come teorico del fascismo. Le sue critiche, da posizioni ancora più radicali, gli valsero in Italia la sospensione di alcune sue pubblicazioni e in Germania il sospetto delle gerarchie naziste. La complessità del suo pensiero gli procurò, anche dopo la fine della guerra, un grande seguito negli ambienti conservatori italiani ed europei, dai nostalgici del nazifascismo fino a esponenti della destra più moderna.

Sintesi del pensiero di Evola
Evola fu propugnatore del tradizionalismo, ossia di un modello ideale e sovratemporale di società, attuato storicamente in alcune delle antiche civiltà, caratterizzato in senso aristocratico. Queste antiche società erano suddivise gerarchicamente sulla base della qualità naturale degli individui, di carattere ereditario e genetico dunque, invece che su criteri economici e materiali. In queste società antiche era fondamentale inoltre il senso del sacro, tradotto in simboli e riti ossia la Regalità Divina, la Iniziazione, l' Azione eroica o la Contemplazione, il Rito e la Fedeltà, la Legge tradizionale, la Casta, l'Impero.

Questo stato e civiltà ritenuti superiori, basati sulla più elevata sfera metafisica e spirituale invece che sull'ordine fisico e materiale, furono cancellati secondo Evola dalla decadenza attualmente visibile nella civiltà occidentale (secondo lo schema delle quattro età di Esiodo: oro, argento, bronzo e ferro). La distruzione degli antichi valori fu per il filosofo il frutto delle idee illuministiche massoniche espresse nella Rivoluzione Francese e di una visione della realtà basata esclusivamente sull'esperienza corporea, che avrebbe impedito il superamento e la purificazione della natura umana nel divino e la sua liberazione dal divenire contingente.

Il pensiero di Evola ha un carattere eroico. Ricercando la metafisica comune a tutte le tradizioni antiche, i suoi scritti si sforzano di ritrovare attraverso l'interpretazione dei simboli delle civiltà la presenza di una antica casta guerriera. Questa, secondo il filosofo, doveva essere collocata in cima alla gerarchia sociale, trascurando le caste sacerdotali e la loro supremazia. Il suo pensiero, pur influenzato da quello di Guénon e di Nietzsche, se ne differenzia tuttavia sino all'incompatibilità (specialmente con Nietzsche). Da Guénon derivava la base della dottrina tradizionale e da Nietzsche la difesa dei valori aristocratici e guerrieri e l'ostilità verso il Cristianesimo.

Dalla Tradizione deriva il differenzialismo, ossia la concezione di una naturale diseguaglianza degli esseri umani ovvero delle loro potenzialità innate, che possono o non possono in seguito essere sviluppate. Ne è conseguenza l'antidemocrazia , accompagnata dalla critica al totalitarismo, anch'esso considerato espressione della società di massa. La società propugnata da Evola era dunque profondamente antidemocratica e basata sulla superiorità per nascita degli individui appartenenti alla casta più alta, gli unici in grado di raggiungere una più elevata spiritualità. Il pensiero del filosofo, in virtù dell'avversione all'ugualitarismo, era profondamente e radicalmente anticomunista: Evola in molte sue opere attacca con disprezzo l'ideologia, gli ideologi comunisti e i loro seguaci, considerandoli "subumani", in quanto espressione più bassa e animale dell'umanità.

Così come ci sono differenze innate tra gli individui, ci sarebbero secondo Evola differenze tra le razze. La razza interiore di cui parla il filosofo, è definita come un patrimonio di tendenze e attitudini che a seconda delle influenze ambientali giungono o meno a manifestarsi compiutamente. L'appartenenza ad una razza si individua dunque sulla base delle caratteristiche spirituali, e solo in seguito fisiche, diventandone col tempo queste ultime il segno visibile. Evola criticava una concezione razziale che si basasse esclusivamente sui dati naturali e biologici perché, come scriveva, "la razza esiste sia nel corpo, sia nello spirito". La concezione spirituale della vita propria della Tradizione, come potenzialità innata ed ereditaria, sarebbe espressione propria dei ceppi umani superiori, identificati con le popolazioni di origine indoeuropea, pur non essendo propria solo di quelle genti: Evola estese la sua ammirazione a tutte le culture tradizionali, specie orientali e mediorientali. Secondo la concezione aristocratica e gerarchica propria dello spirito tradizionale, la razza tuttavia secondo Evola non potrebbe determinare da sola il valore di un individuo, cosa che livellerebbe tutti gli appartenenti ad un popolo con la democratizzazione del sangue, abbattendo le differenze di casta (per il filosofo necessarie), e introducendo un elemento egualitario.
In quest'ambito si inserisce anche l'antisemitismo di Evola, sfumato nella accezione astratta che caratterizza il suo pensiero. Evola si contrappone alla Ebraicità, intesa come tendenza spirituale antitradizionale, la quale si sarebbe manifestata nella storia nel popolo ebraico, convertendo il suo spirito tradizionale degli inizi in una mentalità anti-tradizionale di tipo sovversivo in seguito a vicende di numerose sconfitte e sventure patite nella storia antica.

L'importanza attribuita al progresso spirituale in contrapposizione a quello materiale in questa concezione, non impedisce al filosofo di attribuire il carattere di superstizione e irrazionalità al Cristianesimo come religione devozionale, opponendogli invece una conoscenza superiore, con aspetti esoterici (il nocciolo nascosto dalla scorza, concezione influenzata anche dalle tradizioni orientali). Questa conoscenza si raggiungerebbe attraverso un'ascesi che non costituisca tuttavia una mortificazione di sé, ma piuttosto una piena realizzazione dell'Io, secondo la concezione dell'individuo assoluto. Costui non subisce, secondo Evola, i condizionamenti del contingente, ma lo domina e trova autarchicamente in sé il centro di tutto, nel quale è compreso anche il mondo esterno, venendo così a coincidere con il divino.

Attualmente il complesso pensiero del filosofo è ancora studiato in molte nazioni e diversi autorevoli studiosi individuano nella speculazione evoliana l'utopia di un profeta disperato e disperante. Nelle opere evoliane emerge la disillusione per una civiltà mondiale, ed europea in particolare, che gli appare irrimediabilmente in rovina, non esistendo a suo avviso una categoria adeguata di persone che possa dirigere la società ideale in modo organizzato e gerarchico. Nell'opera Cavalcare la tigre arriva a proporre una soluzione di tipo anarchico: considerando che non esistono capi eroici per i quali sacrificarsi, afferma, tanto vale orientarsi all'individualismo.

preso da wikipedia
 
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Slalom-Lager
view post Posted on 25/8/2006, 20:03     +1   -1




Ragazzi, se qualcuno vuole aggiungere un pensiero personale, lo faccia pure, purchè non risulti offensivo e provocatorio. Idem, per le discussioni: parlate liberamente.
 
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Chi l'ha visto?
view post Posted on 26/8/2006, 11:41     +1   -1




LEONIDA

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"E in questa mischia cadde anche Leonida, che si era dimostrato uomo di straordinario coraggio, e con lui gli altri Spartiati, i nomi dei quali ho voluto sapere, come uomini degni che se ne serbi memoria…".
Erodoto non nasconde la propria totale ammirazione per un uomo la cui fama eroica non è mai venuta meno, un generale che risponde appieno ai canoni di valore e sacrificio tipici della sua città d'origine, Sparta. Leonida è in tutti i sensi l'eroe, colui che con un manipolo formato da 300 fedelissimi e da 700 volontari di Tespe si frappose tra il resto della Grecia e la travolgente armata persiana che Erodoto ritiene composta, esagerando oltremodo, da circa due milioni di persone. L'esercito persiano giunse alle Termopili, un passo strategico per l'ingresso prima nella Locride e poi in Attica, nel luglio del 480: ad attenderli era stato preposto un contingente di circa seimila uomini, ma dopo il tradimento di Efialte, che permise ai Persiani di accerchiare i Greci tramite un sentiero che solo pochi conoscevano, quasi tutti diedero in ritirata, lasciando Leonida con i 300 opliti spartani e il contingente dei volontari tespiesi. La battaglia si scatenò feroce, come lo stesso Erodoto non manca di sottolineare, scrivendo che "i Greci sapevano che su di loro incalzava la morte per mano di coloro che stavano aggirando il monte, ma spiegarono contro i Barbari tutte le forze che avevano in corpo con pieno disprezzo della vita, battendosi come forsennati". Morirono tutti, morirono eroicamente, tanto che ancora oggi, sul luogo del massacro, rimane questa lapide:"Va' o passeggero, narra a Sparta che noi qui morimmo in obbedienza alle sue leggi".


