CARLO PISACANE
(Eran trecento eran giovani e forti e sono morti….. La Spigolatrice di Sapri di Mercantini).
Carlo Pisacane nasce a Napoli il 22 agosto 1818, dal Duca Gennaro e da Nicoletta Basile de Luna. Rimasto orfano in tenera età, le precarie condizioni economiche spingono la madre a risposarsi (1830) mentre lui entra alla Nunziatella, Collegio Militare della Nobiltà Borbonica. Materie fondamentali di studio sono la storia e la dottrina Militare, iassieme alle dottrine sportive e alla educazione religiosa. Trascurate vengono le lettere e la filosofia. Carlo sostiene nel 1838 gli esami di licenza ed è settimo su quindici candidati aspiranti ufficiali. La materia in cui eccelle è la matematica. Viene perciò mandato a Gaeta come aiuto tecnico incaricato della costruzione della nuova ferrovia Napoli-Caserta. Nel 1843 viene promosso tenente e richiamato a Napoli. Il suo antico amore per Enrichetta Di Lorenzo (lei 12 enne) si è ripresentato tardi perchè lei ora è già sposata e madre di tre bambini. A Napoli ed in tutta l'Italia si esaltano in quegli anni le azioni di Garibaldi in Sud America (1846), per l’indipendenza di quei popoli. Carlo Pisacane firma, insieme ad altri ufficiali, la sottoscrizione per "una sciabola d'onore" da regalare all'eroe. Il 12 ottobre Carlo subisce un'aggressione, il cui movente non viene mai compiutamente chiarito. Si disse anche intimidatoria per il legame che egli ha di nuovo stretto con Enrichetta. Ai primi di febbraio (1847) Carlo ed Enrichetta lasciano Napoli, imbarcandosi sul postale francese Leonidas. A Livorno riescono a depistare la polizia del Granducato, ma da quella napoletana saranno a lungo perseguitati. Il 4 marzo 1847 giungono a Londra, sotto falso nome: sono Enrico e Carlotta Lumont. Quando si trasferiscono a Parigi (aprile), vengono arrestati dalla polizia con l'accusa di adulterio e di documenti falsi. Verranno liberati dopo pochi giorni ed autorizzati a rimanere (asilo politico). Qui nasce Carolina, la loro prima figlia, che vive solo tre mesi. Dopo una deludente esperienza nella Legione Straniera (bisogno economico), il 28 marzo 1848 ritorna a Marsiglia con l'intenzione di partecipare alla mobilitazione anti austriaca del Milanese. Il 14 aprile vi giunge, esultante per le promesse di libertà aperte dalle 5 Giornate, ed è arruolato a Desenzano sul Garda nella Legione Lombarda. Dopo l'armistizio di Salasco (9 agosto) si rifugia a Lugano per riprendere a metà dicembre il suo posto alle avvisaglie del nuovo conflitto.
1849. Il 26 febbraio si congeda dalle file piemontesi e corre a Roma, dove il 9 dello stesso mese era stata proclamata la repubblica. Si mette immediatamente in contatto con Giuseppe Mazzini ed entra a far parte della Commissione incaricata della difesa militare della città. Il 27 aprile succede a Luciano Manara come capo sezione dello Stato Maggiore e quando i francesi iniziano le ostilità, Carlo è in prima fila tra i difensori , mentre Enrichetta si prodiga nel curare i feriti con Cristina di Belgioioso. Quando ai primi di luglio le truppe Francesi entrano in città, Pisacane viene arrestato, poi, liberato grazie all'intervento della moglie. Riparato all’estero è costretto a rientrare a Genova l’anno dopo per una malattia di Enrichetta. La coppia attraversa un periodo di crisi sia personale che economica. Carlo parte per Lugano e tornerà dalla sua compagna solo ai primi di novembre. Esce intanto a Genova, il saggio “Guerra combattuta in Italia negli anni 1848-49” che sarà l'unica sua opera pubblicata in vita. Il 28 novembre 1852 nasce la seconda figlia, Silvia. Verso il 1855 si riaccosta al Mazzini con il quale però aveva ormai in comune solo l'idea della strategia rivoluzionaria in senso repubblicano, e con lui prepara quella spedizione nel Meridione che doveva tragicamente concludersi nell'impresa di Sapri. Gli sembrano indicativi di una volontà di riscossa alcuni episodi antiborbonici in Sicilia e Calabria, e la costituzione di un comitato segreto insurrezionale a Napoli. Costretto ad interrompere una prima volta l'impresa, Pisacane partì di nuovo il 25 giugno '57 con ventiquattro compagni.
