VIVERE ULTRAS forum: I colori ci dividono, la mentalità ci unisce! (dal 23/01/04)

Personaggi Storici

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Chi l'ha visto?
view post Posted on 29/8/2006, 16:48     +1   -1




aaaaaaaaaaaaaah....
 
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view post Posted on 29/8/2006, 17:04     +1   -1
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incontinenzia deretana

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carino come hellasarmy dipinga EUGENE TERRE'BLANCHE.
sembra un povero agnello sacrificale in un mondo di cattivoni neri...
 
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marcosoloio
view post Posted on 29/8/2006, 18:52     +1   -1




Pietro Micca - (Sagliano, Biella, 6 marzo 1677 - Torino, 30 agosto 1706) - Fu un patriota piemontese, arruolato come soldato-minatore nell'esercito sabaudo, reso famoso da un episodio nel quale perse la vita e che salvò la città di Torino assediata nel 1706 dalle truppe francesi. Poco si sa sulla sua persona prima del gesto, tranne che proveniva da famiglia modesta. Nella sua città natale, Sagliano (piccolo centro della bassa Valle Cervo divenuto in seguito Sagliano Micca) esiste ancora la semplice casa nella quale abitava, situata all'interno di uno dei tipici cortili del Piemonte. Un museo a lui intitolato, dedicato al suo gesto e al memorabile assedio, si trova a Torino.

Nella notte tra il 29 e il 30 agosto 1706 - in pieno assedio di Torino da parte dell'esercito francese - forze nemiche entrarono in una delle gallerie sotterranee della "Cittadella", uccidendo le sentinelle e cercando di sfondare una delle porte che conducevano all'interno. Pietro Micca - conosciuto con il soprannome di Passepartout - era di guardia ad una di queste porte insieme ad un commilitone.

I due soldati sentirono dei colpi di arma da fuoco e capirono che non avrebbero resistito a lungo: decisero così di far scoppiare della polvere da sparo (un barilotto da 20 chili posto in un anfratto della galleria chiamata "capitale alta") allo scopo di provocare il crollo della galleria e non consentire il passaggio alle truppe nemiche. Non potendo utilizzare una miccia lunga perché avrebbe impiegato troppo tempo per far esplodere le polveri, Micca decise di impiegare una miccia corta, conscio del rischio che avrebbe corso. Istintivamente, quindi, allontanò il compagno (con una frase che sarebbe diventata storica: "Alzati, vai e salvati, che sei più lungo di una giornata senza pane") e senza esitare diede fuoco alle polveri correndo verso la scala che porta in superficie.

il corpo di Pietro Micca fu ritrovato senza vita a quaranta passi di distanza, dove fu scagliato dallo spostamento d'aria dovuto alla deflagrazione. L'ubicazione della scala su cui avvenne l'eroico gesto si è avuta soltanto nel 1958 grazie alle ricerche dell'allora capitano Guido Amoretti, ora generale, appassionato archeologo e studioso di storia patria. A lui si deve l'ideazione del Museo Pietro Micca e dell'assedio di Torino del 1706.

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settembrenero
view post Posted on 29/8/2006, 18:59     +1   -1




CESARE MORI

Abbandonato neonato in un orfanotrofio di Pavia il 1°gennaio 1872 e riconosciuto come figlio da Felice Mori e Pizzamigli Rachele nel 1 gennaio 1880(s'erano sposati il 14 ott 1879).
Nel 1891 è sottotenente d'artiglieria,innamoratosi d'Angelina Salvi,lascia l'esercito il 20 giugno 1896 perchè il padre di questa non poteva o voleva pagare la "dote militare"(10000 c.ca)si sposano il 17 gennaio 1897.
Dopo un primo fallimento,il 19 aprile 1898 supera1° su 107 un concorso per entrare nelle forze dell'ordine e,nel maggio 1898,è delegato della pubblica sicurezza a Ravenna,in quel periodo sconvolta da agitazioni.
Combatte con durezza i gruppi sovversivi(repubblicani,socialisti,anarchici ecc)pur talvolta aperto al dialogo,sopratutto quando si tratta di manifestazioni pacifiche.
Nel nov 1903,dopo aver fatto un buon lavoro colla squadra politica,è promosso a commissario di 4°classe.
Durante una campagna di repressione d'armi bianche da lui iniziata quello stesso anno perquisisce il sindaco in un bar repubblicano e,i giornali di quello schieramento si scagliano contro di lui con tale foga da ottenerne il trasferimento il 3 aprile 1904.
Mandato a Castelveltrano(Trapani) dove uccide personalmente almeno 3 briganti,ne arresta altri,sventa rapimenti,tentativi di pressione elettorale,resiste a tentativi d'intimidazione della mafia e sfugge ad attentati.
Dopo essere stato mandato a Firenze nel 1915,dopo lo scoppio della guerra è nuovamente in Sicilia,questa volta per sopprimere il rinato brigantaggio alimentato anche dai renitenti alla leva.
Eliminato il brigantaggio vorrebbe cominciare con la mafia,ma è trasferito a Torino come questore.
Poi trasferito a Roma ed infine a Bologna dove,come nelle altre città,si distingue per l'azione repressiva verso chiunque violi la legge scontrandosi quindi non solo coll'estrema sinistra,ma anche con i fascisti d'Arpinati nonstante molti funzionari delle forze dell'ordine fossero restii a combattere gli squadristi per i quali provavano simpatia.
Nominato per poco tempo "prefettissimo" della valle padana da Giolitti si rinuncia al progetto per la scarsa obbedienza dei prefetti a lui sottoposti.
Assediato nel suo studio dai fascisti a fine magio 1922.Questi,dopo un accordo col governo,il 2 giugno si ritirano e,il 23 giugno invitato a scegliersi un'altra sede,lui dice che faccia il ministero che lo manda in Pugli,il 18 nov 1922 è dispensato dal servizio attivo.
Il 20 ottobre 1925 è nominato da Mussolini,su proposta di De Bono,prefetto di tutta la Sicilia per eliminare la mafia(Mussolini avrebbe preferito qualcun'altro,ma il migliore era lui)col mandato di "colpire in alto come in basso".
Il suo programma era:
-Affermarsi tra la gente con un grande successo.
-riconquistare l'appoggio popolare
-rendere la mentalità della gente più resistente alla mafia
-sfruttare alcuni elementi culturali isolani
-educare i giovani
-distinguere tra mafia e mafia e malvivenza
-battere la malvivenza nel sistema associativo e nelle basi d'appoggio
-battere la mafia negl'uomini,nel prestigio,nelle finanze,nella forza intimidatoria e nella rete d'interessi.
Prima ancora d'arrivare s'ha una petizione di 400(si scoprirà che,in realtà erano 6)"fascisti trapanesi della 1° ora" che non volevano il "prefetto socialista",ma Mussolini li fa espellere dal partito.
Dopo un successo contro bassa mafia(quasi briganti)nella conca d'oro,ottiene il grande successo a Gangi,città completamente controllata da 4 clan(Ferrarello,Andaloro,Dina e Lisuzzo)che avevano fatto scavare rifugi sotterranei collegati tra loro sotto tutto il paese.Ci riuscì senza quasi combattere,cosa che voleva evitare erchè,se fosse stato sconfitto,i criminali sarebbero sembrati eroi e,se anche avesse vinto,sarebbero stati dei martiri,mentre,se si fossero arresi senza combattere,sarebbero sembrati solo dei codardi.
Perciò assediò Gangi isolandola completamente dall'esterno(tolto anche il telegrafo),sequestrò i beni dei criminali dalle fattorie intorno e,dopo una retata di chi non s'era rifugiato nei sotterranei,macella le bestie dei mafiosi deistribuendone la carne nel paese e ne arresta i familiari facendo anche circolare voci di maltrattamenti verso di loro,sopratutto le donne per indurre i criminali ad arrendersi per far liberare la famiglia,inoltre lui ed i suoi collaboratori sfidano a duello i capi nemici che non si presentano.
Il 6 gennaio s'arrendono anche i capi e,un tizio che riesce ad evadere è catturato dai paesani che aiutano la polizia.
Sull'onda del successo,che ebbe anche risonanza internazionale,scatenò un'ondata d'arresti di livello più che altro basso(voleva agire dal basso verso l'alto,probabilmente per ottenere il consenso popolare eliminando prima le realtà con cui la gente era in immediato contatto)tranne qualcuno come Francesco Cuccia e Don Vito Cascio Ferro.
Intorno al 1926 ha,come procuratore generale,Luigi Giampietro,molto severo che pensa che "la mitezza sia debolezza" e che l'assoluzione per assenza di prove è "un compromesso con la coscienza",tuttavia i suoi colleghi,nei casi di processi all'alta mafia,sono ancora troppo malleabili,tuttavia riuscirà a rendere più veloci i processi ed a creare i "maxiprocessi".
Nel frattempo il tiro di Cesare s'alza e,il 4 aprile 1926,durante un rastrellamento a Mistretta,nella casa dell'avvocato Antonio Ortoleva,si trovano documenti che provavano il coinvolgimento di moltissime persone d'alta società tra cui il generale Antonino di Giorgio e(sebbene non fosse un vero mafioso,ma avesse comunque trafficato con quella gente in maniera non molto pulita)il capo del fascio di Palermo Alfredo Cucco,ma per il momento decide rinviarne l'arresto e non dir niente a nessuno.
Intanto cerca di far sì che la gente comune si difenda da sola contro i banditi,i criminali ed i mafiosi,costituendo anche una milizia rurale e progetta una riforma scolastica per combattere la mentalità mafiosa.
Il 5 novembre 1926 viene informato del fatto che Cucco cercava,con le sue amicizie altolocate di farlo trasferire,ma ne ottiene l'arresto,il 27 maggio 1927 è elogiato in parlamento da Mussolini e,successivamente sventa una congiura d'Antonino di Giorgio che si ritira a vita privata.
Tuttavia l'alta mafia già da tempo lo diffamava presso il duce tramite lettere anonime in cui se ne denuciava anche la popolarità insinuando che si credesse più importante del duce e forse dopo un po' fece effetto perchè,il 16 giugno 1926 è nominato senatore e mandato a Roma mentre si proclama che la mafia è scomparsa e Luigi Giampietro è richiamato a Roma ed Alfredo Cucco viene dichiarato innocente al processo che stava ancora subendo.
Gran parte delle informazioni le ho prese da "il prefetto di ferro" di Arrigo Petacco che ipotizzava anche contatti d'un certo livello tra il duce ed alcuni mafiosi da cui avrebbe anche ottenuto favori tuttavia credo ciò sarebbe stato messo in evidenza dopo la caduta del regime ed adesso sarebbe risaputo.
Salvatore Lupo è ancora più critico dicendo che Cesare era più preoccupato ad opprimere ed arrestare contadini ed ad appoggiare i proprietari terrieri che a combattere la mafia(pur dicendo più avanti che a Corleone la mafia non esisteva dopo la 2° guerra mondiale grazie a Mori e che dovette essere rifondata e che la mafia decise di non aiutare Borghese nel suo tentativo di colpo di stato perchè si ricordava di Mori).
Tuttavia è strana la rimozione(motivata per le pressioni di mafiosi infiltrati nel partito secondo Petacco e per la sua eccessiva popolarità per altri) nel 1929 che sembra effettivamente troppo frettolosa se è vero che,accanto al titolo d'un giornale che diceva che il Duce si congratulava con Mori per la sua opera lui ha scritto"che qui riposa in pace"(ovviamente riferito all'opera)tuttavia l'ho preso dal libro di Petacco per cui sta a voi crederci o no.
Cesare Mori da senatore si preoccupò della situazione meridionale cercando di portare in aula l'argomento(contro il desiderio dell'autorità),poi fu mandato a fare bonifiche nel nord ed infine morì poco dopo la moglie nel 5 luglio 1942 durante la 2°guerra mondiale cui era contrario.
 
