VIVERE ULTRAS forum: I colori ci dividono, la mentalità ci unisce! (dal 23/01/04)

Personaggi Storici

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cirenaico
view post Posted on 16/10/2006, 13:57     +1   -1




MAX STIRNER


Max Stirner nasce il 25 Ottobre del 1806 a Bayreuth,figlio di un intagliatore di flauti. Studia a Berlino, ascoltando corsi di Hegel, Schleiermacher, Michelet. Finite le scuole, trova impiego come insegnante in una scuola privata per fanciulle di famiglie agiate,il "Lehr und Erzihungs Anstalt fur hohere Totcher" di Madame Gropius, situata a Berlino. Il primo ottobre del 1844, all'età di 38 anni, abbandona l'impiego. Nel mese stesso l'editore Wigand di Lipsia,a cui faceva capo il radicalismo politico e filosofico del momento, pubblicava in una tiratura di mille copie " L'unico e la sua proprietà ", primo libro di Stirner. L'opera è dedicata alla seconda moglie dell'autore, Marie Dahnhardt, che presto si dividerà dal marito, lasciandolo nella più completa solitudine. Stirner muore il 26 Giugno del 1856,a pochi mesi dal compimento dei 50 anni, oppresso dai debiti e dopo due appelli pubblici sui giornali (ricordiamo che morì in circostanze misteriose). Aveva passato anche due brevi periodi in prigione, proprio per i debiti. Alla sua morte,c he venne annunciata da pochi giornali, la salma di Stirner fu accompagnata da Bruno Bauer e da pochi amici. Il primo accenno all' Unico apparso sulla stampa si trova in una rapida corrispondenza da Berlino della "Mannheimer Abendzeitung" del 12 Novembre 1844. Dopo aver presentato Stirner come amico intimo di Bruno Bauer, l'anonimo giornalista spiega che però "L'unico" è un attacco a fondo contro il punto di vista del liberalismo umanitario(che era quello di Bauer). Ma ciò che lo impressiona innanzitutto è l'eccessività di Stirner: con questo libro la tendenza neo-hegeliana si è spinta al suo estremo:la libertà dello spirito soggettivo viene qui cercata nella sfrenatezza del singolo, nell'individualità propria d'ogni uomo, nell'egoismo, ma l'egoismo stirneriano va inteso come "unicità",come il singolo (l'io vero) legge a se stesso. Stirner vuole far del bene a se stesso e non all'umanità; ed è proprio lui a dircelo: " Deciditi a non lasciar più vagare il diritto in libertà:riconducilo alla sua origine,a te,ed esso diventerà il tuo diritto, e giusto sarà solo ciò che ti andrà bene. "Anche se impaurito, Bauer è attratto da Stirner: seppure questo principio, quale è qui presentato, sia ancora troppo unilaterale e insostenibile, esso si fonda però su intuizioni giuste e vere e, se opportunamente filtrato, si potrà rivelare fecondo. Dall'unico questo primo recensore si aspettava un brivido, e l'aveva avuto. Appariva naturale l'attesa di un qualcosa che obbligasse a dire un qui si va troppo in là, che sbaragliasse tutti i precedenti scritti come troppo timidi e cauti. E quell'opera finalmente c'era! L'ultima fase del processo di decomposizione dello spirito assoluto(Marx-Engels, L'ideologia tedesca ) si stava compiendo. Dopo essersi già fatto notare con alcuni brevi saggi,tra cui il più importante,il falso principio della nostra educazione,era apparso sulla "Rheinische Zeitung", la rivista a cui collaborava anche Marx che ne divenne caporedattore due giorni dopo che Stirner aveva pubblicato il suo ultimo articolo, il silenzioso, appartato Stirner si presentava ora con un'opera massiccia che aveva una sola pretesa: quella di seppellire la filosofia in generale. Dopo l'Unico, l'attività pubblica di Stirner sembra sfilacciarsi, sino a scomparire. Pubblica traduzioni di J.B. Say da Adam Smith, che dovrebbero essere accompagnate da un suo commento annunciato, ma nella prima si annuncia il commento per la seconda, ma in questa il commento annunciato manca senza alcuna giustificazione. Nel 1848 scrive per il "Journal des osterreichischen Lloyds" (giornale