La spedizione
Nel Regno delle Due Sicilie si costituisce nel 1853 un ristretto comitato repubblicano segreto che esordisce con l'insurrezione del barone Bentivegna e l'attentato a Re Ferdinando da parte di Agesilao Milano. L'ipotesi di una spedizione nel mezzogiorno era stata ventilata già anni prima, quando nel 55 l'esule Antonio Panizzi aveva organizzato un blitz, poi fallito, all'isola di Santo Stefano per liberare i prigionieri politici. L'idea fu ripresa da Pisacane e da Mazzini, sebbene quest'ultimo sembrò metterla in discussione negli ultimi mesi. Pisacane, durante il soggiorno torinese del '56, diede forma a quell'impresa che avrebbe dovuto rappresentare la prova concreta della sua teoria della via nazionale al Risorgimento. Pisacane prese contatto con i repubblicani napoletani, invitandoli ad affrettare i tempi. Dopo il tentativo fallito del 10 giugno (1857) il 25 dello stesso mese Pisacane e i suoi uomini s'imbarcarono sul piroscafo Cagliari, (compagnia Rubbattino) che collegava ogni 15 giorni Genova a Tunisi (via Cagliari). Il piano originale prevedeva che una piccola goletta con le armi a bordo, guidata da Rosolino Pilo, avrebbe intercettato il Cagliari in navigazione. Ma Pilo perse l'orientamento, causa maltempo, e mancò l'appuntamento col piroscafo. I venticinque patrioti, tra i quali Giovanni Nicotera, ufficiale calabrese di chiara fama rivoluzionaria e il giovane studente cosentino Giovan Battista Falcone furono costretti ad improvvisare, impossessandosi dei soli fucili rinvenuti sul brigantino. Il 27 pomeriggio, dirottata l'imbarcazione, si sbarcò sull'isola di Ponza, che cadde senza molte resistenze. Furono liberati 323 uomini, dei quali solo undici erano realmente prigionieri politici. Domenica 28, vi fu finalmente lo sbarco a Sapri sulla terraferma. Pisacane rimase subito sorpreso dall'assenza dei rivoluzionari napoletani, che avevano promesso il loro appoggio. L'eroe decise di proseguire verso l'interno, nella vana attesa che Napoli, Genova e Livorno si sollevassero come stabilito. L'1 luglio a Padula gli uomini di Pisacane si scontrarono con i soldati e le guardie urbane dei Borboni: vi furono 63 morti, dei quali 59 ribelli, una guardia urbana, un soldato e due civili. Pisacane, sopraffatto, si convinse a ripiegare verso il mare. Senza munizioni e privi di vettovaglie, il 2 luglio a Sanza furono attaccati da una cinquantina di persone, in gran parte contadini, convinti dai Borboni che si trattassero di ladri. Si aprirono dei vuoti nelle file dei ribelli: Pisacane, Falcone e altri sette dei venticinque imbarcatisi a Genova furono barbaramente trucidati. Ferito ad una mano, Nicotera si arrese con altri 29 compagni, mentre altri sette alla ricerca della fuga vennero orrendamente ammazzati da una folla di paesani, incalzati da un prete. Depredati dei loro averi, i cadaveri di Padula furono sepolti in una fossa comune nella chiesa della Santissima Annunziata, quelli di Sanza vennero invece cremati.
Tre anni dopo, passando di lì la spedizione dei Mille, un gruppo di garibaldini calabresi catturò, seviziò e ammazzò quanti, più direttamente, erano stati coinvolti nella triste vicenda: in particolare, il capo della guardia urbana Sabino Laveglia, che si era vantato di aver personalmente fatto fuori Pisacane, il fratello Domenico, lo speziale Filippo Greco Quintana e la guardia carceraria Giuseppe Citera.
La spigolatrice di Sapridi Luigi Mercantini
Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!
Me ne andavo un mattino a spigolare
quando ho visto una barca in mezzo al mare:
era una barca che andava a vapore,
e alzava una bandiera tricolore.
All'isola di Ponza si è fermata,
è stata un poco e poi si è ritornata;
s'è ritornata ed è venuta a terra;
sceser con l'armi, e noi non fecer guerra.
Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!
Sceser con l'armi, e a noi non fecer guerra,
ma s'inchinaron per baciar la terra.
Ad uno ad uno li guardai nel viso:
tutti avevano una lacrima e un sorriso.
Li disser ladri usciti dalle tane:
ma non portaron via nemmeno un pane;
e li sentii mandare un solo grido:
Siam venuti a morir pel nostro lido.
Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!