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|1906|
view post Posted on 30/8/2006, 00:26     +1   -1




le cose su arkan sono da vomito
 
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Chi l'ha visto?
view post Posted on 30/8/2006, 08:20     +1   -1




E' esistito, vecchio mio, chiudere gli occhi e far finta di noserve a poco. Ed esisteranno ancora altri come lui, e quando faranno comodo alla "tua" causa, se mai avrai una causa, beh là ti troverai più disposto a discuterne, automaticamente.
 
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la peggio gioventù
view post Posted on 30/8/2006, 09:17     +1   -1




ALESSANDRO PAVOLINI

Un'Idea vive nella sua pienezza e si collauda nella sua profondità quando il morire battendosi per essa non è metaforico giuramento ma pratica quotidiana”.


Parole secche, prive di retorica perché già pregne di lucido pathos; non parole al vento, perché dette da colui che rese usuale, quotidiano, normale, il gioioso martirio di stampo squadrista, perché pronunciate da colui che avrebbe combattuto fino all’ultima cartuccia, che avrebbe creduto al Ridotto della Valtellina - le famose Termopili del Fascismo - e avrebbe infine comandato di fatto il suo stesso plotone d’esecuzione.
Questo, signori, è Pavolini e potremmo fermarci qui.



Potremmo fermarci qui perché l’essenza non necessita di fronzoli, di ragionamenti, di elucubrazioni. Ma l’uomo seduto, distratto, risucchiato nella spirale di un vivacchiar banale cerca spiegazioni, cerca ragionamenti, cerca conferme, quasi a voler esorcizzare in qualche modo la nuda verità che recita così: o si hanno le palle o si è buffoni.
E poiché a nessuno piace ammettere di essere un buffone ecco che la virilità se la cuce addosso, se la costruisce esorcizzando il dramma e la tragedia con ragionamenti cha sembrano limpidi e coinvolgenti e che spiegano il come ed il perché, che anatomizzano la storia togliendole ogni afflato, rendendoci incomprensibile chi invece è quanto mai chiaro, da Attilio Regolo a Pietro Micca, da Giovanni dalle Bande Nere a Che Guevara (ucciso una seconda volta dai suoi che ne han fatto un simbolo di merchandising).
Ed allora, signori, perdiamoci nella ragnatela dei ragionamenti ed andiamo a vedere come si esprime l’uomo-mito o il mito-uomo Alessandro Pavolini che uomo fu dei più eccezionali e mito è in tutto e per tutto.
E per la sua eccelsa figura e perché “Miuthos” per i nostri antenati significava “discorso del verbo” ossia rappresentava uno dei modelli compiuti, logici e dunque razionali attraverso i quali l’essenza propone se stessa e la via per essere finalmente colta. Mito è, dunque, un modello eterno, incarnato da un tipo originario (l’Archetipo) che segue una strada che già è stata percorsa e che il medesimo tipo dovrà percorrere sempre, nell’ atemporale eterno ritorno.
Mito è tragedia, ovvero annullamento dell’individualità costruita, nel recupero della natura elementare e nel collegamento folgorante e devastante con il Divino.
Alessandro Pavolini è dunque Mito, completamente e senza la necessità di costruzioni teoriche.
È talmente mito che, vuoi per rispetto, vuoi per timor reverenziale, vuoi per vergogna di operare il confronto, vuoi per giustificare accomodamenti e cedimenti interiori, gli stessi sopravvissuti alla tragedia di quegli anni han pensato bene di parlarne poco. Bene han fatto perché la retorica e le esternazioni aderiscono assai meglio a chi non ha raggiunto l’essenza nuda che non a chi ci sovrasta e ci accompagna silente con quell’ironico e tagliente sguardo che altro non è se non la nostra stessa coscienza. Grande parola troppo spesso utilizzata a sproposito…



Alessandro Pavolini stupì tutti. Stupì la Firenze bene, i salotti degli intellettuali, il suo amico Galeazzo Ciano, il suo conoscente Indro Montanelli. Li stupì talmente da indurli a vaneggiare che ce ne fossero due. Un Pavolini moderato, letterato, illuminato, indulgente verso i critici del Regime ed un Pavolini sconvolto dal tradimento del 25 luglio; sconvolto a tal punto da cambiar carattere, da divenir brutale, intransigente, selvaggio ed esaltato.
È la mistificazione prima e forse la più importante: è l’operazione di autogiustificazione da transfert psicologico tramite il quale i deboli ed i vili s’innalzano, o meglio evitano di sprofondare, rifiutando il confronto. Non vi furono due Pavolini, la demonizzazione o meglio ancora le giustificazioni psicotiche atte ad esorcizzare quello del secondo corso tradiscono una precisa volontà: attribuire a passione scomposta, a ragione sconvolta, la disposizione ferma e continua ad essere se stessi senza flettere, pagandone qualsiasi costo.
La coscienza borghese (una parola usata a sproposito, dicevamo), questa finta coscienza recita così: esprimi una fede e recita il copione ma non andare mai oltre, questa fede e questa coscienza sono infatti una veste, un fatto estetico, non prenderle sul serio, mai.
Di gente così, quattro secoli fa, si disse che erano “disposti a difendere le loro opinioni fino al rogo escluso…” E probabilmente i suoi contemporanei amici di salotto s’inventarono anch’essi due Giordano Bruno: affinché il suo ricordo non li schiacciasse.
Questi buoni borghesi dovevano - e tuttora devono - credere che solo uno stupido, un rozzo, un ottuso, un selvaggio possa andare incontro al sacrificio, possa non aver il genio di evitare il conflitto, di venir meno alle sue responsabilità, di scegliere la tragedia ripudiando la farsa.
E come accettare che il più illuminato ministro della Cultura, il più liberale (come indole ovviamente) federale di Firenze e forse d’Italia, l’indulgente frequentatore dell’intelligentia antifascista, fratelli Rosselli inclusi, il figlio del più illustre professore di Sanscrito, il miglior conoscitore delle tradizioni scandinave, l’ideatore ed il realizzatore dei Littoriali della Cultura che avrebbero consacrato gente come Fermi, Blasetti e Fanfani, l’uomo che salvava le opere di Visconti dalla censura di Regime, il personaggio forse più intelligente, colto e sensibile del Ventennio dunque, abbia accettato la sfida, abbia fatto fronte alla disfatta, abbia fondato il Partito Combattente e le Brigate Nere, abbia operato una vera e propria rivoluzione culturale, antropologica e sociale e sia andato a morire serenamente e consapevolmente ? Per nulla secondo la morale borghese, per tutto secondo lo spirito nudo, essenziale ed esaltante della Civiltà.
Lo definirono allora esaltato (mentre al contrario esaltava), cioè sprovveduto, folle, posseduto, maniacale e si lavarono le mani del suo sangue. Che non era il loro ma è certamente il nostro.