 
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A.C.A.B.
view post Posted on 26/8/2006, 12:22     +1   -1




Leon Degrelle

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Nato da una famiglia di origine francese espatriata nel 1901, dopo l’espulsione dei gesuiti di Francia, Leon Degrelle frequentò la scuola al Collegio di Notre Dame de la Paix a Namur (Belgio). Durante il periodo degli studi a Loviano (1927 – 1930) inizia ad occuparsi di giornalismo (L’Avant Garde), di letteratura e di poesia. Nel 1929 diventa redattore capo del quotidiano "Il XX Secolo" di Bruxelles. Viaggia in Italia, conosce il Fascismo e l’Azione Cattolica. Vive qualche tempo in Messico, clandestino, in mezzo ai partigiani cattolici, i "Cristeros". Tornato nel 1931 dirige l’Azione Cattolica belga e poi, nel 1935, fonda il movimento Rex. Come nella maggior parte degli Stati europei, negli anni tra i due conflitti mondiali, la democrazia parlamentare fu messa in causa da molti settori politici perché non riusciva a risolvere lo stato di crisi del Belgio. Dentro al partito cattolico i tentativi di rinnovamento si diversificarono in varie direzioni: la decristianizzazione voluta da Picard cercava di raccogliere simpatie a sinistra, mentre l’altra corrente, di carattere borghese, seguiva una linea politica filo – francese ed antitedesca. Solo Degrelle riuscì a superare questa crisi grazie alla sua figura di leader oratore, giornalista, poeta, deputato e soldato. Appoggiò in pieno la causa Nazionalsocialista, tanto che decise di partire con un gruppo di volontari per il fronte dell’Est l’8 agosto 1941 come soldato semplice. Tra il ’41 ed il ’43 combattè sul Caucaso, conquistando i gradi sul campo di battaglia fino a diventare un comandante della Waffen SS. Continuò la sua scalata nella scuola di Bad Tolz. Tornato in Russia, si distinse nel rompere l’accerchiamento sovietico a Tcherkassy. Fu convocato da Hitler che lo designò Cavaliere della Croce di ferro, rendendolo popolarissimo anche in Germania. A guerra ormai perduta riuscì rocambolescamente a raggiungere le coste spagnole dove iniziò il suo dopoguerra fra alti e bassi finanziari, ma sempre fermo nella sua fede. Riportiamo di seguito alcuni brani tratti da un’intervista avvenuta nella sua casa di Malaga il 1°marzo 1988.

"Noi (…) eravamo soldati che proiettavano nella lotta le loro idee, e che si preparavano alla costruzione dell’Europa. Ma questa concezione dell’Europa non è arrivata subito (…). È stata la guerra che, spingendo i Tedeschi fuori dal proprio Paese ha fatto capire loro cosa succedeva negli altri Paesi. Ha fatto anche sì che negli altri Paesi vedessero i Tedeschi e potessero rendersi conto di cosa fossero, e che eravamo tutti degli europei, nonostante tutte le lotte e gli odi eravamo tutti la stessa gente (…). C’era il grande motore germanico, la Germania è nel centro dell’Europa, è un Paese che ha il senso dell’organizzazione, del lavoro, della perfezione, vi stava benissimo come elemento trainante. Ma accanto esisteva tutto questo meraviglioso mondo occidentale e la sua civiltà bimillenaria. Che cos’era Berlino con i maiali che camminavano nella sabbia della strada, mentre Parigi era uno dei centri maggiori dell’universo, 1500 anni dopo che Roma era stata la capitale del Mondo? Era evidente che questo progetto germanico da solo non avrebbe mai potuto fare l’Europa, aveva bisogno del grande sostegno occidentale, ed è lì che ho concentrato i miei sforzi, per far risorgere una grande unità occidentale da unire al centro Europa ma anche all’universo mondo slavo (…). Questo è sempre stato il mio progetto (…). L’Europa dal Mare del Nord fino a Vladivostok. Un’Europa che avrebbe dato ai giovani di oggi qualsiasi possibilità, un’Europa di 10000 Km di estensione per le attività di tutta la gioventù, invece di avere, come oggi, 16 milioni di disoccupati nel mercato comune. Tutti questi giovani avrebbero potuto realizzare qualsiasi cosa passasse loro per la testa (…)

Chiaramente, noi abbiamo perso la guerra non perché ci mancasse coraggio; per quattro anni l’epopea dell’Europa sul fronte russo è stata la più grande avventura militare della storia. Anche questo è incredibile, che la gente non dia importanza ad un fatto del genere (…), che per quattro anni ci sia stato un fronte favoloso, di 3000 Km di lunghezza, una lotta che ha messo di fronte decine di milioni di uomini; il caso delle Waffen SS, un esercito di un milione di volontari, non si era mai vista una cosa simile. Di questo non se ne parla, né dell’eroismo inaudito che è stato dimostrato. Si pensi solo al percorso da Stalingrado a Berlino; abbiamo resistito 1000 giorni, 1000 giorni resistendo palmo a palmo, sacrificio dopo sacrificio, centinaia di migliaia di uomini che morivano per impedire che i sovietici avanzassero troppo in fretta. Con Stalin che diceva: "Lo zar è andato a Parigi. Ci andrò anch’io". Era evidente che se avessimo fatto come i francesi nel 1940, squagliarcela quando la lotta diventava troppo pericolosa, i russi avrebbero conquistato tutta l’Europa in un batter d’occhio, molto prima che gli americani sbarcassero in Normandia, 1000 giorni! E se avessimo resistito soltanto 100 giorni, sarebbero arrivati a Parigi o sarebbero andati a dormire nel letto del maresciallo Petain a Vichy. Noi abbiamo salvato l’Europa o quanto ne rimane ancora adesso. Se i francesi non sono come i cecoslovacchi è unicamente perché siamo morti a migliaia per loro. E allora invece di insultarci dalla mattina alla sera ci dovrebbero dire: "Siete stati veramente bravi, grazie!" (…). Si dice sempre: "Ma perché Hitler si è lanciato in questa avventura?". Si è lanciato perché, se avesse aspettato un anno o due, Stalin sarebbe arrivato di corsa. Ora ci sono tutti i documenti che stabiliscono che aveva creato più di 120 nuove divisioni, 60 nuovi campi di aviazione. Che già allora era arrivato ad avere 32000 carri armati contro i 3000 dei tedeschi; è in quel momento che hanno preteso i Balcani e abbiamo capito che era finita. (…) La vittoria degli altri è stata un disastro. Tutto quello che hanno portato è una falsa civiltà, la civiltà americana, purtroppo, la civiltà dei consumi, del piacere, si pensa solo ad andare a divertirsi, gioie passeggere; la vita di famiglia è stata annientata, la vita religiosa distrutta: tutto questo è molto demoralizzante. Un giovane si chiede: "Ma cosa si può fare? (…) Ma si può ancora sperare?". Rispondo loro: in tutte le epoche nel mondo ci sono state grandi crisi e a volte quando non è stato fatto uno sforzo tutto è crollato, come ad esempio la caduta dell’Impero Romano; prima c’era stata quella della Grecia, prima quella dell’Egitto. Ma ci sono state anche grandi rinascite, come ad esempio l’Italia che ha vissuto la decomposizione e ora è più importante dell’Inghilterra; la Germania, che 50 anni fa non era altro che rovine, ora è un Paese fiorente. Significa che si può sempre ricreare. Diranno: "Ma non siamo numerosi", ma non è un numero a fare la forza dei popoli e dei grandi movimenti rivoluzionari, è la potenza dell’anima, è la gente con una grande volontà, un grande ideale che si vuole vedere trionfare (…). Ebbene è a questo che bisogna credere, credere che tutte le possibilità sono nell’uomo, che se i giovani le vogliono e lo vogliono, un giorno troveranno l’opportunità e un giorno nascerà l’uomo, perché tutto è una questione di uomini. È il grande uomo a raccogliere le aspirazioni di tutti e a farle vincere. E la sfortuna dell’Europa di oggi è che non c’è nessuno. Ai nostri tempi ce n’erano finché si voleva: c’era Hitler, c’era Mussolini, c’ero io in Belgio, c’era Franco, c’erano i polacchi, c’erano i turchi, tutti avevano un capo, era sorprendente; ora non ci sono più che larve politiche (…). Per 50 anni l’Europa sono stati incapaci di farla, dopo 50 anni sono ancora lì che dissertano di miserabili questioni finanziarie, questioni di salami e maiali, di polli; sono ancora lì. Così si vede che questa soluzione è falsa; la sola vera è quella che abbiamo avuto noi (…). Sul caminetto del mio esilio ho fatto incidere queste parole: "Un po’ di fuoco in un angolino del mondo e tutti i miracoli di grandezza restano possibili." Tutto è possibile, ragazzo ragazza che mi ascolti, fede nella vita!".

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Weizenbock
view post Posted on 26/8/2006, 19:06     +1   -1




...un personaggio che -aimè- in Italia è pressoche sconosciuto e sarebbe stato dimenticato del tutto se non gli fossero stati dedicate piazze o vie...
personalmente mi ha sempre fatto emozione quest'uomo...gli dedico poche righe cossichè tutti possano leggere senza annoiarsi...
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Enrico Toti
Mutilato di una gamba e costretto a camminare con una stampella in seguito ad un incidente ferroviario, allo scoppio della prima guerra mondiale si arruola fra i bersaglieri ciclisti, e inviato sul fronte del Carso. Il 6 agosto 1916, durante la sesta battaglia dell' Isonzo, lanciatosi con il suo reparto all' attacco della Quota 85 a est di Monfalcone, viene ferito più volte dai colpi avversari, e con un gesto eroico, scaglia la gruccia verso il nemico esclamando:" Nun moro io !"(io non muoio!), poco prima di essere colpito a morte.

 
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view post Posted on 27/8/2006, 11:12     +1   -1




GREGOR STRASSER

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Gregor Strasser (Geisenfeld 31 maggio 1892 - Berlino 30 giugno 1934) uomo politico, uno dei primi leader del Partito nazista.

Dopo aver partecipato alla Prima guerra mondiale, nella quale si era meritato la Croce di Ferro, Gregor Strasser si stabilì a Landshut per aprirvi una farmacia. Si iscrisse al Partito nazista nel 1920 ed ebbe modo di conoscere Hitler: partecipò al fallito Putsch della birreria di Monaco, ma non figurò tra gli imputati al processo per alto tradimento. Durante il breve periodo in cui Hitler fu detenuto nel carcere di Landsberg, Strasser si adoperò tenacemente per riuscire a tenere in vita e rilanciare il partito momentaneamente privo del suo Führer, arrivando a vendere la propria farmacia per devolvere l'intero ricavato allo NSDAP.