dei lyod austriaci), ma non firma questi articoli. Poi pubblica a Berlino nel 1852 i due volumi di Storia della Reazione , un saggio sulla reazione controrivoluzionaria ai moti tedeschi ed europei del 1848,dietro un titolo così interessante essi celano un lavoro di compilazione, un'antologia dal profilo sfuggente, dove lo Stirner de L'Unico compare beffardamente in poche occasioni.Con la sua opera principale e le due repliche ai suoi primi recensori si può affermare che Stirner abbia dichiarato il silenzio e lo abbia poi mantenuto. Stirner non ha trovato particolare favore presso la critica filosofica. Se ha incontrato una certa notorietà, ciò è avvenuto nell'ambito ideologico. Il suo nome fa parte ormai della cerchia dei classici teorici dell' anarchismo , i cui esponenti principali agiscono più o meno nel decennio 1840-1850. Negli Stati Uniti J.Warren, in Francia P.J.Proudhon, in Germania lo stesso Stirner, in Russia il romantico M.Bakunin e più tardi, l'altro grande, P.Kropotkin. Ma bisogna anche dire che questo appropriarsi di Stirner da parte degli anarchici è andato ben al di là delle intenzioni stesse di Max Stirner, che non ha mai avuto alcuna intenzione di fondare una scuola di pensiero nè tantomeno di tracciare guide ed indicazioni a chicchessia:la sua dimensione dell'individualismo, dell'egoismo, termine questo da lui ampliato ed ingigantito fino a diventare un valore e una vera categoria di pensiero nonché un atteggiamento complessivo verso tutte le manifestazioni della vita e della realtà, ha trovato una connotazione sociale soltanto nella concezione da lui teorizzata, e neanche tanto intensamente proposta, della Unione dei Liberi, che deriva dalla frequentazione a Berlino del circolo intellettuale dei Liberi, appunto, alle cui riunioni e discussioni movimentate partecipò lo stesso Engels (e fu lì che Engels fece degli schizzi a matita dei partecipanti, e a lui si deve l'unica immagine conosciuta dello stesso Stirner, l'essenziale profilo a matita conosciuto da tutti i lettori dell'autore).Tale concezione prevedeva un'unione di individualità che, salvaguardando strenuamente la propria peculiarità, avrebbero comunque potuto fondare un progetto politico e organizzativo capace di guidare la vita dell'intera società. Ma su questo concetto Stirner non insistette mai più che tanto. E' evidente che alla formazione di Stirner come anarchico è stato determinante il pesante giudizio di Engels, espresso in particolare nel suo breve scritto del 1886 " Ludwing Feuerbach e la morte della filosofia tedesca ", in cui Engels prende in considerazione alcuni rappresentanti della "hegelei" che dominava allora in Germania. Dopo aver accennato alla nascita dell'ala sinistra verso la fine del 1830 Engels passa a parlare piuttosto sinteticamente dell'opera "la vita di Gesù" di F.Strauss, nonché della successiva polemica con Bruno Bauer, ed infine fa il nome di Stirner, dicendo che egli è il profeta e il propugnatore dell'odierno anarchismo e ispiratore dell'opera di Bakunin. Più precisamente Bakunin (ricordiamo che Bakunin era un aristocratico) avrebbe amalgamato Stirner con Proudhon, e proprio a tale amalgama si sarebbe dato il nome di anarchismo. E ancora, per Engels, tra gli ultimi esponenti della filosofia hegeliana Strauss, Bauer, Stirner e Feuerbach soltanto quest'ultimo sarebbe significativo nel campo filosofico,e Stirner sarebbe soltanto un "personaggio curioso". C'è da dire che Stirner criticò Feuerbach poiché quest'ultimo non fece altro che proiettare un Dio in un altro Dio; questo "nuovo Dio" prese il nome di "uomo"o "umanità". Quindi, per Schmidt, non è cambiato assolutamente niente, è solo un altro essere al di sopra del singolo e quindi da combattere e distruggere). Appena il libro "L'unico e la sua proprietà" è stampato e la prima recensione pubblicata, tre lettere ne commentano l'apparizione incrociandosi