Poeta e scrittore, Pavolini ebbe la vocazione al giornalismo fin dall’età di otto anni (quando produsse autonomamente il periodico bellicista “La Guerra”), al quale fece seguito “Il Buzzecolo”; durante il Fascismo, cui, non appena diciottenne, aveva aderito fin dal 1920, fu il fondatore de “Il Bargello”, poi inviato speciale e combattente in Abissinia, prima di divenire appunto Ministro della Cultura e direttore de “Il Messaggero”. Scrisse libri e racconti di altissimo livello come “Giro d’Italia”, “Nuovo Baltico”, “Tutto il Danubio”, “Cento metri”, “Il leopardo Dil Dil”, “La Disperata”, “Ritratto d’Angela”.


A Firenze seppe imporsi con buon senso tra lo squadrismo aggressivo e “plebeo” di Tamburini e quello aristocratico, esteta e lievemente classista di Perrone Compagni. Di lui si disse che era un “fascista equilibrato” ed un “protettore delle arti”. Ideò il Maggio Musicale, la Partita di Calcio in Costume, la Mostra dell’Artigianato al Ponte Vecchio, le Rassegne d’Arte, la Fiera del Libro, la Primavera Fiorentina, il Teatro Sperimentale dei Gruppi Universitari Fascisti e i Littoriali della Cultura.
Da Federale approvò i progetti e determinò la realizzazione dello Stadio Comunale, della nuova Stazione di Santa Maria Novella e dell’Autostrada Firenze-Mare. Contribuì all’allargamento dell’edilizia popolare. Sin dal 1934 fu deputato alla Camera dei Fasci e delle Corporazioni.
Nel 1939 diviene ministro della cultura e coglie subito l’importanza della Radio e del Cinema. È temuto dai Tedeschi che lo considerano un “moderato” ma è tenuto in grande considerazione da Joseph Gobbels, il plenipotenziario del Terzo Reich che s’intende parecchio sia di propaganda che di uomini.
Nel febbraio del 43, a causa di un cambio della guardia, è rimosso dal dicastero. Al momento del colpo di Stato del 25 e 26 luglio Pavolini ha così tutte le carte in regola per uscire indenne dalla bufera.
Ha alle spalle una tradizione di buon governo e frequentazioni antifasciste che lo garantiscono. Dai fratelli Rosselli, ad Alberto Carocci, Arturo Loria, Gaetano Salvemini, Piero Gobetti e Jean Luchaire. Ha frequentazioni ebraiche; è il miglior amico del ribelle Ciano. È ricco di famiglia ed ha un passato così illustre, pur non essendo ancora quarantenne, da non necessitare di alcuna ambizione supplementare. I Tedeschi lo considerano un “moderato”; per molto meno centinaia di individui si sono costruiti un passato da “resistenti” ed hanno attraversato indenni il guado.
Indenni fisicamente ma non moralmente.
Pavolini invece passa il Rubicone. “Al mitra ! Alla macchia !” è il suo grido di reazione. Organizza subito con altri camerati la risposta fascista. La notte dell’8 settembre da un binario morto di Koenigsberg parla al popolo italiano insieme a Vittorio Mussolini. Il 14 settembre è a Monaco ad accogliere il Duce liberato da Skorzeny e da Student. Resterà con lui fino all’ultimo e sarà assassinato lo stesso giorno a pochissimi chilometri di distanza.


L’uomo di cultura, colui che da sempre ha preteso che azione e pensiero sono inscindibili, dà allora il senso pieno a questo termine che con l’andare del tempo e soprattutto del decadimento, noi abbiamo svalutato e svilito ma che significa invece adesione piena di ogni atto ad un modello ideale. Kultur in tedesco non a caso vuol dire Civiltà.
Pavolini incarna il binomio inscindibile della retorica ventennale “libro e moschetto” e si fa, o meglio si conferma pienamente e senza esitazioni, “poeta armato”.
Il Duce lo fa segretario del nascente Partito Fascista Repubblicano, ovvero lo innalza alla seconda carica della Repubblica Sociale e gli dà il compito di organizzare e di rifondare al contempo il Partito.
Deve farlo in una coabitazione burrascosa con i vertici dell’Esercito, con la corrente legalista e reazionaria, dovendo fare ogni giorno i conti con il controllo sospettoso dello Stato Maggiore Germanico. Deve farlo partendo da zero. E Pavolini non ha dubbi “Camerati si ricomincia. Siamo gli stessi del 21”.


Azzerare significa andare all’essenziale.


Ovvero rifiutare la tessera del Partito a chi non sia disposto a sacrificarsi quotidianamente; ragion per cui il nuovo Segretario ottiene che sia concesso ai non iscritti di ricoprire incarichi statali e pubblici perché l’iscrizione non deve essere una formalità burocratica ma la firma cosciente della propria condanna a morte. Idealista si ma realista come nessun altro egli difatti non si fa illusioni sull’esito della guerra né sulla sorte che è riservata a chi non piegherà la testa.
Il suo primo atto, simbolico ma concreto, è quello di militarizzare la sede romana del Partito mettendo alla sua guardia i giovani volontari di Bir el Gobi, tra i quali sceglierà il suo attendente, Enzo De Benedictis.
La sua rifondazione è totale e non lascia adito ad equivoci.
Il Fascismo repubblicano è irredentista, nasce, cioè, sul mito risorgimentale ma persegue un nazionalismo universalista a forte impronta europeista.
Il Fascismo repubblicano intende combattere tutte le internazionali del potere.Quelle economiche, finanziarie, religiose e politiche. Per farlo si deve partire dal centro, ovvero dalla formazione di un uomo che sia soggetto rivoluzionario. Lo stato pavoliniano intende così plasmare le giovani generazioni, renderle coscienti delle proprie potenzialità, educarle ad uno scopo, cancellando tutti i difetti ereditati dall’Italietta liberale e da una certa mentalità cattolica antinazionale e clericale.
Per modellarsi serve un mito storico ed etico. Ed ecco che il perno intorno al quale operare viene offerto dall’epopea rivoluzionaria dello squadrismo.
Sulla base dello squadrismo si effettuerà la Seconda Rivoluzione e si affermerà la Terza Roma.
Per questo la “Rifondazione” che si compirà sul “Mito della Marcia” si instaurerà sul rinnovamento giovanile, sull’istituzione di comitati d’azione e di neo-triumvirati. Il pragmatismo antiborghese ne sarà il modus pensandi et operandi, l’humus nel quale formare l’aristocrazia del pensiero/azione azione/pensiero che garantirà l’ “Unità ideale e operante delle generazioni passate, presenti e future”.
Da queste premesse emerge naturale la subordinazione del privato al pubblico con tanto di proprietà statale dei beni di produzione e di socializzazione intesa più che a garantire l’equilibrio del Ventennio tra Capitale e Lavoro ad imporre la prevalenza etica ed economica del secondo sul primo.
Nella tendenza ad accorciare le distanze tra proletariato e piccola borghesia, Pavolini non è mosso da fascinazioni proletarie bensì dalla consapevolezza che partecipazione e produzione sono le due condizioni necessarie per portare un popolo a divenire padrone di sé.
Il concetto organico di popolo assume allora centralità, i termini fondanti della Rifondazione sono Nazione e Popolo, il concetto della loro sintesi è Rivoluzione di Popolo.

La cultura per Pavolini è azione oltre che pensiero. I richiami ideologici non saranno dunque lettera morta ma azione quotidiana. Per Pavolini non si deve prima vincere e poi mutare perché la mutazione è nel combattimento. Egli crede nella rivoluzione continua.
Tanto per cominciare introduce l’autocritica e la democrazia diretta nell’apparato del Partito. Le cariche diventano elettive, le assemblee hanno un ruolo nuovo in un Partito totalitario che è sì centralizzato ma federale e molto attento al radicamento territoriale.
Un binomio si pone a garanzia dell’ortodossia spirituale nell’alveo della rivoluzione continua: è il binomio composto dagli antichi squadristi accorsi all’appello e dai giovanissimi volontari di Bir El Gobi, i nuovi squadristi.
Il Partito deve impegnarsi in opere di beneficenza, in assistenza a chi soffre, ai bisognosi, ai senza tetto, deve sostituire lo Stato, o meglio i servizi dello Stato, laddove le comunicazioni belliche lo vedono latitare, ma non deve in alcun caso compiere azioni di polizia.
La solidarietà, la generosità e l’impersonalità nel servizio sono le parole d’ordine dell’azione pavoliniana. Il PFR giungerà così ad esprimere leggi giuste e rivoluzionarie quali l’abolizione delle società anonime e azionarie e a delegittimare giuridicamente il concetto di padrone-proprietario.
Nel Fascismo repubblicano trovano piena espressione le idee socialrivoluzionarie di Bianchi, Sorel e Corridoni, ed anche la tradizione storico-ideologica di Garibaldi e Pisacane.
Il Partito in guerra deve essere partito armato, deve essere Milizia rivoluzionata. Così dopo un lungo insistere, nel giugno del ’44 Pavolini otterrà la costituzione delle Brigate Nere.
Alle quali non si aderisce in quanto militanti del PFR ma, da militanti del PFR, per aderirvi, si deve fare domanda volontaria.