Si alleò con Alfred Rosenberg e con il generale Ludendorff per costituire un movimento nazista nazionale in grado di presentarsi alle elezioni statali e nazionali del 1924, e ottenne risultati apprezzabili: in Baviera lo NSDAP ebbe tanti voti da diventare il secondo partito della regione, mentre in Germania - con il nome di "Movimento nazionalsocialista per la libertà tedesca" - guadagnò due milioni di voti, assicurandosi trentadue seggi al Reichstag, uno dei quali andò allo stesso Strasser. In quanto deputato del Reich, Strasser godeva di numerosi privilegi: poteva vaggiare gratuitamente in ferrovia e, soprattutto, godeva dell'immunità parlamentare, e quindi nessuno avrebbe potuto proibirgli di parlare in pubblico, o intentargli processo per diffamazione se avesse voluto attaccare qualcuno. Di questi privilegi egli subito si valse per intensificare la propria attività di propaganda e stringere un gran numero di contatti specialmente nella Germania del nord, dove il Partito nazista era ancora relativamente poco conosciuto.

Oratore infaticabile, uomo d'azione e organizzatore nato, Strasser divenne capo dell'organizzazione politica dello NSDAP, allargando sempre più la propria influenza in seno al partito e assumendo implicitamente una posizione di rivalità nei confronti di Hitler cui non era molto disposto a riconoscere il ruolo di "Signore", capo assoluto del movimento nazionalsocialista. Come segretario, prese con sé un giovane renano di ventotto anni, Joseph Goebbels.

Per ovvi motivi, Hitler non vedeva di buon occhio i fratelli Strasser nonostante i successi da loro conseguiti. Ma non si trattava semplicemente di rivalità personali, ma anche di sostanziali divergenze di vedute politiche. Gregor Strasser, che fu tra i pochi a credere sinceramente nel "socialismo" del nazionalsocialismo, sosteneva la necessità di uno "slittamento a sinistra" del partito nazista, l'adozione di formule organizzative sul modello dei soviet e la necessità di collaborare con i marxisti per una svolta anticapitalistica. Tutte idee che non potevano non entrare in contrasto con le posizioni nazionalistiche e autoritarie di Hitler, che osservava con crescente preoccupazione i successi conseguti dai fratelli Strasser e da Goebbels nell'opera di formazione di una vigorosa ala radicale e proletaria del partito nella Germania settentrionale. Lasciati a sé stessi - tale era l'opinione del Führer - questi avrebbero potuto impossessarsi del partito, e per fini contro cui Hitler si opponeva violentemente.

Nell'autunno 1925 si arrivò alla resa dei conti: la miccia fu la proposta, avanzata in parlamento dai deputati socialdemocratici e comunisti, di espropriare le vaste proprietà e i beni della casa imperiale e dei vari sovrani tedeschi spodestati. La cosa avrebbe dovuto essere decisa in base a un plebiscito popolare, in conformità alla costituzione di Weimar. Goebbels e Strasser proposero senz'altro che i nazisti si mettessero a fianco dei comunisti e dei socialisti nell'appoggiare la campagna per l'espropriazione dei nobili; ma queste posizioni erano assolutamente in contrasto con la politica di Hitler. Molti di questi ex-governanti, insieme a un nutrito gruppo di grandi industriali, si erano avvicinati al partito, senza lesinare sovvenzioni e finanziamenti, proprio perché questo prometteva di opporsi efficacamente ai comunisti, ai socialisti e ai sindacati operai: ma se Goebbels e Strasser avessero proseguito nei loro intenti, gli appoggi e le sovvenzioni dei conservatori su cui egli tanto contava sarebbero immediatamente venuti meno. Hitler fece pressioni affinché Strasser rinunciasse a questi progetti, e riuscì nel suo intento con l'appoggio della Destra del partito.

Nel 1926 Strasser ruppe i rapporti con Goebbels, passato a sostenere le ragioni di Hitler, mentre nel dicembre 1932 avvenne la completa rottura con Hitler, quando questi lo accusò di tradimento per i contatti avuti con l'allora cancelliere, il generale Von Schleicher, che gli aveva offerto la carica di Vicecancelliere per la formazione di un nuovo governo. Emarginato dalla vita politica, Strasser finì tra le vittime della "Notte dei lunghi coltelli": a mezzogiorno del 30 giugno 1934 fu arrestato nella sua abitazione di Berlino, trasportato nella prigione della Gestapo sulla Prinz Albrechtstrasse e ucciso poche ore dopo, per ordine personale di Göring.

FRATELLI STRASSER (OTTO E GREGOR)

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Seguaci di Hitler fin dall'inizio, i fratelli Strasser ottennero ottimi risultati politici nella Germania Settentrionale, svolgendo un'opera di agitazione e propaganda da posizioni che rivendicavano il carattere völkisch (nazionalpatriottico) dell'esperienza bolscevica, posizioni alla fine degli anni Venti condivise anche da Joseph Goebbels, futuro ministro della propaganda, che nel `25 affermava di credere nel "socialismo del proletariato". Gregor, la cui popolarità all'interno del movimenti era seconda soltanto a quella di Hitler, verso la metà degli anni Venti divenne responsabile del complesso apparato organizzativo ed anche capo amministrativo del Partito nazista; ma sia lui che il fratello Otto, seppur seguendo percorsi diversi, entrarono in contrasto con la direzione hitleriana. Gregor divenne capo dell'ala "socialista" del partito, ma nel `32 si dimise da ogni incarico e se ne andò in Italia sia per divergenze politiche e ideologiche sia per le macchinazioni di Goering e di Himmler che pure era stato suo segretario. Il cancelliere Kurt von Schleicher a quel punto cercò di assicurarsi la collaborazione di Hitler sfruttando una possibile scissione all'interno del Partito nazista capeggiata da Gregor Strasser, ma questi non volle prendersi una simile responsabilità e si ritirò dalla politica occupandosi soltanto della direzione della casa farmaceutica Schering-Kahlbaum; ma ciò nonostante durante la Notte dei Lunghi Coltelli venne catturato ed ucciso. Suo fratello Otto ruppe con Hitler fin dal `28 e nel `30, accusandolo di aver tradito gli ideali socialisti del movimento, dette vita ad una vera scissione dal partito nazista, formando il Fronte Nero (Schwarze Front) che rappresentò senza dubbio, la principale organizzazione dei nazionalboscevichi, che ben presto furono costretti a svolgere attività clandestina o ad espatriare come fece lo stesso Otto nel '33.

SCHWARZE FRONT

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(fronte nero). La comunità di lotta dei nazionalsocialisti rivoluzionari, dal nome del suo organo di stampa, fondata da Otto Strasser e dal maggiore Buchruckner nel 1930, dopo una secessione dal NSDAP (Partito Nazional Socialista Tedesco dei Lavoratori) di A. Hitler, che Strasser accusava di opportunismo e involuzione conservatrice.

OTTO STRASSER

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uomo politico e pubblicista tedesco (Windsheim 1897-Monaco 1974). Militante nei corpi franchi anticomunisti, passò poi alla socialdemocrazia e infine, seguendo il fratello Gregor, al partito nazista, dal quale uscì però nel 1930 facendosi promotore di una comunità dei nazionalsocialisti rivoluzionari. In esilio dal 1933, continuò a combattere A. Hitler con i suoi scritti. Rimpatriato nel 1955, tentò senza successo di rilanciare il suo vecchio movimento.

PER CHI LEGGE L'INGLESE E VOLESSE SAPERNE DI PIù...

http://www.douglasreed.co.uk/nemesis.html
 
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view post Posted on 27/8/2006, 11:40     +1   -1




HASSO VON MANTEUFFEL

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Hasso-Eccard Freiherr von Manteuffel (14 gennaio 1897 - 28 settembre 1978) generale della Wehrmacht durante la Seconda Guerra Mondiale.

Von Manteuffel nacque nel 1897 a Potsdam, presso Berlino, da una famiglia di solide tradizioni militari. Nel 1908 entrò alla scuola cadetti di Naumburg, passando tre anni dopo all'accademia di Berlino-Lichterfelde. Dichiarato inabile al servizio allo scoppio della Prima guerra mondiale, nel 1916, dopo aver superato un esame di abilitazione, riuscì ad essere ammesso dapprima nel 3° reggimento Ussari del Brandeburgo "von Zeiten", quindi nella 6a divisione di fanteria, con cui prese parte alle battaglie di Verdun e della Somme.

Nel novembre del 1918 prese parte alla difesa dei ponti sul Reno, presso Colonia, quindo, dopo la stipula dell'armistizio, passò dapprima al Freikorps von Oven, a Berlino, e successivamente nel 3° reggimento di cavalleria della Reichswehr. Il 1 febbraio 1930, promosso Oberleutnant (tenente), venne trasferito al comando dello squadrone tecnico, sempre del 3° reggimento di cavalleria, passando, il 1 ottobre 1932, al comando di uno squadrone del 17° reggimento di cavalleria a Bamberga. Il 1 aprile 1934 venne promosso Hauptmann (capitano) e il 1 ottobre venne destinato al 2° battaglione fucilieri motorizzati di stanza ad Eisenach.

Nel dicembre del 1935 passò alla 2a Panzer-Division, dove, fra il 1936 e il 1937, ricoprì l'incarido di ufficiale istruttore. Il 1 marzo 1937, su richiesta esplicita di Heinz Guderian, venne trasferito al neocostituito Ispettorato generale delle truppe corazzate e il 1 febbraio 1939 al comando dello staff direttivo della scuola per truppe corazzate di Berlino-Krampnitz.