Con gli occhi azzurri e coi capelli d'oro
un giovin camminava innanzi a loro.
Mi feci ardita, e, presol per la mano,
gli chiesi: - dove vai, bel capitano? -
Guardommi e mi rispose: - O mia sorella,
vado a morir per la mia patria bella. -
Io mi sentii tremare tutto il core,
né potei dirgli: - V'aiuti 'l Signore! -
Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!
Quel giorno mi scordai di spigolare,
e dietro a loro mi misi ad andare:
due volte si scontraron con li gendarmi,
e l'una e l'altra li spogliar dell'armi.
Ma quando fur della Certosa ai muri,
s'udiron a suonar trombe e tamburi,
e tra 'l fumo e gli spari e le scintille
piombaron loro addosso più di mille.
Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!
Eran trecento non voller fuggire,
parean tremila e vollero morire;
ma vollero morir col ferro in mano,
e avanti a lor correa sangue il piano;
fin che pugnar vid'io per lor pregai,
ma un tratto venni men, né più guardai;
io non vedeva più fra mezzo a loro
quegli occhi azzurri e quei capelli d'oro.
Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!
Fratelli Bandiera
ovvero Attilio (Venezia 1818 – Vallone di Rovito, Cosenza 1844) ed Emilio Bandiera (Venezia 1819 – Vallone di Rovito, Cosenza 1844) furono dei patrioti italiani.
Baroni, figli di un nobile, mentre erano ufficiali della marina austriaca aderirono alle idee di Giuseppe Mazzini e fondarono una loro società segreta, l'Esperia (nome col quale i greci indicavano l'Italia antica) e con essa tentarono di effettuare una sollevazione popolare nel Sud Italia.
Il 13 giugno 1844, i fratelli Emilio e Attilio Bandiera partirono da Corfù alla volta della Calabria seguiti da 17 compagni, dal brigante calabrese Giuseppe Meluso e dal corso Pietro Boccheciampe.
Il 16 giugno 1844 sbarcarono alla foce del fiume Neto, vicino Crotone e appresero che la rivolta del 15 marzo 1844 era già stata repressa nel sangue e al momento non era in corso alcuna ribellione all'autorità del re.
Il Boccheciampe, appreso la notizia che non c'era alcuna sommossa a cui partecipare, sparì e andò al posto di polizia di Crotone per denunciare i compagni.
Pur non essendoci alcuna rivolta i fratelli vollero lo stesso continuare l'impresa e partirono per la Sila.
Subito iniziarono le ricerche dei rivoltosi ad opera delle guardie civiche borboniche aiutati da comuni cittadini che li credevano dei briganti, e, dopo alcuni scontri a fuoco, vennero catturati (meno il brigante Giuseppe Meluso, buon conoscitore dei luoghi, che riuscì a sfuggire alla cattura) e portati a Cosenza, dove i fratelli Bandiera con altri 7 compagni vennero fucilati nel Vallone Rovito il 25 luglio 1844.
Il re Ferdinando II ringraziò la popolazione locale per il grande attaccamento dimostrato alla Corona e la premiò concedendo medaglie d'oro e d'argento e pensioni generose.
Estratto da "http://it.wikipedia.org/wiki/Fratelli_Bandiera"
Rosa Luxemburg,
Donna politica e rivoluzionaria tedesca di origini polacche ed ebraiche, nasce a Zamosc (Polonia) il 5 marzo 1870. Fu una figura di primo piano del comunismo europeo e mondiale. Nel corso della sua breve vita e militanza marxista riceverà notevoli dimostrazioni di affetto da importanti uomini politici del tempo, Gramsci e Lenin su tutti, che guardavano con simpatia all'ascesa politica di una donna.
Ancora prima di compiere venti anni, Rosa Luxemburg sente il bisogno di interessarsi in prima persona dei problemi del mondo: diviene ben presto una militante del movimento di sinistra "Proletariat", ma a causa delle repressioni che spesso questo movimento subisce, viene costretta nel 1895 ad abbandonare la nazione natìa, emigrando prima in Svizzera e poi in Germania, dove sposerà un tedesco senza amarlo. Il matrimonio di comodo tuttavia le permetterà di ottenere nel 1898 la cittadinanza tedesca.
Anche nella grande capitale tedesca Rosa Luxemburg vuole continuare le sue battaglie: si iscrive all'SPD (Partito socialdemocratico tedesco). Con passione e radicalità, si oppone con fermezza e decisione alle teorie revisioniste di Bernstein, auspicando un ritorno all'originale pensiero di Marx.