“Chi siete io non lo so; chi siamo ve lo dirò: siam le Brigate Nere e abbiam la forza di spezzarvi il cuor !”
Al di là della sinistra iconografia che ne han fatto gli avversari di fuori (i partigiani) e soprattutto gli avversari di dentro (quelli del “fino al rogo escluso”) le Brigate Nere rappresentano un fenomeno autenticamente rivoluzionario e, tanto per non guastare, di nutrito consenso.
Quando la proposta pavoliniana di armare il Partito viene accolta, nell’estate del 44, gli esiti bellici sono evidenti, la Capitale è perduta, del resto vergognosamente perché non si è difesa. L’esercito dell’Onore non ha più lo stesso entusiasmo di pochi mesi prima, le truppe non hanno il morale alle stelle. Il decreto mussoliniano consente non solo l’istituzione delle Brigate Nere, assolutamente volontarie, ma anche l’incorporo nei loro effettivi di chi, già militando nell’esercito, ne richieda l’assegnamento.
Il successo è strepitoso al punto che lo Stato Maggiore deve pretendere dal Duce una sospensione del provvedimento.
Eppure le Brigate Nere non offrono granché alle ambizioni. Nelle Brigate Nere sono aboliti i gradi e i fronzoli, vengono accettate soltanto funzioni di comando che sono limitate nel tempo ed intercambiabili secondo il più autentico socialismo di trincea. Le Brigate Nere non hanno la copertura istituzionale dell’Esercito ma sono soggette alla rappresaglia dei futuri tribunali oltre che a quella partigiana. Quando si milita in esse si fa proprio l’adagio del Cantate dei Legionari “il mondo sa che la camicia nera s’indossa per combattere e morir”. Nelle Brigate Nere non vi è futuro né carriera: eppure tra le loro fila si accorre numerosi anche dalle formazioni dell’esercito dal quale convergono soldati, ufficiali e persino numerosi colonnelli che rinunciano ai gradi per una scelta spartiata d’impersonalità guerriera.
Le Brigate Nere sono l’esempio evidente, corporeo, dello spirito e dell’anima della rivoluzione, cioè della cultura del pensiero/azione, dell’essenzialità e dell’assialità antico-romana.

Le Brigate Nere non sono state inventate da un atto notarile ma sono il frutto di un lungo e cosciente sacrificio. Caduta Roma, Pavolini si ripromette di non concedere altre rese vergognose ed organizza la guerriglia fascista. La propaganda ufficiale ci nasconde le azioni “partigiane” compiute dai fascisti dietro le linee da formazioni ideate da Pavolini, quali la “Onore e Combattimento”. Di azioni di guerriglia e sabotaggio, per le quali numerosi saranno i fucilati, ne risultano documentate diciotto, tra le quali una vera e propria insurrezione popolare contro la coscrizione nelle fila badogliane nella zona di Catania, la cosiddetta rivolta dei “Non si parte”. Pavolini organizza inoltre i Franchi Tiratori che agiranno principalmente a Firenze e a Forlì ma che s’impegneranno ancora in una decina di città italiane.
Emblematica è la difesa di Firenze, che il generale americano Alexander disse essere la miglior città italiana perché “lì - sottolineò - ci accolsero sparando dai tetti”.
D’altronde quando i Tedeschi avevano fatto saltare i ponti e rimaneva ancora percorribile un solo passaggio sull’Arno cercarono di trarre in salvo i tiratori più vicini ma costoro si rifiutarono dicendo che il loro compito era quello di combattere fino alla morte.
A Firenze agirono un centinaio di squadre di tre tiratori, molti dei quali giovanissimi, cui si accompagnava la distribuzione della propaganda clandestina tramite il foglio “Ventitre Marzo” il tutto nel rispetto della tecnica di collegamento azione-pensiero che era prettamente pavoliniana.
Le Brigate Nere nascono, dunque, nel nome del sacrificio e ottengono con l’esempio di essere impegnate in prima linea come nelle operazioni di controguerriglia. Pavolini stesso vi combatte da volontario in Piemonte ed in Val d’Ossola venendo ferito in prima linea.
Le stesse Ausiliarie delle Brigate Nere a differenza degli altri corpi ottengono il porto d’armi e possono combattere.
Tutto l’operato di Pavolini nei dieci mesi che vanno dalla costituzione delle Brigate Nere alla sua morte, è scandito da rastrellamenti, riunioni di governo, comizi ed ispezioni.
Egli arringa le Brigate Nere, gli iscritti al PFR ed il popolo, parlando loro di un Nuovo Ordine Europeo che deve essere antiplutocratico, poliarchico, etniarchico ed antiborghese.


Ed ecco come le Brigate Nere furono dipinte da Pavolini:
“Le Brigate Nere sono un esercito senza galloni essendo noi squadristi persuasi che un comandante è tale se comanda e gli si ubbidisce e che altrimenti non c’è grado che tenga. L’unico gallone è l’esempio…
Le Brigate Nere non sono il Partito che va verso il popolo, sono una milizia di Partito che è popolo, una milizia operaia e rivoluzionaria, di meccanici, di artigiani, di braccianti, di piccoli impiegati, in lotta mortale contro le plutocrazie alleate dei bolscevichi e contro i plutocrati sovvenzionatori di banditi…
Le Brigate Nere anelano al combattimento contro il nemico esterno ma sanno che in una guerra come l’attuale, guerra di religione, non c’è vera differenza fra nemico di fuori e di dentro. Non è lecito chiamare fratricida la lotta contro chi attenta alla vita e all’onore della Patria. Non è fratello chi rinnega la Madre e le spara addosso…
Le Brigate Nere in che periodo sono apparse ? Quando altri si squagliavano e noi ci adunammo. Altri dimettevano il distintivo e noi ci rimettemmo la camicia nera. Altri cercavano di farsi dimenticare e noi ci ricordammo. Ci ricordammo delle parole date, delle fedi promesse, dei compagni perduti. Noi ci ricorderemo sempre…
Le Brigate Nere sono una famiglia, questa famiglia ha un antenato, lo Squadrismo, un blasone: il sacrificio di sangue, una genitrice: l’Idea fascista, una guida, un esempio, una dedizione assoluta ed un affetto supremo: MUSSOLINI”

Le Brigate Nere furono in linea a Livorno, Pisa, Buti, Pontedera e misero in fuga, in Garfagnana, gli Americani della Buffalo.
Dopo il 25 aprile Pavolini tentò con ogni sforzo di concentrare gli effettivi in Val Tellina per difendere l’Ultimo Ridotto ma le comunicazioni erano saltate, le strade intasate ed il progetto di fatto non riuscì. In qualche maniera l’estrema resistenza, l’estremo sacrificio, furono compiuti dall’insurrezione fascista delle Brigate Nere di Torino agli ordini del Federale Solaro.
Pavolini, che combatté fino all’ultimo venne fucilato a Dongo, sul Lago di Como e comandò di fatto il plotone d’esecuzione. Il racconto forse romanzato degli stessi partigiani che di lui avevano un’immagine di tutto rilievo ci dice persino che dopo la prima raffica si rialzasse e tendesse il braccio nel saluto romano prima di spirare.


Tratto da: WWW.GABRIELEADINOLFI.IT

 
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view post Posted on 30/8/2006, 09:48     +1   -1
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incontinenzia deretana

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CITAZIONE (Chi l'ha visto? @ 30/8/2006, 09:20)
E' esistito, vecchio mio, chiudere gli occhi e far finta di noserve a poco. Ed esisteranno ancora altri come lui, e quando faranno comodo alla "tua" causa, se mai avrai una causa, beh là ti troverai più disposto a discuterne, automaticamente.

quello che dici non ha alcun senso.
la mia causa non avrà mai dalla sua un animale del genere.
se tu credi che una causa possa usare persone del genere....auguri figliolo, non hai capito un cazzo.


p.s. il fatto che sia esistito nn significa che non deve fare schifo

p.p.s. dopo aver letto le sue gesta ho capito che gli ultras laziali hanno il cervello nel culo
 
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BSE
view post Posted on 30/8/2006, 09:49     +1   -1




NELSON MANDELA

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Nelson Rolihlahla Mandela, OM (nato il 18 luglio 1918), primo Presidente del Sudafrica dopo la fine dell'apartheid. Fu a lungo uno dei leader del movimento anti-apartheid, e organizzò anche azioni di sabotaggio e guerriglia. Nel 1993 ricevette il Premio Nobel per la pace. Oggi è universalmente considerato un eroico combattente per la libertà, anche se durante il periodo del regime di segregazione razziale alcuni politici, quali Margaret Thatcher e Ronald Reagan, lo trattarono alla stregua di un terrorista.

Da giovane studente di legge, Mandela fu coinvolto nell'opposizione al minoritario regime bianco che negava i diritti politici, sociali ed economici della maggioranza nera sudafricana. Unendosi all'African National Congress nel 1942, due anni dopo fondò la più giovanile Youth League insieme con Walter Sisulu, Oliver Tambo ed altri.

Dopo la vittoria elettorale del 1948 da parte del Partito Nazionale con la sua politica pro-apartheid di segregazione razziale, Mandela si distinse nella campagna di resistenza del 1952 organizzata dall'ANC e nell'assemblea popolare del popolo del 1955, la cui adozione della Carta della Libertà stabilì il fondamentale programma della causa anti-apartheid.

Durante questo periodo Mandela ed il suo compagno avvocato Oliver Tambo gestirono l'ufficio legale Mandela e Tambo fornendo consulenze legali gratuite o a basso costo per i molti neri che sarebbero rimasti altrimenti senza rappresentante legale.