Allo scoppio della guerra assunse il comando del 7° reggimento fucilieri della 7. Panzer-Division, sotto il comando di Erwin Rommel: dopo un breve periodo trascorso in Francia, sempre con tale unità prese parte all'Operazione Barbarossa, come parte del Gruppo d'armate Centro. Il 21 agosto 1941 passò al 6° reggimento, sempre all'interno della 7a Panzer-Division.

Promosso Oberst (colonnello) il 1 ottobre, il 27 novembre 1941 venne insignito della Croce di Cavaliere per la conquista e l'occupazione dei ponti di Lepel, sulla Beresina, passaggio obbligato per l'avvicinamento a Mosca. Il 15 luglio 1942 venne trasferito al fronte Nord Africano, dove rimase fino all'aprile del 1943 come comandante della divisione "von Manteuffel". Il 20 agosto 1943 ritornò sul Fronte Orientale, con il grado di Generalmajor (generale di brigata) e l'incarico di comandante della 7a Panzer-Division inquadrata nella 4a Panzerarmee di Hermann Hoth. In novembre fu tra i protagonisti della riconquista di Zhytomyr, per la quale fu decorato con le Fronde di Quercia della Croce di Cavaliere. Il 19 gennaio 1944 passò al comando della Panzergrenadier-Divisione "Grossdeutschland", ricevendo il 1 febbraio successivo i gradi di Generalleutnant (generale di divisione) e il 22 febbraio aggiunse le Spade alla Croce di Cavaliere, per i successi riportati nel settore di Radomyshl (nel saliente di Kiev). In agosto, respinto verso la Romania dalla sempre più inarrestabile avanzata dell'Armata Rossa, venne trasferito, insieme alla divisione "Grossdeutschland", nella Prussia orientale.

Promosso il 1 settembre General der Panzertruppen (generale delle truppe corazzate), pochi giorni dopo venne trasferito alla 5a Panzerarmee impegnata in Francia a contrastare l'avanzata delle forze alleate: al comando di tale unità combatté per oltre un mese nel settore di Lunéville e successivamente in Lorena. Intorno alla metà di ottobre venne richiamato in Germania per preparare l'ultima offensiva tedesca della guerra sul fronte occidentale, l'Offensiva delle Ardenne. Nonostante il fallimento il 18 febbraio 1945 ricevette i Diamanti della Croce di Cavaliere, venendo nuovamente trasferito, il 2 marzo, sul fronte orientale, questa volta al comando della 3a Panzerarmee in sostituzione di Erhard Rauss. Incalzato dalle forze sovietiche il 19 marzo abbandonò Stettino, guidando poi la ritirata verso ovest attraverso la Pomerania e il Meclemburgo, per arrendersi l'8 maggio 1945 alle forze americane.

Prigioniero di guerra fino al settembre del 1947, venne successivamente rilasciato senza che nessuna accusa gli venisse mossa. Si impegnò quindi in un'intensa attività pubblica e letteraria. Morì a Diessen, sull'Ammersee, il 28 settembre 1978.



ERNST VON SALOMON

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Non la sua biografia, ma quello che di lui traspare dalla "recensione" della sua opera più importante, "I Proscritti". Un libro che TUTTI quelli che scrivono in questa sezione, da destra e da sinistra, scannandosi su "cosa" furono e "come" sono da leggere gli anni dal 1918 al 1939, DOVREBBERO AVER LETTO (o almeno leggere in futuro...). Più utile, anzi fondamentale, di 100 saggi storici (e di un milione di pagine internet...).

Esistono autori in cui azione, autobiografia e narrazione si confondono fino a divenire indistinguibili: dalle loro pagine spesso emerge, carico di vitalità, un fascino simile a quello degli antichi poemi epici. Ernst von Salomon appartiene fuori di dubbio a questa composita schiera, in cui si potrebbero a buon diritto annoverare anche Pierre Drieu La Rochelle e Robert Brasillach, Ernst e Friedrich Georg Jünger, Yukio Mishima e persino Gabriele D'Annunzio. È immediatamente consequenziale e comprensibile, quindi, che questo autore tanto abbia appassionato intere generazioni di giovani. "La biografia stessa di von Salomon - scrive Marco Revelli nella sua ampia postfazione all'ultima edizione italiana de I proscritti, il romanzo più famoso di von Salomon - ne fa un rappresentante emblematico di quell'"esistenzialismo guerriero" che animò in entrambi i dopoguerra ogni esperienza nazional-rivoluzionaria".

Quest'edizione, pubblicata per i tipi della casa editrice Baldini & Castoldi, ha visto la luce in questi giorni, ed è corredata anche da una cronologia del periodo 1918-1923 in Germania (il luogo temporale e spaziale in cui si svolge la maggior parte dell'azione narrata nel romanzo). La vicenda si apre nella Germania guglielmina ancora impegnata nella Grande Guerra: la rivolta interna dei marinai e l'inefficacia strategica della grande avanzata sul fronte dell'Ovest preludono al definitivo tracollo militare, morale e materiale della nazione. Si assiste all'improvvisa, epidemica diffusione del bolscevismo e alla parallela nascita dei Freikorps (i corpi franchi): corpi militari volontari in rapporto di indiretta dipendenza dallo Stato e assai simili alle compagnia di ventura rinascimentali.

Nel corpo di uno Stato morente, infezione e anticorpi si accingono a combattersi in quella che si profila come l'ultima e decisiva battaglia. Ben presto però, tra gli uomini dei Freikorps (tanto quelli impegnati in patria quanto quelli che combattono sul fronte del Baltico) subentra la convinzione di non appartenere sotto alcun aspetto al nuovo Stato sorto dallo sfacelo: la Repubblica di Weimar. Con ogni evidenza, essa appare come un governo-fantoccio asservito in tutto e per tutto ai voleri stranieri degli ex-nemici. Insurrezioni e pronunciamenti si moltiplicano, fino a culminare, nel 1920, nel fallito colpo di stato del generale von Lüttwitz. Il clima generale si arroventa e la lotta politica assomiglia sempre più alla guerra civile.

È in questa temperie che operano i proscritti del romanzo: giovani tedeschi, per lo più reduci del fronte e dei Freikorps, che agiscono per difendere quella Germania, o meglio quell'idea di Germania, che non ha alcuna rappresentanza nello stato-fantoccio di Weimar. Difendono la Ruhr e l'Alta Slesia, prendono Monaco, colpiscono gli avversari politici. Il culmine delle vicende di quegli anni si ha il 24 giugno 1922, quando un commando di cui fa parte lo stesso von Salomon uccide il ministro degli esteri Walther Rathenau, simbolo vivente di quella Germania "cooperante" con i nemici di un tempo. La terza e ultima parte de I proscritti si intitola "I delinquenti" (e segue a "I dispersi" e "I congiurati"): è il racconto di cinque lunghi anni di carcerazione del protagonista.

Per la sua carica emotiva, oltre che per l'indubbio valore letterario, questo straordinario affresco di un periodo storico che è I proscritti è divenuto il romanzo emblematico della Destra europea, poiché, per usare ancora le parole di Revelli, "in von Salomon e nei suoi "proscritti" questa destra, più che un progetto ideale o un sistema di valori, vedeva un nuovo "tipo umano": un modello di personalità capace di resistere allo sradicamento, di contrapporsi attraverso l'azione estrema, assoluta, fine a se stessa, al corso avverso della storia, e per questa via di sopravvivere in quel "panorama di rovine" che per i "vinti del '45" [...] era divenuta l'Europa".
 
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razziatorear
view post Posted on 27/8/2006, 13:15     +1   -1




lev trockij

Lev Davidovič Trockij (in russo: Лев Давидович Троцкий; traslitterato anche come Trotski, Trotsky, Trozkij, Trotskij, Trotzki o Trotzky, mentre il nome viene spesso traslitterato anche come Leon) (25 ottobre (cal. giuliano) = 7 novembre (cal. gregoriano) 1879 - 21 agosto 1940), nato come Lev Davidovič Bronštejn (Лев Давидович Бронштейн), rivoluzionario e teorico comunista. Prese questo nome dal suo carceriere. Fu un influente politico nella neonata Unione Sovietica, dapprima come commissario del popolo per gli affari esteri e in seguito come fondatore e comandante dell'Armata rossa e commissario del popolo per la guerra, e membro fondatore del Politburo. Fu presidente del Soviet di Pietroburgo durante le rivoluzioni del 1905 e del 1917. Fu anche scrittore di notevoli capacità, soprannominato Penna dai compagni di partito. A seguito della lotta contro Stalin negli anni Venti, fu espulso dal partito e deportato: venne ucciso in Messico da un agente sovietico. Le idee di Trockij formano la base della corrente comunista del trozkismo.
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Biografia
Nacque in una agiata famiglia di contadini ebrei a Yanovka, nella provincia di Kherson (Ucraina). La sua data di nascita nel calendario gregoriano è il 7 novembre – lo stesso giorno della Rivoluzione d'ottobre del 1917 (il calendario giuliano venne abolito in Russia nel 1918).

Si avvicinò agli ambienti ed alle idee rivoluzionarie già durante i suoi studi all'università di Odessa. Venne arrestato per la prima volta nel 1898 mentre lavorava come organizzatore per l'Unione Operaia della Russia Meridionale. Nel 1900 venne condannato a quattro anni di esilio in Siberia. Nel 1902 riuscì a fuggire dalla Siberia, prendendo il nome di Trockij da un ex-carceriere di Odessa, e raggiunse Londra per unirsi a Vladimir Lenin, all'epoca redattore capo del giornale Iskra (Scintilla), organo del Partito Social Democratico Russo dei Lavoratori (PSDRL), denominazione esatta Partito Operaio Socialista Democratico Russo, sigla esatta dal russo POSDR.