per l'Europa. Engels scrive a Marx, Feuerbach a suo fratello, Ruge all'editore Froebel. Reazioni febbrili alla travolgente lettura dell'opera e per diverse ragioni ognuno ammette, pur timorosamente, un certo entusiasmo per il libro di Schmidt. Poi passeranno gli anni, i destini degli scriventi divergeranno sempre di più ma in una cosa saranno, senza accorgersene, d'accordo, ovvero nel condannare Stirner, e soprattutto nel tacere su di lui. Feuerbach in una lettera al fratello,alla fine del 1844: la prima impressione è che "L'Unico e la sua proprietà" sia un' opera di estrema intelligenza e genialità, che ha la verità dell'egoismo-anche se eccentrica, unilaterale, non vera- dalla parte sua. Feuerbach prosegue dicendo che la polemica di Stirner contro l'antropologia (cioè contro lui stesso) è fondata su un malinteso. Per il resto lo considera lo scrittore più geniale e libero che mai abbia conosciuto. Così all'inizio Feuerbach pensò di dare a Stirner una risposta leggera e amichevole, nella forma di una lettera aperta che avrebbe dovuto iniziare con le seguenti parole: "indicibile e incomparabile, amabile egoista: come il Suo scritto stesso,il Suo giudizio su di me è veramente incomparabile e unico." Ma presto la prudenza e il sopravvento ebbero la meglio: in un'altra lettera al fratello, del 13 Dicembre 1844, Feuerbach insinua che gli attacchi di Stirner tradiscono una certa vanità, come se volesse farsi un nome a sue spese. Infine, nella recensione che poi decise di dedicare all'Unico, Feuerbach appare intimorito e preoccupato soprattutto di difendersi. Non vuole fare concessioni a Stirner e tutela l'onorabilità della propria dottrina. Poi è il silenzio. Nel 1861, in una lettera a Julius Duboc, ricorderà quella vecchia polemica come una causa liquidata per sempre. Ruge, in un biglietto del Novembre 1844 all'editore Frobel, spedito da Parigi, dice che le poesie di Heine e L'Unico di Stirner sono le due apparizione più importanti degli ultimi tempi. Le audacie dei Deutsch-franzosichen Jahrbucher (ovvero di Marx) appaiono ormai, di gran lunga, superate! Ruge era stato prima protettore e amico e poi aspro nemico di Marx. Nella lettera a Frobel del 6 Dicembre 1844 mescola le lodi a Stirner con le stoccate a Marx e ,anzi, per la prima volta usa Stirner contro Marx: Marx professa il comunismo, ma è il fanatico dell'egoismo, e con una coscienza ancora più occultata in rapporto a Bauer. Si sappia che Stirner vede il comunismo come "società degli straccioni". L'egoismo ipocrita e la smania di fare il genio,il suo atteggiarsi a Cristo, il suo rabbinismo, il prete e le vittime umane (ghigliottina) riappaiono perciò in primo piano. Il fanatismo ateo e comunista è in realtà ancora quello cristiano. L'egoismo di una persona meschina è meschino, quello di un fanatico è ipocrita, falso e avido di sangue, quello di un uomo onesto è onesto. Perché ognuno vuole e deve avere se stesso (Stirner vuole che ogni uomo riconduca il proprio "io" da dove è nato, ovvero a se stessi, e non ad alienarlo in "fantasmi"come Dio o l'umanità ), e nella misura in cui ciascuno lo vuole veramente le sopraffazioni si equilibrano. Poi, in una lettera del 17 Dicembre alla madre, Ruge riprende il discorso su Stirner: "Il libro di Max Stirner, che forse anche Ludwing conosce, è una strana apparizione. Molte parti sono assolutamente magistrali, e l'effetto del tutto non può che essere liberatorio. E' il primo libro leggibile di filosofia che appaia in Germania; e si potrebbe dire che è apparso il primo uomo del tutto privo di pedanteria, anzi del tutto disinvolto, se non fosse che lo rende assai meno disinvolto la sua propria fissazione, che è quella dell'unicità. Comunque mi ha dato una grande gioia vedere che la dissoluzione ha raggiunto ormai questa forma totale, per cui nessuno può giurare impunemente su niente. " Ma anche in questo caso