Inizialmente coinvolto nella battaglia di massa non-violenta, lui e 150 altre persone furono arrestate il 5 dicembre 1956 ed accusati di tradimento. Seguì un violento processo per tradimento durato dal 1956 al 1961, al termine del quale tutti furono assolti. Mandela ed i suoi colleghi accettarono la causa armata dopo l'uccisione di manifestanti disarmati a Sharpeville nel marzo del 1960 e la successiva interdizione dell'ANC e di altri gruppi anti-apartheid.

Nel 1961 divenne il comandante dell'ala armata Umkhonto we Sizwe dell'ANC ("Lancia della nazione", o MK), della quale fu co-fondatore. Coordinò la campagna di sabotaggio contro l'esercito e gli obiettivi del governo e fece piani per una possibile guerriglia se il sabotaggio fosse fallito per porre fine all'apartheid. Raccolse anche soldi per il MK all'estero, e dispose allenamenti para-militari, visitando vari governi africani. Nell'agosto 1962 fu arrestato dopo che la CIA informò la polizia, e fu imprigionato per 5 anni con l'accusa di viaggi illegali all'estero e incitamento allo sciopero.

Mentre Mandela era in prigione, la polizia arrestò importanti capi dell'ANC l'11 luglio 1963 presso la Liliesleaf Farm, Rivonia. Mandela fu coinvolto, ed al processo di Rivonia, Nelson Mandela, Ahmed Kathrada, Walter Sisulu, Govan Mbeki, Andrew Mlangeni, Raymond Mhlaba, Elias Motsoaled, Walter Mkwayi (scappato durante il processo), Arthur Goldreich (scappato dalla prigione prima del processo), Dennis GOldberg e Lionel "Rusty" Bernstein furono incolpati di sabotaggio e crimini equivalenti al tradimento (ma più facili per il governo da dimostrare). Joel Joffe, Arthur Chaskalson e George Bizos furono parte della squadra di difesa che rappresentò gli accusati. Tutti ad eccezione di Rusty Bernstein furono trovati colpevoli e condannati all'ergastolo il 12 giugno 1964. L'imputazione includeva il coinvolgimento nell'organizzazione di azione armata, in particolare di sabotaggio (del quale crimine Mandela si dichiarò colpevole) ed di cospirazione per aver cercato di aiutare gli altri paesi ad invadere il Sudafrica (del quale crimine Mandela si dichiarò non colpevole). Per tutti i successivi 26 anni, Mandela divenne sempre maggiormente coinvolto nell'opposizione all'apartheid fino al punto che lo slogan "Nelson Mandela Libero" divenne l'urlo di tutte le campagne anti-apartheid del mondo.

Rifiutando un'offerta di libertà condizionata in cambio di una rinuncia alla lotta armata (febbraio 1985), Mandela rimase in prigione fino al febbraio del 1990, quando il sostegno dalla campagna dell'ANC e dalle pressioni internazionali portò al suo rilascio l'11 febbraio del 1993 su ordine del presidente di stato F.W. de Klerk e alla fine della proibizione nei confronti dell'ANC. Mandela e de Klerk ottennero il premio nobel per la pace nel 1993. Mandela era già stato in precedenza premiato con il premio Sakarov per la libertà di pensiero nel 1988.

Come presidente dell'ANC (luglio 1991 - dicembre 1997) gestì un grande cerimoniale e campagne non competitive contro de Klerk per la nuova carica di presidente del Sudafrica. Mandela vinse, diventando il primo capo di stato di colore. De Klerk fu nominato vice presidente.

Come presidente, (maggio 1994 - giugno 1999), Mandela presiedette la transizione dalla legge minoritaria e dall'apartheid, vincendo il rispetto internazionale per il suo appoggio alla riconciliazione nazionale ed internazionale. Alcuni radicali furono delusi dalle mancate conquiste sociali durante il periodo del suo governo e in particolare modo dall'incapacità del governo di arginare la crisi dell'AIDS.

Mandela stesso ammise dopo il suo congedo che forse aveva commesso qualche errore nel calcolare il possibile pericolo derivante dall'epidemia di HIV/AIDS. Questo fu principalmente tragico in virtù del fatto che la ragione per cui era stato votato era quella di migliorare la vita della maggioranza nera sud africana, ed invece a causa di questa leggerezza potrebbe essere in parte responsabile di milioni di morti.

Mandela fu anche criticato per la sua stretta amicizia con capi di stato quali Fidel Castro e Moammar Al Qadhafi, che lui chiamava i suoi "compagni in armi". La sua decisione di impegnare le truppe sud africane per sconfiggere il golpe del 1998 a Lesotho rimanane anche un argomento controverso.

Dopo il suo ritiro dalla carica di presidente nel 1999, Mandela proseguì per diventare un sostenitore di una moltitudine di organizzazioni per i diritti sociali ed umani. Ricevette molte onoreficenze straniere, incluso l'Order of St. John da Regina Elisabetta II e la Presidential Medal of Freedom da George W. Bush.

Mandela è una delle uniche due persone con origini non indiane (Madre Teresa è l'altra) ad aver ottenuto il Bharat Ratna, il più alto riconoscimento civile indiano, nel 1990.

Come esempio della sua approvazione popolare, nel suo tour del Canada nel 1998, incluse una conferenza nello Skydome della città di Toronto dove parlò a 45,000 studenti che lo incitarono con un intenso applauso. Nel 2001, fu il primo straniero ad essere cittadino onorario canadese come uno dei pochi capi stranieri a ricevere l'Order of Canada.

Nel 2003, Mandela fece alcuni polemici discorsi, attaccando la politica straniera della amministrazione di George W. Bush, proclamando Bush un razzista perché non seguiva l'Organizzazione delle Nazioni Unite ed il suo segretario generale Kofi Annan sul tema della guerra in Iraq. "È perché ora il segretario generale dell'ONU è un uomo di colore? Non fecero mai questo quando il segretario generale era un bianco", Mandela disse.[1] Successivamente quell'anno, conferì il suo supporto al campagna di raccolta di fondi per l'AIDS chiamata 46664 come il suo numero di prigioniero.

Nel giugno 2004 all'età di 85 anni, Mandela annuncio che si sarebbe voluto ritirare dalla vita pubblica. La sua salute adava declinando negli ultimi anni e lui voleva spendere del tempo con la sua famiglia per quanto la sua salute gliene avesse concesso. Fece un'eccezione, comunque, per il suo impegno nella lotta contro l'AIDS. Nel luglio 2004 volò a Bangkok per parlare alla XV conferenza internazionale sull'AIDS, 2004.

Il 23 luglio 2004 la città di Johannesburg conferì il più alto onore a Mandela garantendogli la libertà della città ad una cerimonia in Orlando, Soweto.
 
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la peggio gioventù
view post Posted on 30/8/2006, 10:03     +1   -1




Malcolm X (Omaha, Nebraska, 19 maggio 1925 - New York City, New York, 21 febbraio 1965), nato Malcolm Little, anche noto come Detroit Red, El-Hajj Malik El-Shabazz e Omowale, fu un attivista statunitense a favore dei diritti dei neri e dei diritti umani in genere.

Fu assassinato a New York il 21 febbraio 1965, il primo giorno della Settimana Nazionale della Fratellanza.

Il nome
Storicamente, agli schiavi neri americani veniva assegnato il cognome dei loro padroni. Sebbene non fosse lui stesso figlio di schiavi, l'origine del suo cognome di nascita era riconducibile ai padroni presso cui avevano servito un tempo i suoi antenati. La scelta di "X" come cognome volle dunque rappresentare il rifiuto di accettare questo legame anagrafico con i padroni di un tempo.

Biografia

Gioventù
Malcolm X nacque a Omaha, in Nebraska, figlio di Earl e Louise Little. Suo padre era un predicatore battista e sostenitore di Marcus Garvey e fu assassinato nel 1931 da un gruppo di sostenitori della "supremazia bianca" noto come Black Legion. La madre di Malcolm in seguito fu dichiarata legalmente non sana di mente, e la famiglia si disperse. Lo stesso Malcom fu affidato a una famiglia di tutori.

Malcolm terminò la junior high school ottenendo i migliori risultati della sua classe, ma abbandonò quando il suo insegnante preferito gli disse senza mezzi termini che diventare un avvocato non era "un obiettivo realistico per un negro". Lasciata la scuola, Malcolm si trasformò in uno sbandato; i primi problemi con la legge lo portarono in un centro di detenzione, da cui uscì per trasferirsi per qualche tempo a Boston, presso la sorella maggiore Ella Little Collins.

In seguito Malcolm trovò lavoro come lustrascarpe presso un night club; nella sua autobiografia, avrebbe ricordato di aver lustrato le scarpe a Duke Ellington e altri grandi musicisti neri. Trasferitosi poi nel quartiere di Harlem, a New York, si diede a una serie di attività illegali fra cui spaccio di droga, gioco d'azzardo, prostituzione, estorsione e rapina (secondo alcuni biografi, si sarebbe anche personalmente prostituito; ma la questione, e altre relative a questo periodo, sono controverse). Quando fu esaminato per la leva durante la Seconda Guerra Mondiale, i medici lo trovarono psichicamente non adatto; in seguito, Malcolm X sostenne di aver finto una patologia mentale per evitare le armi.