Partecipò al secondo congresso del POSDR nell'estate del 1903, e nella disputa interna che divise il partito, si mise con i Menscevichi contro Lenin. Anche se la sua lealtà ai Menscevichi ebbe vita breve, il danno alle sue relazioni con Lenin sarebbe durato per i 14 anni successivi.

Nel 1905 tornò in Russia. Il suo coinvolgimento nello sciopero generale di ottobre, con la presidenza del Soviet di San Pietroburgo e il suo appoggio alla rivolta armata, lo portarono all'arresto e a una sentenza di esilio a vita. Nel gennaio del 1907 fuggì sulla strada per l'esilio e ancora una volta trovò la via di Londra, dove partecipò al quinto congresso del partito. In ottobre si spostò a Vienna.

Nel 1912 era stato inviato dal diffuso quotidiano radical-democratico Kievskaia Mysl' nei Balcani, dove fu testimone della guerra del 1912-1913, tragico prologo della Prima Guerra Mondiale. In quel periodo fu corrispondente di guerra per diversi giornali. Le sue corrispondenze furono successivamente raccolte nel volume Le guerre balcaniche 1912-1913 (1926).

D'un tratto la guerra ci rivela che procediamo ancora a quattro zampe e che non siamo ancora usciti dal grembo dell'era barbarica della nostra storia.
Con l'avvicinarsi della guerra si spostò nella neutrale Svizzera, e quindi in Francia. Fu espulso dalla Francia e viveva a New York quando la Rivoluzione Russa (febbraio 1917) rimosse lo Zar. Fece ritorno in Russia nel maggio 1917 dove infine si unì ai Bolscevichi e divenne attivamente coinvolto nei loro sforzi per rovesciare il governo provvisorio guidato da Aleksandr Kerensky, ed anzi ne fu tra i massimi dirigenti.

Dopo la presa del potere da parte dei Bolscevichi divenne Commissario del popolo per gli Affari Esteri, con lo scopo principale di negoziare la pace con la Germania e i suoi alleati. Ma, ritiratosi dai colloqui (10 febbraio 1918) nella speranza che i soldati tedeschi si ribellassero ai loro ufficiali, ciò non avvenne e i tedeschi invasero il territorio russo (18 febbraio), costringendo l'Unione Sovietica a firmare l'altamente penalizzante Trattato di Brest-Litovsk il 3 marzo. Trockij successivamente rassegnò la sua posizione diplomatica e divenne Commissario del Popolo alla Guerra. Come fondatore e comandante dell'Armata Rossa, fu ampiamente artefice del successo contro l'Armata Bianca e della vittoria nella Guerra Civile Russa, durante la quale decine di migliaia di persone vennero uccise in Russia e in Ucraina, a seguito dei pogrom promossi dai Bianchi.
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Stalin al potere

Con la malattia e la morte di Lenin, Stalin fu in grado di consolidare il proprio controllo sul Partito e sul governo. A questo punto, Trockij fu incapace di adeguarsi al basso livello del rivale ed opporsi attivamente a Stalin. Rimanendo in silenzio al dodicesimo congresso del Partito, nel 1923, Trockij perse la sua ultima vera opportunità di opporsi a Stalin che, assieme a Lev Kamenev e Grigory Zinoviev, precedentemente con Trockij nella Opposizione Unificata, prese così il controllo del Partito.

Già da prima, e poi in seguito, la mostruosità dello stalinismo si concretizzò in una atroce manovra di terrore e persecuzione, che si rivolse spesso anche contro gli stessi aguzzini stalinisti. Decine di migliaia di veri bolscevichi, di oppositori di sinistra, tra cui moltissimi "trozkisti", di anarchici e libertari vennero rinchiusi in lager e giustiziati o lasciati morire di stenti. Tutto ciò per spianare la strada all'accumulazione primitiva del capitale in Russia, mediante una variante asiatica del capitalismo di Stato (camuffata da "socialismo nazionale").

Trockij avrebbe in seguito sviluppato la sua teoria della Rivoluzione Permanente (che aveva peraltro già preso le mosse subito dopo la fallita "rivoluzione" del 1905), che si poneva in netto contrasto con la politica stalinista di costruire il Socialismo in un solo paese, senza intaccarne tuttavia le fondamenta economico-sociali. Questa divisione ideologica fornì gran parte delle basi per la divisione politica tra Trockij e Stalin, che culminò il 12 novembre 1927, quando venne espulso dal partito Comunista Sovietico (lasciando Stalin con il controllo indiscusso dell'Unione Sovietica). Venne esiliato ad Alma Ata (oggi nel Kazakhistan) il 31 gennaio 1929.

Fu poi espulso e si spostò dalla Turchia alla Francia e alla Norvegia, stabilendosi finalmente in Messico su invito del pittore Diego Rivera: visse ad un certo punto nella casa di Rivera, e in un altro momento in quella di Frida Kahlo. Nel 1938, Trockij fondò un'organizzazione marxista internazionale, denominata Quarta Internazionale, la quale intendeva essere un'alternativa trockijsta alla Terza Internazionale stalinista. Ebbe una discussione con Rivera e nel 1939 si spostò in una residenza sua. Il 24 maggio 1940, Trockij sopravvisse a un raid nella sua casa da parte di assassini stalinisti capitanati dal pittore Siqueiros, somigliante a Stalin anche nell'aspetto. Mentre era a casa sua, a Coyoacán (un sobborgo di Città del Messico), il 20 agosto 1940, venne aggredito alle spalle dal suo segretario, rivelatosi un agente stalinista, Ramón Mercader, che gli sfondò il cranio usando una piccozza. Trockij morì il giorno seguente.

Mercader in seguito testimoniò al suo processo: "Lasciai il mio impermeabile sul tavolo, in modo tale che fossi in grado di rimuovere la piccozza che si trovava nella tasca. Decisi di non mancare la meravigliosa opportunità che si presentava. Il momento in cui Trockij iniziò a leggere l'articolo mi diede la chance, estrassi la piccozza dall'impermeabile, la strinsi in pugno e, con gli occhi chiusi, sferrai un colpo terrificante alla sua testa".

La casa di Trockij a Coyoacán è stata preservata più o meno nelle stesse condizioni in cui si trovava il giorno del suo assassinio ed è oggi un museo. La tomba di Trockij si trova nel terreno attorno alla casa.

Poco prima del suo brutale assassinio, all'età di sessantuno anni, scrisse nel suo testamento: Quali che siano le circostanze della mia morte, io morirò con la incrollabile fede nel futuro comunista. Questa fede nell'uomo e nel suo futuro mi dà, persino ora, una tale forza di resistenza che nessuna religione potrebbe mai darmi... Posso vedere la verde striscia di erba oltre la finestra ed il cielo limpido azzurro oltre il muro, e la luce del sole dappertutto. La vita è bella. Possano le generazioni future liberarla di ogni male, oppressione e violenza e goderla in tutto il suo splendore.
Opere
Durante la sua vita, Trockij fu uno scrittore prolifico e molti dei suoi scritti sono disponibili on-line (:http://www.marxists.org/archive/trotsky/index.htm) sotto licenza GFDL. Un'altra fonte di opere di Trockij è :The Lubitz TrotskyanaNet (in inglese).
 
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Hellas Army
view post Posted on 27/8/2006, 14:01     +1   -1




Ettore Muti nasce a Ravenna il 22 maggio 1902, figlio di una casalinga e di un impiegato dell'anagrafe. A soli 13 anni viene espulso da tutte le scuole del regno per aver preso a pugni un professore. Non si scompone molto per questo fatto e a 14 anni scappa di casa per andare a combattere nella Prima guerra mondiale ma i carabinieri lo rispediscono a casa. L'anno seguente ci riprova e riesce ad entrare negli arditi.

Al fronte si distingue per le imprese spericolate e per la sua audacia. Si rende famoso un giorno quando il reparto di 800 uomini al quale appartiene viene mandato a formare una testa di ponte sulla riva di un fiume da attraversare. Il suo gruppo riesce nell'impresa ma quando alla fine arriveranno i rinforzi degli 800 partiti ne rimangono solo 23, tra i quali Muti stesso.

È D'Annunzio che conia per lui l'appellativo di Gim dagli occhi verdi durante l'esperienza fiumana al quale Muti partecipa divertendosi come un matto. Infatti si combatte poco e lui si esibisce in imprese spericolate che hanno più del circense che del soldato. Sempre D'Annunzio dirà di lui: «Voi siete l'espressione del valore sovrumano, un impeto senza peso, un'offerta senza misura, un pugno d'incenso sulla brace, l'aroma di un'anima pura».

È in questo periodo che incontra Mussolini del quale rimane subito affascinato. Dopo l'esperienza di Fiume, Muti aderisce al Fascismo comandando parecchi assalti e venendo arrestato parecchie volte. Il 29 ottobre 1922 sarà alla testa dei fascisti che occuperanno la prefettura di Ravenna durante le operazione della Marcia su Roma.

Dopo la presa del potere dei fascisti Muti inizia una carriera nella Milizia. Nel 1923 è comandante della coorte di Ravenna e nel 1925 diventa console.

La sua vita è sempre spensierata e irrequieta. Organizza feste, frequenta belle donne, sfreccia per le strade con auto sportive, scorrazza con la sua Harley Davidson. Nel settembre 1926 si sposa con Fernanda Mazzotti figlia di un banchiere che non è d'accordo con le nozze. Nel 1929 nascerà la sua unica figlia, Diana.

Il 13 settembre 1927 Muti rimane vittima di un attentato nella piazza principale di Ravenna dove un bracciante noto per le sue idee di sinistra (tale Massaroli) gli spara 2 volte al braccio e al ventre. Il federale Renzo Morigi (medaglia d'oro nel 1932 nel tiro alla pistola alle olimpiadi di Los Angeles) allertato dagli spari giunge sul posto e fredda immediatamente l'attentatore.