l'entusiasmo per Stirner avrebbe retto per poco. Già nel 1847 Ruge approva con zelo il violento attacco di Kuno Fischer contro Stirner e i sofisti moderni, che segna l'inizio della pratica per etichettare "L'Unico e la sua proprietà" come libro famigerato. E, quando Stirner pubblica la sua replica, Ruge suggerisce subito a Fische: "E' senz'altro una buona cosa se risponde a Stirner con una lettera e lo fa inciampare un'altra volta pesantemente sulla sua fondamentale stupidità. Questa gente si infuria se uno prova loro la loro mancanza di genialità e arguzia, perché alla fine tutto sfocia nel fatto che loro sono geni e gli altri sono asini. Confondono il movimento teologico col movimento filosofico o, in altri termini, la pratica dell'arbitrio con la pratica della libertà." Engels scrive una lettera a Marx il 19 Novembre 1844 da Barmen a Parigi dove esplica: "Avrai sentito parlare del libro di Stirner, l'Unico e la sua proprietà, se non ti è già arrivato. Wigand mi aveva spedito le bozze impaginate, che mi ero portato dietro a Colonia e poi avevo lasciate ad Hess. Il principio del nobile Stirner è l'egoismo di Bentham, solo che nel suo caso viene sviluppato per un verso più consequenzialmente, per un altro meno consequenzialmente. Più consequenzialmente perché Stirner pone il singolo in quanto ateo al di sopra di Dio o addirittura come entità ultima, mentre Bentham lascia ancora stare Dio al di sopra di tutto in una qualche nebbiosa lontananza. Meno consequenziale Stirner lo è in quanto vorrebbe evitare la ricostruzione della società dissolta in atomi, quale viene messa in opera da Bentham, ma non ci riesce.Questo egoismo non è che l'essenza portata a coscienza della società di oggi, la cosa ultima che la società di oggi può dire contro di noi, la punta acuminata di ogni teoria che si muova all'interno della stupidità corrente. Ma appunto per questo la cosa è importante, non dobbiamo accantonarla, bensì sfruttarla proprio in quanto perfetta espressione della pazzia corrente e,operando in essa un ribaltamento, continuare a costruirci sopra. Questo egoismo è così spinto all'estremo, così pazzo e al tempo stesso così cosciente di sé che nella sua unilateralità non può mantenersi un solo momento, ma deve subito rovesciarsi in comunismo." Più avanti dice che Stirner ha ragione, quando rifiuta l'uomo di Feuerbach, per lo meno quello dell'Essenza del cristianesimo,l'uomo di Feuerbach è derivato da Dio, Feuerbach è arrivato da Dio all'uomo, e così l'uomo è incoronato da "un'aureola teologica" di astrazione. La vera via per giungere all'uomo è la via inversa. Noi dobbiamo partire dall'io, dall'individuo empirico, corporeo, non per restarci attaccati,come succede a Stirner, ma per innalzarci da lì all'uomo. Poco più avanti Engels arriverà al punto di esigere un'ulteriore acutizzazione dell'egoismo stirneriano: ma se l'individuo in carne e ossa è la vera base, il vero punto di partenza per il nostro uomo, così anche ovviamente l'egoismo-naturalmente non solo l'egoismo stirneriano dell'intelletto, ma anche l'egoismo del cuore-è il punto di partenza per il nostro amore per gli uomini,altrimenti esso resta sospeso per aria.(Stirner vede l'amore come un sentimento di cui l'uomo deve servirsi;"L'amore è mio! "). Il libro di Stirner mostra ancora una volta quanto profondamente radicata sia l'astrazione nell'essenza berlinese. Fra i liberi, Stirner è evidentemente quello che ha più talento. Per capire meglio "L'unico e la sua proprietà" è consigliabile leggere "L'ideologia tedesca", le pagine rabbiose dedicate a Stirner (che hanno la mole dello stesso libro di Stirner). Marx,che fin dall'inizio, con la sua consueta chiaroveggenza politica, aveva visto in Stirner il nemico per eccellenza, dovette rispondere ad Engels con asprezza. Ma purtroppo quella lettera è andata perduta. In risposta, nel Gennaio 1845, Engels fa ammenda