Prigione
Il 12 gennaio 1946, all'età di 20 anni, Malcolm fu arrestato e condannato a dieci anni con l'accusa di violazione di domicilio, possesso illegale di armi da fuoco, e furto. Alla Charlestown State Prison si guadagnò il soprannome di Satana per il suo continuo bestemmiare, specialmente contro Dio e la Bibbia.

Nel 1948, mentre era in carcere, Malcolm ricevette una lettera dal fratello Reginald, che gli chiedeva di unirsi alla Nation of Islam (NOI). La NOI si autodefiniva una "setta islamica militante". La sua tesi centrale era che la maggior parte degli schiavi africani erano musulmani prima di venire catturati, e che quindi i neri avrebbero dovuto riconvertirsi all'Islam. Il NOI era inoltre un gruppo "nazionalista nero", ovvero auspicava la creazione di una nazione nera separata all'interno degli Stati Uniti. In effetti, i membri della NOI arrivavano fino a considerare i non-neri, e in particolar modo gli ebrei e gli anglosassoni, "subumani".

Malcolm fu affascinato dagli insegnamenti del leader della NOI, Elijah Muhammad. Con l'aiuto della sorella, riuscì a ottenere il trasferimento in una colonia penale di Norfolk dove aveva maggiore libertà; divenne un avido lettore e cercò nella storia e nella filosofia argomenti a favore delle teorie della NOI. Per arricchire la propria cultura e migliorare la propria calligrafia, arrivò a trascrivere a mano un intero dizionario; quindi, iniziò a corrispondere con Elijah Muhammad quotidianamente. Alla fine, Malcolm X fu rilasciato sulla parola, il 7 agosto 1952.

La "Nazione dell'Islam"
Appena uscito di prigione, Malcolm X si recò da Elijah Muhammad, a Chicago. Fu in questo periodo che ricevette il cognome "X", per simboleggiare il rifiuto del suo "cognome da schiavo" e l'assenza di un vero cognome africano-mussulmano.

Nel marzo del 1953, l'FBI iniziò a controllare le azioni di Malcolm; apparentemente, questo aveva a che vedere col fatto che, secondo alcuni informatori, Malcolm X definiva sé stesso un "comunista". Nell'archivio dell'FBI comparivano anche due lettere firmate da Malcolm X con lo pseudonimo "Malachi Shabazz"; il cognome "Shabazz" secondo Elijah Muhammad, era un riferimento a una discendenza da una antica "nazione asiatica nera". Nel maggio dello stesso anno, l'FBI concluse che Malcolm X aveva una "personalità asociale con tendenze paranoiche (schizofrenia paranoide pre-psicotica)".

Nello stesso anno, Malcolm si trasferì definitivamente presso Elijah Muhammad a Chicago, per tornare poi a Boston con il ruolo di "Ministro del Tempio Numero 11 della Nazione dell'Islam". Nei tempi successivi aprì numerosi altri templi, diventando ministro di molti di essi. La sua predicazione portò moltissimi proseliti alla NOI; tra i più celebri si ricorda Cassius Clay, che proprio aderendo alla NOI decise di cambiare il proprio nome in Muhammad Ali. Ben presto Malcolm X divenne il numero due del movimento e il braccio destro di Elijah Muhammad. Fra il 1952 e il 1963, certamente anche grazie all'enorme carisma di Malcolm, la NOI passò da 500 a 30.000 iscritti.

Matrimonio
Nel 1958, Malcolm sposò Betty X a Lansing, nel Michigan. Ebbero sei figlie, tutte chiamate "Shabazz": Attillah, nata nel 1958; Qubilah, nata nel 1960; Ilyasah, nata nel 1962; Gumilah, nata nel 1964, e le sorelle Malaak e Malikah, nate dopo la morte di Malcolm nel 1965.

Mentre lavorava per la NOI, Malcolm X giunse a conoscenza di alcune avventure extraconiugali di Elijah Muhammad. Lo stesso Elijah si difese sostenendo che, come "inviato di Dio", aveva il diritto di avere più mogli; tuttavia, egli non era sposato con nessuna delle giovani segretarie con cui ebbe relazioni, e giunse anche a metterle incinte tutte. Malcolm si rifiutò di mettere la cosa a tacere, e se ne mostrò contrariato, ma non abbandonò il movimento.

Nell'estate del 1963, Malcolm si rese conto che Elijah e molti altri Ministri di alto livello della NOI erano gelosi della sua popolarità. Progressivamente in conflitto con l'organizzazione, Malcolm espresse la propria critica circa la Marcia su Washington dicendo che non trovava nulla di eccitante in una dimostrazione "fatta da bianchi davanti alla statua di un presidente morto da cento anni e al quale, quando era vivo, noi non piacevamo".

Nello stesso anno, in occasione dell'assassinio di John F. Kennedy, Malcolm commentò piuttosto freddamente che la violenza che i Kennedy non erano riusciti a fermare gli si era "ritorta contro", aggiungendo che questo genere di cose non lo intristiva, ma lo rendeva felice. Queste dichiarazioni causarono un enorme scalpore, e alla fine la NOI rinnegò le parole di Malcolm, vietandogli di parlare in pubblico per novanta giorni.

Nella primavera del 1963, Malcolm iniziò a collaborare con Alex Haley nella scrittura del libro The Autobiography of Malcolm X. L'8 marzo 1964 dichiarò pubblicamente la sua separazione dalla NOI e il 12 marzo annunciò la creazione di un nuovo movimento chiamato Muslim Mosque, Inc.. La principale differenza ideologica fra il movimento creato da Malcolm X e la NOI è l'abbandono del presupposto religioso come elemento di coesione per il popolo nero. Nel frattempo, tuttavia, Malcolm X si convertì all'islamismo ortodosso.

Il pellegrinaggio alla Mecca
Il 13 aprile del 1964, Malcolm lasciò gli Stati Uniti per recarsi in viaggio prima in Egitto e poi a Jeddah, in Arabia Saudita. Non essendo in grado di parlare arabo, e avendo un passaporto statunitense, ebbe qualche difficoltà a entrare nel paese; tuttavia, grazie all'intervento della stessa famiglia reale saudita, riuscì alla fine a completare il suo pellegrinaggio. Durante questa esperienza religiosa, arrivò per la prima volta a concepire l'Islam come una religione capace di abbattere qualsiasi barriera razziale.

Il 21 maggio 1964, Malcolm X tornò negli Stati Uniti come sunnita, col nuovo nome El-Hajj Malik El-Shabazz. Durante un importante discorso indirizzato all'intera nazione, proclamò:

I diritti umani sono qualcosa che avete dalla nascita. I diritti umani vi sono dati da Dio. I diritti umani sono quelli che tutte le nazioni della Terra riconoscono.
In passato, è vero, ho condannato in modo generale tutti i bianchi. Non sarò mai più colpevole di questo errore; perché adesso so che alcuni bianchi sono davvero sinceri, che alcuni sono davvero capaci di essere fraterni con un nero. Il vero Islam mi ha mostrato che una condanna di tutti i bianchi è tanto sbagliata quanto la condanna di tutti i neri da parte dei bianchi.
Da quando alla Mecca ho trovato la verità, ho accolto fra i miei più cari amici uomini di tutti i tipi - cristiani, ebrei, buddhisti, indù, agnostici, e persino atei! Ho amici che si chiamano capitalisti, socialisti, e comunisti! Alcuni sono moderati, conservatori, estremisti - alcuni sono addirittura degli "Zio Tom"! Oggi i miei amici sono neri, marroni, rossi, gialli e bianchi! [1]
Insieme a A. Peter Bailey e altri, Malcolm fondò il distaccamento statunitense della Organizzazione per l'Unità Afro-americana o OAAU. Ispirandosi alla Organizzazione per l'Unità Africana (OAU), la OAAU decise di adottare un atteggiamento non religioso e non settario nella difesa dei diritti umani.

L'assassinio
Nel 1964, la rivista «Life» pubblicò una famosa fotografia di Malcolm X con una carabina in mano, intento a tirare la tenda della sua finestra per controllare fuori. La foto era accompagnata dalla scritta "con tutti i mezzi necessari", e si riferiva alle minacce di morte subite da Malcolm X e alla sua affermazione che "si sarebbe difeso". L'FBI era stata infatti informata, anche per mezzo di infiltrati, che la NOI aveva commissionato ai suoi membri l'assassinio di Malcolm X.

Il 14 febbraio 1965, Malcolm e la sua famiglia sopravvissero a un attentato dinamitardo contro la loro abitazione. Una settimana dopo, il 21 febbraio, durante un discorso in pubblico a Manhattan, Malcolm fu ucciso, all'età di 39 anni, da diversi colpi di arma da fuoco esplosi da tre sicari.

I funerali di Malcolm X, tenutisi il 27 febbraio 1965 ad Harlem, raccolsero oltre 1500 persone.

Tre membri della NOI furono arrestati per il suo assassinio: Talmadge Hayer, Norman 3X Butler e Thomas 15X Johnson, e condannati per omicidio nel marzo del 1966. In realtà, pare che il solo Hayer fosse direttamente responsabile dell'omicidio; in seguito furono fatti altri nomi sui mandanti, tutti in seno alla NOI.
 