Muti giunge all'ospedale in fin di vita dove nella notte viene operato. I medici giudicano scarse le probabilità che si salvi. Invece se la caverà ma gli resterà come ricordo una cicatrice di 20 cm nel ventre. Uscito dall'ospedale continua la sua vita spericolata condita da vari incidenti automobilistici e in seguito viene spostato a Trieste dove comanda la terza legione della milizia portuale. Qui non si trova bene e continua a scappare a Ravenna. Però a Trieste incontra il duca Amedeo d'Aosta che lo convince ad entrare nell'aeronautica.

L'Arma Azzurra segna per lui una svolta: Gim si appassiona subito del volo, e pur di entrare in aeronautica, accetta il declassamento al grado di tenente. In Etiopia mette subito in luce le sue capacità nonostante la scarsa professionalità degli avversari. Le sue dimostrazioni di bravura verranno premiate con due medaglie d'argento. Nelle fasi finali del conflitto entra nella squadriglia Disperata con Ciano, di cui diventerà grande amico, Farinacci e Pavolini.

Nel 1936 torna in Italia da eroe ma poco dopo parte alla volta della Spagna dove, con lo pseudonimo di Gim Valeri, guida la sua squadriglia bombardando i porti spagnoli, guadagnandosi varie medaglie d'argento e, nel 1938, una d'oro. Dalla Spagna torna con il soprannome di Cid alato ma soprattutto con l'Ordine Militare di Savoia.

Nel 1938 parte per l'Albania dove si guadagna, alla guida delle truppe motorizzate, un'altra medaglia che lo fa diventare il più bel petto d'Italia.

Tornato dall'Albania, Ciano lo propone come segretario del partito. Come segretario non si trova a suo agio, pur potendo ottenere praticamente ogni cosa. Col pretesto di andare la dove c'è bisogno riesce a evadere dal suo ruolo di segretario per andare a combattere, col grado di tenente colonnello, la guerra voluta da Mussolini. Combatte prima in Francia, poi nei cieli d'Inghilterra con grande valore, ma si accorge subito che la guerra è stata affrontata con colpevole approssimazione e leggerezza. Lascia quindi la segreteria del partito e smette di frequentare i gerarchi, perdendo quella fiducia che riponeva nel Duce e anche l'amicizia che aveva con Ciano.

Nell'estate del 1943 entra nel Servizio Informazioni Militari (il servizio segreto militare) e inizia a frequentare un'attrice cecoslovacca di nome Edith Ficherova, in arte Dana Harlova che si spaccia per una contessa ma che probabilmente è una spia tedesca o inglese.

Il 25 luglio, giorno della caduta di Mussolini, Muti è in Spagna per cercare di recuperare un radar da un aereo americano precipitato. Rientra a Roma il 27 luglio per poi ritirarsi in una villetta a Fregene. La notte tra il 23 e il 24 agosto 1943 un tenente dei carabinieri si presenta con altri colleghi alla villa di Muti con l'ordine di arrestarlo. Il gerarca segue i carabinieri nella pineta, cosa sia accaduto dopo ancora oggi è un mistero. Il primo commento ufficiale è dell'agenzia Stefani:

A seguito di un accertamento di gravi irregolarità nella gestione di un ente parastatale, nel quale risultava implicato l'ex segretario del disciolto partito fascista, Ettore Muti, l'arma dei carabinieri procedeva nella notte dal 23 al 24 agosto al fermo del Muti a Fregene. Mentre lo si conduceva alla caserma sono stati sparati dal bosco alcuni colpi di fucile contro la scorta. Nel momentaneo scompiglio egli si dava alla fuga ma, inseguito e ferito da colpi di moschetto sparati dai carabinieri, decedeva.

Le gravi irregolarità di cui si parla non furono mai chiarite e nemmeno chi sparò i colpi dalla pineta. Nella drammatica sparatoria l'unico ad essere raggiunto dai colpi fu Ettore Muti, il cui berretto, recuperato fortunosamente dalla famiglia e tuttora esistente, reca due fori di proiettile: uno sulla parte posteriore, in corrispondenza della nuca, l'altro davanti, che attraversa la visiera. Diverse altre circostanze confermano la tesi dell'esecuzione politica dello scomodo personaggio, primo caduto della guerra civile in Italia, definito da Badoglio "una minaccia" in una lettera spedita poco prima al capo della polizia Senise.

Dopo l'armistizio la figura di Muti fu celebrata dai fascisti di Salò che lo considereranno un martire dei cosiddetti traditori badogliani. Il suo nome resterà per sempre legato ad una tra le più temute Brigate Nere della Repubblica di Salò.



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Alessandro Pavolini è nato a Firenze il 27 settembre del 1903 da Paolo Emilio. Fin da giovanissimo manifesta la sua vocazione per l’attività letteraria. A dodici anni fonderà un giornaletto scolastico in cui scriverà articoli interventisti. E' studente brillante, si laurea in Giurisprudenza e in Scienze Politiche, frequentando due atenei, quello di Firenze e quello di Roma. E proprio a Roma, per ragioni di studio, il giovanotto si trova nel giorno "fatale" del 28 ottobre del 1922. Si accoda alle colonne fiorentine di camicie nere per la parata finale, quando Mussolini ha già ricevuto la nomina a Primo Ministro. Collaboratore di riviste letterarie, scrittore di saggi politici, si cimenta anche nel romanzo e nel 1928 ottenne un primo buon successo con "Giro d'Italia". Nel 1929 Pavolini diviene, a soli ventisei anni, federale di Firenze. Una delle sue creature, il "Maggio musicale fiorentino" è tutt'oggi una delle più importanti rassegne artistiche a livello internazionale. Fonda anche una rivista letteraria, "Il Bargello". Nel 1932 viene chiamato a far parte del Direttorio Nazionale del Partito. Nel 1934 è eletto deputato e stringe una grande amiciziacon Galeazzo Ciano. Chiamato a presiedere la Confederazione Professionisti ed Artisti, istituisce i "Littoriali", una specie di olimpiade della cultura e dell'arte. Scrive anche sul Corriere della Sera. Nel '35 parte volontario per la guerra d'Africa. Proprio col suo amico Galeazzo Ciano comanderà una squadriglia aerea cui viene dato il nome di una squadra d'azione famosa a Firenze ai tempi della marcia su Roma: la Disperata. In Etiopia trova il tempo di mandare corrispondenze al Corriere della Sera, e dall'esperienza bellica in Africa trarrà il suo secondo libro: "La Disperata". Finita l’avventura africana, Pavolini diventa una specie di "inviato speciale" del regime. Viaggia in tutto il mondo, inviando al "Corriere" corrispondenze che poi raccoglierà in volume. Il 31 ottobre 1939, diventa Ministro della Cultura Popolare. Dopo i rovesci militari, il 5 febbraio del 1943 Mussolini lo domina direttore del quotidiano "Il Messaggero". Caduto il fascismo, riesce a riparare in Germania. Aderisce alla Repubblica Sociale ed è lui, neo segretario del Pfr (Partito fascista repubblicano) a sollecitare Mussolini ad assumere la guida del nuovo regime, essendone "il capo naturale". E' lui a tenere le fila del cogresso di Verona, a chiedere il processo e la condanna dei "tradiotori" del 25 luglio e a ricostituire le "Brigate nere". Nella primavera del '45 la Rsi si avvia all'atto finale. Pavolini vaneggia di raccogliere ventimila fedelissimi per costituire l'ultima resistenza in Valtellina: là vuole far trasportare anche le ossa di Dante, simbolo dell’italianità.. Si avvia con il Duce, il 25 aprile del '45, per l'ultimo viaggio, dalla Prefettura di Milano al lungolago di Dongo, dove viene fucilato il 28 dai partigiani della 52a brigata garibaldina, dopo un inutile tentativo di fuga a nuoto nel lago.



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Nicola Bombacci (Civitella di Romagna, FC, 24 ottobre 1879 - Dongo, CO, 28 aprile 1945) è stato un uomo politico soprannominato "il comunista in camicia nera".

Come Benito Mussolini iniziò la vita politica nel Partito Socialista Italiano nel 1903, tre anni dopo rispetto al futuro Duce. Bombacci, come Mussolini, si schiera con l'ala più intransigente del partito, che diviene maggioranza dopo il congresso di Reggio Emilia. Furono poi le fasce popolari più scontente che, entrando nel partito socialista e raddoppiando il numero degli iscritti, riuscirono, al congresso di Ancona (1914), a riconfermare questa maggioranza. Addirittura, al congresso socialista del settembre 1918, a Roma, Nicola Bombacci viene eletto segretario del partito. Leadership che gli fu riconfermata nei primi mesi del 1919.

Bombacci non era un semplice tribuno locale, o un folcloristico Lenin della Romagna, ma una autorevole personalità, nonché uno dei capi del socialismo italiano dell'epoca. La sua visione massimalista del socialismo e il suo filo-sovietismo lo portano, lasciata la segreteria socialista al rientro di Lazzari, dopo la detenzione di quest'ultimo, come disfattista, a fondare nel 1921 a Livorno, con altri compagni, il Partito Comunista d'Italia. Già nel 1920 fece parte della prima delegazione parlamentare che si recò, assieme a Serrati, Graziadei, D'Aragona ed altri sindacalisti, in URSS. La sua posizione politica, come quella di Antonio Gramsci e il gruppo "Ordine Nuovo", non traccia confini invalicabili con i futuristi di Marinetti, che appoggiano l'impresa fiumana di Gabriele D'Annunzio.