Alcuni avvenimenti le faranno leggermente cambiare idea su quest'ultimo punto: quando nel 1905 scoppia la prima rivoluzione russa, Rosa Luxemburg torna in Polonia per parteciparvi. Il progetto rivoluzionario per il momento fallisce e viene arrestata.
Poco dopo il rilascio torna in Germania dove tra il 1907 e il 1914 insegna Economia politica. In questa veste si differenzia da Karl Marx su un punto: secondo la Luxemburg anche se il capitalismo fosse entrato in crisi, sarebbe riuscito a "salvarsi" grazie alle immense risorse derivate dal colonialismo, pratica cui lei fu sempre contraria.
Non mancarono, soprattutto dopo la stesura del suo libro più famoso "L'accumulazione del capitale", piccole polemiche anche con Vladimir Lenin, di cui lei non condivideva l'idea di un partito formato solo dall'elite proletaria, e con Josif Stalin, perché secondo lei la rivoluzione non doveva abbattere la democrazia ma doveva estenderla.
Profondamente pacifista, poco dopo lo scoppio della Prima guerra mondiale, abbandona la carriera di insegnante ed inizia quella di attivista: compie in quel periodo molte manifestazioni contro la guerra, e viene arrestata per ordine del kaiser Guglielmo II.
Nel 1916, ancora in pieno conflitto, esce dalla SPD e fonda, con il suo migliore amico Karl Liebknecht, dapprima la "Lega di Spartaco" ed in seguito il primo Partito Comunista Tedesco.
Sia la Lega che il Partito si diedero un'organizzazione imperniata sul progetto di rivoluzione e nel gennaio 1919, approfittando del periodo di turbolenza che c'era in Germania dopo la sconfitta nella prima guerra mondiale, tentarono un'insurrezione armata.
Soffocata con inaudita crudeltà da parte dell'esercito, la rivolta si concluse il 15 gennaio 1919, con la fucilazione a Berlino di Rosa Luxemburg insieme al compagno Liebknecht.
Nonostante fosse poco considerata dai bolscevichi russi che fecero la rivoluzione del 1917, la figura di Rosa Luxemburg continua ad essere studiata da storici e biografi, che ne rimarcano il coraggio e l'altruismo. Il suo ricordo viene onorato ancora oggi dai milioni di tedeschi (spesso giovani e giovanissimi) che continuano a commemorarla nel giorno della sua morte.
Ardito Desio
geologo, geografo, esploratore
Nato a Palmanova, in provincia di Udine, il 18 aprile 1897. Partecipò, prima come volontario ciclista, poi come ufficiale degli Alpini, alla prima guerra mondiale. Laureatosi in Scienze Naturali a Firenze nel 1920, prestò servizio come assistente negli Istituti di Geologia delle Università di Firenze, Pavia e Milano. In quest'ultima università fondò l'Istituto di Geologia che poi diresse come professore ordinario dal 1927 al 1972,quando andò in pensione per raggiunti limiti di età e fu nominato Professore Emerito. Dal 1930 al 1967 fu Professore incaricato di Geologia Applicata all'Ingegneria al Politecnico di Milano. La sua attività scientifica è documentata da oltre 400 pubblicazioni che illustrano i risultati delle ricerche svolte in Italia ed in vari Paesi dell'Asia e dell'Africa. Organizzò e diresse una quindicina di spedizioni scientifiche , fra le quali quella che scalò per prima il K2, la seconda cima del mondo per altezza. Progettò e realizzò un laboratorio scientifico in una piramide di acciaio, alluminio e vetro, in grado di funzionare come laboratorio di ricerca ad alta quota, che nel 1990 fu installata a 5050 metri d'altezza, sotto la cima dell'Everest.
Ma i maggiori risultati delle sue ricerche li ottenne in Libia fra il 1926 e 1940. Oltre al rilevamento e alla pubblicazione della carta geologica di questo vasto territorio ed al rinvenimento di acquedolci sottorranee nel sottosuolo in numerose località, nel 1932 scoprì un giacimento di sali potassici nell'Oasi di Marada e soprattutto l'esistenza del petrolio nel sottosuolo di quel Paese.
E' stato membro dell'Accademia Nazionale dei Lincei e socio onorario di molte società scientifiche italiane e straniere. Fu il primo Presidente dell'Associazione Nazionale dei Geologi Italiani e Presidente del Comitato Geologico per sette anni. Ha scritto su alcuni dei maggiori quotidiani e periodici italiani. Fu Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine della Repubblica Italiana.
Ardito Desio si è spento serenamente il 12 dicembre 2001 all'età di 104 anni.