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Chi l'ha visto?
view post Posted on 30/8/2006, 10:26     +1   -1




CITAZIONE (Pazzi Scatenati @ 30/8/2006, 10:48)
p,
CITAZIONE (Chi l'ha visto? @ 30/8/2006, 09:20)
E' esistito, vecchio mio, chiudere gli occhi e far finta di noserve a poco. Ed esisteranno ancora altri come lui, e quando faranno comodo alla "tua" causa, se mai avrai una causa, beh là ti troverai più disposto a discuterne, automaticamente.

quello che dici non ha alcun senso.
la mia causa non avrà mai dalla sua un animale del genere.
se tu credi che una causa possa usare persone del genere....auguri figliolo, non hai capito un cazzo.


p.s. il fatto che sia esistito nn significa che non deve fare schifo

p.p.s. dopo aver letto le sue gesta ho capito che gli ultras laziali hanno il cervello nel culo

Primo: non sono tuo figliolo, semmai tuo padre o tuo zio. Giusto per la precisione.
Secondo: la tua causa li ha già avuti dalla sua, animali del genere: ALCUNI anarchici in Spagna non si sono mai fatti scrupolo di massacrare conventi e seminari interi, e magari di approfittare delle monache. Tutto per la "causa" anticlericale e libertaria. Giusto? Sbagliato? Io non lo so, non ho vissuto nemmeno quella guerra. E comunque il passo da uomo ad "animale" del genere non è lungo neanche per l'anarchico che getta una bomba per colpire un bersaglio "della causa" senza guardar troppo chi ne riceverà le schegge sovrabbondanti. E la storia questa scena l'ha già vista più d'una volta.

Ma la storia poco insegna (in queto caso davvero, non come quando è chiamata a tesimone a sproposito) a chi vede tutto con un filtro, o meglio con un paraocchi...
E lasciando perdere l'anarchismo, TUTTE LE CAUSE degli ultimi due secoli hanno usato gente del genere. A me la storia non avrà insegnato niente, ma tu purtroppo non la conosci per nulla, figliolo (IO posso dirlo).

p.s.
Il fatto che abbia detto che è esistito non significa anche che ti abbia esortato a fartelo piacere o a fartelo meno dispiacere. Semmai ho esortato a cercare di SAPERE e cercare di CAPIRE. Lo so, è difficile e scomodo, ma che vuoi, c'è gente ingenua che ritiene possibile formarsi un'idea LIBERA solo così, senza fermarsi troppo a slogan e filastrocche...

p.p.s.

Dopo aver letto le gesta di Stalin e dei suoi, ancora non penso proprio che i livornesi abbiano il cervello nel culo. Fose la differenza tr me e te sta tutta qua... figliolo.
 
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22 Luglio 1927
view post Posted on 30/8/2006, 10:47     +1   -1




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Massimo Morsello

Massimo Morsello è nato in una famiglia della borghesia di Roma. La madre proveniente dalla Bulgaria, era emigrata in Italia dopo l'arrivo al potere del partito comunista. Egli descrisse il padre come "profondamente anticomunista" ed un ammiratore della filosofia sociale del Fascismo.

Nel 1975, all'età di 16 anni, aderisce al Movimento Sociale Italiano. Diviene un membro dell'associazione politica giovanile Fronte della Gioventù e successivamente del FUAN, un'organizzazione di destra di studenti universitari. Il FUAN era una organizzazione politica meno dipendente dal partito politico di riferimento in parlamento, rispetto all'altra organizzazione. Era bensì una sorta di laboratorio politico dell'estrema destra politica italiana sul finire degli anni '70. Durante i cosiddetti "Anni di Piombo" o della Strategia della tensione Morsello viene coinvolto in una serie di fatti violenti ed è toccato della possibilità di essere membro del gruppo neofascista, chiamato Nuclei Armati Rivoluzionari.

È in questi anni che Morsello inizia a coltivare la sua seconda passione, oltre alla politica, iniziando la carriera di musicista, con la prima performance al primo Campi Hobbit. Sempre in questo contesto acquisisce il soprannome di Massimino.

Dopo il massacro alla Stazione di Bologna avvenuto il 2 agosto 1980, Massimo Morsello, Roberto Fiore, leader di Terza Posizione ed altre sette persone sono accusate di associazione sovversiva. Fuggono dapprima in Germania, poi, dopo alcuni mesi, si rifugiano a Londra. La magistratura italiana richiede immediatamente alle autorità inglesi l' estradizione dei due, rifiutata dalle corti della Gran Bretagna poiché i crimini, di cui erano accusati, rispondevano solamente ad una natura politica. Al rifiuto delle autorità inglesi è stata avanzata addirittura l'ipotesi che Morsello e Fiore abbiano evitato l'estradizione grazie alla collaborazione del servizio segreto inglese MI6.

All'inizio del loro esilio, Morsello e Fiore sopravvivono grazie a lavori precari in restoranti. Ma è nel 1986 che inizia l'attività imprenditoriale che gli frutterà in breve tempo ingenti guadagni ed un piccolo impero finanziario. Infatti anche grazie a conoscenze importanti, all'amicizia ed al supporto di vari esponenti dell'estrema destra locale, come Nick Griffin fondano la "Meeting Point", ribattezzata successivamente "Easy London". Easy London è una società che aiuta i giovani studenti e lavoratori a vivere e lavorare a Londra fornendo impiego, pernottamento e contratti. I profitti della società arrivano ai 15 milioni euro. "Easy London" è ancora attiva.

Intanto a Londra, Morsello continua le sue attività musicali. È in concerto con Scusate, ma non posso venire trasmessa in Italia via satellite il 22 luglio 1996.

Nella seconda metà degli anni novanta, a Morsello viene diagnosticato un cancro. Segue la controversa terapia con lasomatostatina, studiata da Prof. Di Bella, senza risultati. Nell'aprile 1999, Morsello era nella possibilità di rientrare in Italia senza essere incarcerato, per le sue precarie condizioni di salute. Egli non lascia mai la musica fino alla sua morte, sopraggiunta nel marzo del 2001 ed aiuta Fiore nella fondazione di Forza Nuova.

Musica
Come la maggior parte dei musicisti italiani di destra sono influenzati dalla musica Celtica o dalla Oi!, Morsello si impegna ad introdurre temi politici della destra radicale in più traditionali arrangiamenti di acustica, folk e basi di chitarra. Egli stesso ammette di aver ricevuto l'influenza musicale dal più importante cantautore italiano,Francesco De Gregori. Nei lavori successivi, sviluppa uno stile personale più riconoscibile, influenzato da suoni psichedelici, specialmente nelle canzoni Otto di Settembre e Vandea. La sua lirica è focalizzata sui temi come rivoluzione, nazionalismo, Fascismo, aborto, lotta alla droga ed al senso dell' Unione Europea, tutte secondo un inconfondibile punto di vista di estrema destra.

Le canzoni di Morsello sono spesso di buona qualità e possono essere tranquillamente comparate a quelle di più famosi cantautori impegnati di sinistra quali Francesco Guccini o Claudio Lolli. Ad ogni modo, Morsello detiene il miglior risultato di vendita per un cantautore di destra, raggiungendo la vendita di 15.000 copie del suo disco Punto di non ritorno.

Morsello prese vantaggio dal basso profilo dei suoi lavori, arrivando a giocare uno scherzo al principale quotidiano comunista italiano Il Manifesto pubblicando una mezza pagina di reclame con il suo disco La direzione del vento. Si dichiarava "un reale disco rivoluzionario" ed enfatizzando la sua personale posizione di amicizia per la causa dei Palestinese, una dei pochi punti di contatto con gli ambienti di estrema sinistra. Il giorno seguente, il giornale, avendo scoperto dalle proteste dei lettori l'identità di Morsello, pubblicò le scuse e tentò di rendere i soldi pagati da Morsello.
 
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BianconeroNato
view post Posted on 30/8/2006, 13:42     +1   -1




Giù il cappello ragazzi, entra la Storia dell'architettura:

Albert Speer



Albert Speer fu l’esteta, il cerimoniere del nazional-socialismo, la mente delle imponenti opere, l’ideatore delle grandi geometrie destinate ad esaltare, nei propositi di Hitler, il glorioso reich millenario.

Nato a Mannheim nel 1905, da una benestante famiglia di architetti, seguì le orme parentali, completando gli studi con ottimi risultati.

La svolta della sua vita la si ebbe nel dicembre 1930, quando, dopo aver assistito, casualmente, ad un comizio di Hitler, ne rimase folgorato a tal punto da decidere, pur continuando a considerarsi un tecnico lontano dai giochi della politica, di iscriversi al partito nazional-socialista; ma Speer era e rimaneva soprattutto un brillante e geniale architetto ed il suo spirito creativo non tardò ad affermarsi:

nel gennaio 1933, il ministro della propaganda Goebbels gli commissionò dei lavori, tra cui quello di allestire la coreografia per l’oceanico raduno di partito del 1 maggio 1933; lo spettacolo straordinario ideato ed allestito dall’architetto, indusse Goebbels a nominarlo responsabile dei raduni del III reich e, soprattutto, a presentarlo, finalmente al fuhrer, che rimase folgorato dal suo genio creativo e dalla sua personalità.

Da quel momento in poi Speer, divenuto primo architetto del reich, avrebbe goduto, presso il fuhrer, di un credito mai concesso, prima di allora, a nessuno; Hitler, prima di affermarsi come statista, era stato, infatti, un mediocre artista che ora, da amante dell’arte qual’era, si trovava di fronte un luminare dell’estetica, subendone, inevitabilmente, il fascino.