Tra le due rivoluzioni del secolo sembra esserci, da parte di alcuni esponenti già in odore di eresia, uno scambio di segnali che travalica la dura realtà degli scontri fisici che contraddistinguono la cronaca di quei giorni. Nella carriera politica del deputato comunista Bombacci vi fu poi un grave "incidente". Esso avvenne quando Mussolini, già nominato Capo del Governo, nel suo intervento alla Camera dei Deputati del 16 novembre 1922, pronunciò in quel suo sorprendente discorso, la seguente affermazione: "Per quanto riguarda la Russia, l’Italia ritiene sia giunta l'ora di considerare nella loro attuale realtà, i nostri rapporti con quello Stato, prescindendo dalle condizioni interne nelle quali come governo non voglio entrare".

Così l'Italia, guidata da Benito Mussolini, fu la prima Nazione a riconoscere l'Unione Sovietica, seguendo una linea già abbozzata dall'on. Francesco Saverio Nitti, il più capace dei governanti pre-fascisti. Bombacci che, come si è detto, era particolarmente vicino ai sovietici, rispose euforicamente al discorso di Mussolini, facendo un paragone fra le due rivoluzioni. Molti fascisti, che vedevano nel comunismo italiano il disfattismo antinazionale, rifiutarono questa interpretazione e altrettanto la ritennero improponibile per diversi motivi i comunisti, e Bombacci, nel 1927, dopo un lungo braccio di ferro con l'Internazionale che ne sosteneva la riabilitazione (Bombacci aveva guidato nel 1924 a Mosca la delegazione dei comunisti italiani ai funerali di Lenin), venne definitivamente espulso dal PCd’I.

Nemmeno Berto Ricci, il fascista "eretico" fondatore della vivacissima rivista "l’Universale", tentò in seguito di recuperare agli ambienti fascisti, sia pure non ufficiali, Bombacci e gli ex-comunisti espulsi con lui dal Partito Comunista. Malgrado ciò Bombacci dal quel lontano 1927, guardò sempre con interesse al fascismo di sinistra, e in quello spirito, Mussolini gli permise la pubblicazione e di una sua rivista mensile di politica, "La Verità", che imitava il titolo della Pravda. Il primo numero uscì nel 1936 con la collaborazione di parte del vecchio mondo socialista, nomi quali Walter Mocchi, Giovanni Renato Bitelli e il sindacalista Alberto Malatesta.

Quello fu anche il periodo in Ivanoe Bonomi progettava la costituzione di una "Associazione Socialista Nazionale" con gli ex deputati Bisogni, D’Aragona, Caldara, disposti a collaborare con il regime. Interessante è uno scritto di Walter Mocchi, pubblicato sulla rivista di Bombacci nel numero del 13 ottobre 1940 (era il momento del breve idillio tra Stalin e Hitler): "eppure giorno verrà, in cui il sovieto, permeandosi di spirito gerarchico e la corporazione di risoluta anima rivoluzionaria, si incontreranno sopra un terreno di redenzione sociale".

Un altro episodio di riconciliazione avviato da Bombacci che è giusto segnalare, fu il suo interessamento verso Gramsci, quando quest'ultimo fu arrestato, sollecitando il Duce a considerarne la malferma salute; il permanere di contatti con il vecchio mondo socialista portò Bombacci a farsi interprete ed intermediario, nel 1934, assieme all’ex-sindaco di Milano Emilio Caldara, nel sollecitare con Nino Levi, un colloquio con Mussolini, per proporre il rientro nei sindacati fascisti, di personaggi come Bentivogli, ex-sindaco di Molinella, Massarenti, Rigola e cautamente Romita. A tale proposito esiste un documento di ambienti socialisti romagnoli (documento citato anche da Renzo De Felice) a favore del fascismo corporativo, considerato "di sinistra" e del suo capo. Molti tentativi rimasero tali, ma è giusto ricordare quanto Bombacci si adoperò, prima dell'ultimo conflitto, a favore di questi socialisti ed ex-comunisti affascinati da Mussolini e contrari all'antifascismo fuoriuscito.

È nell'ottobre 1943, agli albori della RSI, che ritroviamo uno scritto di Bombacci indirizzato a Mussolini, dopo i tragici avvenimenti di quel periodo, che dimostra la lealtà e la profonda dedizione dell'ex-deputato comunista: "Duce, già scrissi in "la Verità" nel novembre scorso — avendo avuto una prima sensazione di ciò che massoneria, plutocrazia e monarchia stavano tramando contro di Voi — sono oggi più di ieri con Voi. Il lurido tradimento del re e di Badoglio, che ha trascinato purtroppo nella rovina e nel disonore l'Italia, vi ha però liberato di tutti i componenti di una destra pluto-monarchica del '22".

Nella RSI evidente fu il ruolo di Bombacci, come trascinatore di folle popolari, per quella legge, senza dubbio la più rivoluzionaria del Fascismo. Si deve anche menzionare che il prof. Sargenti, collaborò alla stesura della legge assieme al Ministro Angelo Tarchi (i 18 punti di Verona). Questa legge dimostra e testimonia il percorso avvenuto nell'animo dell’ex-comunista: la socializzazione è il traguardo del primo come dell'ultimo movimento fascista. Nei vari discorsi pronunciati in tutto il Nord Italia, soprattutto l'ultimo a fine marzo 1945, a Genova, in Piazza De' Ferrari, di fronte a oltre trentamila operai. Vi è tutta la dedizione a Mussolini, e l'entusiasmo per il recupero del Duce alle sue radici socialiste, cosa che permette di capire il comune destino di sangue dell'imminente aprile.

Mussolini lo volle dunque vicino negli ultimi giorni della Repubblica Sociale, perché rivedeva in quella comunanza il ritorno agli ideali sansepolcrini del 1919, la sua volontà di lanciare un tentativo di un radicale rinnovamento delle istituzioni sociali. Esso fu l'attuazione di un progetto già intravisto durante il regime con le riforme popolari del mondo del lavoro e della tutela sociale. È con il fascismo repubblicano della RSI che Bombacci ottiene da Mussolini lo spazio per interpretare, assieme al lui, le linee programmatiche della grande incompiuta riforma socializzatrice.

Catturato dalle forze partigiane e giustiziato, subito dopo il 25 aprile 1945, il suo corpo fu uno di quelli esposti in Piazzale Loreto, al fianco di Benito Mussolini, Claretta Petacci e altri gerarchi fascisti.

Edited by Hellas Army - 8/9/2006, 18:08
 
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A.C.A.B.
view post Posted on 27/8/2006, 14:43     +1   -1




CARMINE CROCCO detto Donatelli

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Nato a Rionero in Vulture il 5 giugno 1830 da Francesco e da Maria Gerarda Santomauro , di condizione pastore , il 19marzo 1849 viene arruolato nell'esercito napoletano ed inviato a Palermo nel I reggimento artiglieria. Disertore nel 1852 per omicidio , con Ninco Nanco costituisce una banda armata e si nasconde nel bosco di Monticchio , vivendo di rapine.Arrestato nel 13 ottobre 1855 viene condannato a 19 anni di carcere.Nella notte tra il 13 e il 14 dicembre 1859 Crocco evade con altri compagni dal carcere di Brindisi e si riporta nei boschi di Monticchio.Il 17 agosto 1860 aderisce ai moti liberali di Rionero e per due mesi è a disposizione della giunta insurrezionale e del vice governatore Decio Lordi , mostrandosi attaccato al nazional risorgimento .La grazia invocata pero' non arriva : infatti , resosi colpevole , prima dell'insurrezione di agosto , del sequestro di Michele Anastasia di Ripacandida , questi nonostante abbia Crocco cinto la fascia tricolore , sollecita le autorità di Potenza a procedere contro i rapitori . Il 5 settembre 1860 ha inizio il procedimento penale e Crocco , saputa la notizia , chiede aiuto a Emanuele Brienza ,che espone il suo espatrio ,grazie all'aiuto di un tal Francesco Azzolini di Molfetta , che assicura che con 250 ducati Crocco potrà raggiungere Corfù.Il 27 gennaio 1861 Crocco viene sorpreso a Cerignola con un cavallo rubato alla masseria dei signori Fortunato e viene arrestato.Dal carcere scrive di nuovo ad Emanuele Brienza chiedendogli qualche documento falso per poter essere rilasciato.Intervenne invece il comitato legittimista rionerese e Crocco nella notte tra il 3 e il 4 febbraio 1861 evase.Da questo momento si mette al servizio della restaurazione borbonica.Dopo un periodo di preparazione Crocco nelle prime ore di domenica 7 aprile occupa il castello di Lagopesole e qui inizia a reclutare gente promettendo 6 carlini al giorno.Il giorno dopo si reca a Ripacandida dove , dopo uno scontro con la guardia nazionale di Avigliano in perlustrazione nella zona , giunge verso le tre di notte.Invano Michele Anastasia , capo della guardia nazionale di Ripacandida, chiede rinforzi : Crocco e il suo esercito saccheggiano Ripacandida e dichiarano decaduta l'autorità regnante ; lo stesso Crocco nomina una giunta provvisoria e ordina che nelle chiese si canti il Te Deum e che gli stemmi dei piemontesi si sostituiscano con quelli di Francesco II.Il 10 Crocco si dirige verso Venosa , dove la guardia nazionale aveva ricevuto rinforzi da Maschito , Forenza e Palazzo san Gervasio , ma appena giunse Crocco la guardia nazionale gli va incontro con la bandiera bianca.Nonostante ciò anche qui avvennero saccheggi e fu istituita una giunta provvisoria.A Rionero intanto , temendo un attacco di Crocco , Gennaro Fortunato e Pasquale Catena propongono di chiamare la popolazione a difesa della città.Emanuele Brienza e i capitani Stia , Manna , Telesca e Pisanti si oppongono.Crocco invece punta su Lavello , dove viene calorosamente accolto.Dopo è la volta di Melfi (15 aprile) , che accoglie Crocco trionfalmente.A Rionero intanto giungono rinforzi da Eboli e Foggia e la difesa della città è affidata alla colonna D'Errico e al capitano Gennari (i primi sulla montagna , i secondi verso Barile).Ma gli uomini di Crocco sono numericamente più forti e costringono le forze citate sopra a ripiegare verso il centro abitato di Rionero.Nel paese le guarde nazionali comandate da Pasquale Corona fanno fatica ad arginare gli insorti che scendono dalla montagna.L'ultimo tentativo fu di tenere impegnate le bande che scendevano dal monte Vulture e attaccare simultaneamente quelle che creavano problemi agli uomini del capitano Gennari.Proprio a Barile gli uomini del capitano Bochicchio mettono in fuga gli insorti.Pare finita ma più tardi Crocco riunisce anche la retroguardia proveniente da Rapolla e riesce ad entrare a Rionero.Qui la guardia nazionale si raduna in piazza e fucila un prigioniero,ma giungeva notizia che gli uomini di Crocco , comandati dal rionerese Luigi Romaniello detto "Chiofaro" , erano penetrati in paese ed erano sparsi a sant'Antonio , Chiancantina e per il Calvario al grido "viva Francesco II".La guardia nazionale , visto il ritirarsi della popolazione nelle case , riuscì a tenere testa agli uomini di Romaniello e li costrinse a ritirasi a Barile.Due giorni dopo a Rionero arrivano altri rinforzi e Crocco lascia la città ritirandosi verso l'Ofanto.Nei giorni seguenti la guardia nazionale riesce a rimpossessarsi dei paesi insorti e ristabilisce i governo di Vittorio Emanuele.L'insurrezione legittimista è ormai fallita.Di fronte alla vittoria liberale molti insorti non esitano a schierarsi coi vincitori , mentre la povera gente diventa vittima della reazione militare.Crocco , dopo aver occupato Monteverde , Carbonara , Calitri , sant'Andrea , Teora e Conza , si rifugia con le sue bande nei boschi , vivendo di rapine e saccheggi , in attesa di un provvedimento che gli assicuri il ritorno alla vita normale.Il provvedimento atteso da Crocco e dai suoi uomini viene promulgato dal generale Dalla Chiesa ma , dopo essersi costituiti , alcuni briganti vengono ugualmente arrestati.Crocco , che ha sincere intenzioni di costituirsi purchè sia lasciato libero , a dimostrazione della sua pericolosità ,occupa il 10 agosto Ruvo del Monte e comunica all'intendente di Melfi la sua volontà.Il 30 agosto da Napoli arriva però l'impossibilità ad accettare la richiesta di Crocco:da questo momento il brigantaggio diventa comune delinquenza.Dopo la disfatta subita il 25 luglio sull'Ofanto , decide di fuggire nello stato Pontificio , sperando di essere accolto con gli onori che meriterebbe un generale di Francesco II.Invece fu privato dei soldi , fu incarcerato e nel 1870 rilasciato alle autorità italiane.A Potenza viene condannato a morte con la sentenza dell'11 settembre 1872 , mutata dopo in quella dei lavori forzati a vita.Rinchiuso nel carcere di Portoferraio , qui muore il 18 giugno 1905.

OGGI COME IERI: O EMIGRANTI O BRIGANTI!

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CITAZIONE (Weizenbock @ 26/8/2006, 20:06)
...un personaggio che -aimè- in Italia è pressoche sconosciuto e sarebbe stato dimenticato del tutto se non gli fossero stati dedicate piazze o vie...
personalmente mi ha sempre fatto emozione quest'uomo...gli dedico poche righe cossichè tutti possano leggere senza annoiarsi...
(IMG:http://www.fanfaralonate.net/IMAGES/Etoti.jpg)
Enrico Toti
Mutilato di una gamba e costretto a camminare con una stampella in seguito ad un incidente ferroviario, allo scoppio della prima guerra mondiale si arruola fra i bersaglieri ciclisti, e inviato sul fronte del Carso. Il 6 agosto 1916, durante la sesta battaglia dell' Isonzo, lanciatosi con il suo reparto all' attacco della Quota 85 a est di Monfalcone, viene ferito più volte dai colpi avversari, e con un gesto eroico, scaglia la gruccia verso il nemico esclamando:" Nun moro io !"(io non muoio!), poco prima di essere colpito a morte.

I DDT gli hanno dedicato la copertina del loro ultimo Cd intitolato appunto: "Skaglia!"

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curvasudcremona
view post Posted on 27/8/2006, 15:43     +1   -1




RIFORMA PROTESTANTE (1517-1530)MARTIN LUTERO!!!!

Nel 1514 papa Leone X rinnovò il commercio delle indulgenze per finanziare la costruzione di un nuovo cantiere per San Pietro, ma l'esosità dell'operazione e la propaganda indignarono a tal punto frate Martin Lutero, da fargli proporre, il 31 ottobre 1517, una discussione sull'abuso del commercio delle indulgenze, richiesta attraverso l'affissione delle sue 95 tesi alla porta del Duomo di Wittemberg. La diffusione delle tesi luterane, ed il grande fervore che sollevarono, suscitò l'indignazione dei frati domenicani. Lutero a Roma venne condannato di eresia, ma venne protetto dal principe elettore tedesco Federico il Saggio, e quando rifiutò di ritrattare le sue tesi fu costretto a fuggire appellandosi ad un Concilio.
E' nel 1519 che Lutero sancì la sua rottura con Roma, rifiutando di riconoscere il primato del papa, la tradizione della Chiesa e l'infallibilità dei concili. L'anno successivo redasse tre manifesti: uno politico, uno dogmatico ed uno etico. Nel primo si rivolgeva agli imperatori e ai nobili, proclamando il sacerdozio universale, ossia che ogni cristiano è di stato sacerdotale, ed invitava i principi a convocare un concilio nazionale per attuare le riforme. Nel secondo, Lutero respingeva la pratica dei sacramenti riconoscendo solo i due propriamente fondati sulla tradizione evangelica, ossia il battesimo e l'eucaristia. Nel terzo, infine, esaltava la responsabilità morale individuale e la priorità della fede come strumento di salvezza.
In seguito a queste proclamazioni Lutero venne scomunicato, ma come risposta, il frate bruciò la bolla papale.

Conseguenze
I manifesti di Lutero furono accolti con entusiasmo, ben presto si divulgarono opuscoli e volantini (silografie) che lo sostenevano, e molti letterati aderirono alla dottrina luterana. Nonostante il favore di molti, però, durante la dieta di Worms (1521), Lutero fu messo al bando da Carlo V, e grazie a Federico il saggio, si rifugiò nella fortezza di Warburg. Durante il suo soggirono a Wartburg Lutero tradusse dall'originale greco il Nuovo e l'Antico Testamento, e la sua Bibbia divenne il manifesto culturale e spirituale della Riforma, nonché il primo capolavoro della tradizione letteraria tedesca


Edited by curvasudcremona - 27/8/2006, 18:41
 
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A.C.A.B.
view post Posted on 27/8/2006, 16:10     +1   -1




CITAZIONE (curvasudcremona @ 27/8/2006, 16:43)
RIFORMA PROTESTANTE (1517-1530)

Nel 1514 papa Leone X rinnovò il commercio delle indulgenze per finanziare la costruzione di un nuovo cantiere per San Pietro, ma l'esosità dell'operazione e la propaganda indignarono a tal punto frate Martin Lutero, da fargli proporre, il 31 ottobre 1517, una discussione sull'abuso del commercio delle indulgenze, richiesta attraverso l'affissione delle sue 95 tesi alla porta del Duomo di Wittemberg. La diffusione delle tesi luterane, ed il grande fervore che sollevarono, suscitò l'indignazione dei frati domenicani. Lutero a Roma venne condannato di eresia, ma venne protetto dal principe elettore tedesco Federico il Saggio, e quando rifiutò di ritrattare le sue tesi fu costretto a fuggire appellandosi ad un Concilio.
E' nel 1519 che Lutero sancì la sua rottura con Roma, rifiutando di riconoscere il primato del papa, la tradizione della Chiesa e l'infallibilità dei concili. L'anno successivo redasse tre manifesti: uno politico, uno dogmatico ed uno etico. Nel primo si rivolgeva agli imperatori e ai nobili, proclamando il sacerdozio universale, ossia che ogni cristiano è di stato sacerdotale, ed invitava i principi a convocare un concilio nazionale per attuare le riforme. Nel secondo, Lutero respingeva la pratica dei sacramenti riconoscendo solo i due propriamente fondati sulla tradizione evangelica, ossia il battesimo e l'eucaristia. Nel terzo, infine, esaltava la responsabilità morale individuale e la priorità della fede come strumento di salvezza.
In seguito a queste proclamazioni Lutero venne scomunicato, ma come risposta, il frate bruciò la bolla papale.

Conseguenze
I manifesti di Lutero furono accolti con entusiasmo, ben presto si divulgarono opuscoli e volantini (silografie) che lo sostenevano, e molti letterati aderirono alla dottrina luterana. Nonostante il favore di molti, però, durante la dieta di Worms (1521), Lutero fu messo al bando da Carlo V, e grazie a Federico il saggio, si rifugiò nella fortezza di Warburg. Durante il suo soggirono a Wartburg Lutero tradusse dall'originale greco il Nuovo e l'Antico Testamento, e la sua Bibbia divenne il manifesto culturale e spirituale della Riforma, nonché il primo capolavoro della tradizione letteraria tedesca

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