I due stavano ore ed ore a discutere a disegnare, ad immaginare i futuri sviluppi estetici del grande reich, tra cui quello della creazione di una nuova e grandiosa Berlino, destinata a far rivivere i fasti e la magnificenza delle grandi meraviglie dell’antichità ed a trasformarsi, in tal modo, nella degna cornice per quella che sarebbe divenuta la capitale della grande Germania, padrona di un mondo dominato dalla suprema razza ariana.

Speer esaltò Hitler con i progetti per la Berlino del futuro, con le imponenti geometrie dei raduni nazisti di Norimberga e delle olimpiadi del 1936, tutti volti a far risaltare la potenza e l’onnipotenza dell’impero con la croce uncinata.

La carriera dell’architetto conobbe una drastica impennata il 7 febbraio 1942, quando, alla morte del potentissimo ministro degli armamenti Todt, Speer ne fu nominato successore, riuscendo, anche in questa nuova veste, a non tradire le attese:

la produzione bellica tedesca conobbe, infatti, sotto la sua meticolosa gestione, uno sviluppo ed un incremento notevole, anche grazie alle decine di migliaia di lavoratori forzati, reclutati, in tutta l’Europa occupata e mandati a morire di fatica e di stenti, in Germania, dallo stesso Speer, il quale era, dunque, perfettamente a conoscenza del loro terrificante destino , rendendosene perfettamente conto, di persona, in occasione delle sue frequenti visite agli stabilimenti, spesso trasferiti nelle cavità della terra per sfuggire ai bombardamenti alleati.

Con l’avvicinarsi della fine, Speer, ormai perfettamente conscio dell’inevitabile sconfitta, tentò di convincere alla resa il suo fuhrer, assumendo anche azzardate iniziative, inspiegabilmente perdonate da un Hitler che, viceversa, non aveva esitato a scatenare una purga senza precedenti, in seguito al fallito attentato del luglio 1944; ma Speer per Hitler era un qualcosa di diverso, una persona alla quale si sentiva particolarmente legato e alla quale tutto era permesso.

Processato a Norimberga, l’architetto del reich fu uno tra i pochi a dichiararsi colpevole, venendo condannato a 20 anni di carcere.

Morì a Londra il 1 settembre 1981.
 
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Iaquinta
view post Posted on 31/8/2006, 17:55     +1   -1




CITAZIONE (BianconeroNato @ 30/8/2006, 14:42)
Giù il cappello ragazzi, entra la Storia dell'architettura:

Albert Speer



Albert Speer fu l’esteta, il cerimoniere del nazional-socialismo, la mente delle imponenti opere, l’ideatore delle grandi geometrie destinate ad esaltare, nei propositi di Hitler, il glorioso reich millenario.

Nato a Mannheim nel 1905, da una benestante famiglia di architetti, seguì le orme parentali, completando gli studi con ottimi risultati.

La svolta della sua vita la si ebbe nel dicembre 1930, quando, dopo aver assistito, casualmente, ad un comizio di Hitler, ne rimase folgorato a tal punto da decidere, pur continuando a considerarsi un tecnico lontano dai giochi della politica, di iscriversi al partito nazional-socialista; ma Speer era e rimaneva soprattutto un brillante e geniale architetto ed il suo spirito creativo non tardò ad affermarsi:

nel gennaio 1933, il ministro della propaganda Goebbels gli commissionò dei lavori, tra cui quello di allestire la coreografia per l’oceanico raduno di partito del 1 maggio 1933; lo spettacolo straordinario ideato ed allestito dall’architetto, indusse Goebbels a nominarlo responsabile dei raduni del III reich e, soprattutto, a presentarlo, finalmente al fuhrer, che rimase folgorato dal suo genio creativo e dalla sua personalità.

Da quel momento in poi Speer, divenuto primo architetto del reich, avrebbe goduto, presso il fuhrer, di un credito mai concesso, prima di allora, a nessuno; Hitler, prima di affermarsi come statista, era stato, infatti, un mediocre artista che ora, da amante dell’arte qual’era, si trovava di fronte un luminare dell’estetica, subendone, inevitabilmente, il fascino.

I due stavano ore ed ore a discutere a disegnare, ad immaginare i futuri sviluppi estetici del grande reich, tra cui quello della creazione di una nuova e grandiosa Berlino, destinata a far rivivere i fasti e la magnificenza delle grandi meraviglie dell’antichità ed a trasformarsi, in tal modo, nella degna cornice per quella che sarebbe divenuta la capitale della grande Germania, padrona di un mondo dominato dalla suprema razza ariana.

Speer esaltò Hitler con i progetti per la Berlino del futuro, con le imponenti geometrie dei raduni nazisti di Norimberga e delle olimpiadi del 1936, tutti volti a far risaltare la potenza e l’onnipotenza dell’impero con la croce uncinata.

La carriera dell’architetto conobbe una drastica impennata il 7 febbraio 1942, quando, alla morte del potentissimo ministro degli armamenti Todt, Speer ne fu nominato successore, riuscendo, anche in questa nuova veste, a non tradire le attese:

la produzione bellica tedesca conobbe, infatti, sotto la sua meticolosa gestione, uno sviluppo ed un incremento notevole, anche grazie alle decine di migliaia di lavoratori forzati, reclutati, in tutta l’Europa occupata e mandati a morire di fatica e di stenti, in Germania, dallo stesso Speer, il quale era, dunque, perfettamente a conoscenza del loro terrificante destino , rendendosene perfettamente conto, di persona, in occasione delle sue frequenti visite agli stabilimenti, spesso trasferiti nelle cavità della terra per sfuggire ai bombardamenti alleati.

Con l’avvicinarsi della fine, Speer, ormai perfettamente conscio dell’inevitabile sconfitta, tentò di convincere alla resa il suo fuhrer, assumendo anche azzardate iniziative, inspiegabilmente perdonate da un Hitler che, viceversa, non aveva esitato a scatenare una purga senza precedenti, in seguito al fallito attentato del luglio 1944; ma Speer per Hitler era un qualcosa di diverso, una persona alla quale si sentiva particolarmente legato e alla quale tutto era permesso.

Processato a Norimberga, l’architetto del reich fu uno tra i pochi a dichiararsi colpevole, venendo condannato a 20 anni di carcere.

Morì a Londra il 1 settembre 1981.

su di lui avevano fatto uno speciale della grande storia su raitre che mi era piaciuto...
 
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figumorisca
view post Posted on 31/8/2006, 18:25     +1   -1




è dalle scuole superiori che ho sempre ammirato questo poeta


TIRTEO

La vita

Tirteo fiorì nella seconda metà del secolo VII. Nacque a Mileto, in Asia Minore, ma visse ed operò a Sparta. La sua vita è circondata di racconti e leggendario è anche il suo arrivo a Sparta, dove con i suoi canti avrebbe determinato la vittoria della città sui suoi nemici. La leggenda vuole che l’oracolo di Delfi avesse predetto che Sparta, in guerra con i Messeni, avrebbe vinto il conflitto solo sotto la guida di un condottiero di Atene. Questa, però, se non era minimamente intenzionata ad aiutare la tradizionale nemica, neppure osava opporsi ad un oracolo. Fu così che, per “non macchiarsi di empietà” e per schernire gli Spartani, Atene come aiuti inviò Tirteo, un maestro di scuola che, oltre a non essere un soldato, era anche zoppo e deforme.

Tirteo, però, riuscì a compiere il miracolo: con le sue elegie rincuorò gli spartani e diede loro lo spirito necessario per sovvertire il risultato ... e Sparta sconfisse i Messeni.
Le opere

Tirteo scrisse in dialetto ionico-omerico, ricco di dorismi. Le sue elegie, di argomento guerresco, politico e di esortazione morale, erano raccolte in cinque libri. Secondo gli alessandrini, essi comprendevano “Eunomia” (Buon governo), una lunga elegia che esalta la costituzione spartana ed esorta i cittadini alla concordia e a mantenerla integra per il bene comune; “Embatèria”, canti di marcia, in versi anapestici; “Hypotekai”, esortazioni alla lotta e al valore secondo le virtù doriche; “Politeia” (Costituzione), una lode dei valori civili e religiosi della costituzione di Licurgo. Di tutto ci restano solo frammenti, abbastanza ampi, per un totale di circa 230 versi, nei quali possiamo leggere l'elogio della morte in battaglia per la patria, la descrizione del combattente valoroso e l'esaltazione della costituzione spartana.
Giudizio

Le elegie di Tirteo, dal tono alto, fermo e severo, erano caratterizzate dall’esaltazione del valore guerresco, dalle vigorose affermazioni dell’ideale morale della difesa della patria e dalla celebrazione della morte per essa.

A differenza di Omero, che esalta il valore individuale, Tirteo parla del valore dell’intera città che impone ai suoi cittadini obbedienza e sacrificio per il bene della patria. I modelli di eroismo proposti da questo poeta non sono più fondati sulle gesta personali, ma sull’azione disciplinata delle truppe, azione richiesta, peraltro, dalla nuova tattica oplitica, e quindi volti alla salvezza e alla vittoria comune piuttosto che alla gloria individuale.

Per questi motivi, i suoi canti godettero di grande fortuna in tutta la Grecia ed erano cantati nelle scuole e negli accampamenti. Non hanno, in verità, grandi pregi poetici, ma suscitano sentimenti di virtù e di fortezza.
 
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171 replies since 25/8/2006, 13:14   24393 views
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