più tosto senza ritegno. Passano diversi mesi e, al ritorno da un viaggio nell'Estate 1845 in Inghilterra, Marx ed Engels decidono di procedere a una definitiva liquidazione dei giovani hegeliani fra i quali erano cresciuti. Una prima liquidazione, la Sacra Famiglia, era già apparsa pochi mesi prima: ma questa volta il libro è centrato chiaramente su un avversario: Max Stirner! Ne viene fuori una critica all'Unico che occupa 320 delle fitte pagine delle opere complete di Marx ed Engels. Riga per riga le affermazioni di Stirner vengono isolate, aggredite. Le astuzie del procedimento riveleranno non tanto i segreti di Stirner, quanto quelli di Marx ed Engels in una loro fase di irreversibile trasformazione,quella in cui Marx inventa il "marxismo"come lingua franca. Ancora a molti, oggi, il nome di Stirner dice qualcosa solo perché Marx ed Engels parlano di lui ne "L'ideologia tedesca" e, di fatto, leggere "L'Unico"tenendo accanto il commento di Marx ed Engels rimane un esercizio ascetico inevitabile per ogni buon lettore di Stirner (e di Marx). Portata a termine l'opera distruttiva, che criticava aspramente anche altri pensatori, come si è detto, come lo stesso Bruno Bauer, Marx ed Engels tentarono per vari mesi di pubblicare il loro testo. Ma,d opo laboriose trattative, ad un certo punto i fondi vennero a mancare. Ad altri nemici dovevano rivolgersi ancora, soprattutto Proudhon, e a tal proposito Marx avrebbe chiesto ad Engels il permesso di travasare vari temi dell'ideologia tedesca e "la miseria della filosofia". Così quel grosso libro rimase fra gli inediti. Marx non ne fu molto dispiaciuto: come avrebbe accennato nella introduzione a Per la critica dell'economia politica ,del 1859, quello scritto aveva già assolto alla sua funzione occulta, quella di un chiarimento di se stessi da parte dei suoi due autori. E quel chiarimento era stato al tempo stesso troppo intimo e troppo drastico perché lo si potesse rendere pubblico. Qualcosa di simile doveva pensare anche Engels: nel 1883 propose a Berstein di pubblicare il manoscritto de "L'ideologia tedesca" a puntate sul Feuilleton del "Sozialdemokrat" e definì il testo la cosa più insolente che sia mai stata scritta in lingua tedesca. Ma si pentì subito della sua idea perché, secondo Berstein, temeva che il testo avrebbe offeso una certa destra social-democratica. Quanto a Stirner, Engels si sarebbe lasciato sfuggire su di lui un ultimo giudizio illuminante, che spiega retrospettivamente in termini ben diversi le ragioni politiche dell'ideologia tedesca, e ben più convincenti, rispetto a quelli che Marx ed Engels avevano proposto nel loro testo: "Stirner ha vissuto una sua rinascita attraverso Bakunin, il quale fra l'altro era anche lui a Berlino a quel tempo e stava seduto davanti a me, con altri quattro o cinque russi, al corso di logica di Werder (era il 1841/42). L'innocua, e soltanto etimologica, anarchia-cioè l'assenza di una autorità statale-di Proudhon non avrebbe mai portato alle dottrine anarchiche di oggi se Bakunin non vi avesse versato una buona parte della `ribellione`stirneriana. In conseguenza gli anarchici sono diventati altrettanti unici, così unici che non se ne trovano due che riescano ad andar d'accordo" (lettere a Max Hildebrand del 22 Ottobre 1889). E' questo il controcanto privato al breve, allusivo riconoscimento pubblico che Engels aveva appena dedicato a Stirner: "E alla fine venne Stirner, il profeta dell'anarchismo attuale-Bakunin ha preso moltissimo da lui-e al di sopra della sovrana autocoscienza fece svettare il suo unico sovrano".L'anti-Stirner,come sarebbe giusto chiamare il libro contro di lui,che erompe dalla cornice dell'ideologia tedesca,finì per essere pubblicato postumo sia a Marx cri ad Engels.Nel 1903-04 Bernstein ne offriva un'edizione parziale sotto il titolo "Il santo Max". Fino ad allora non si sapeva dunque che Stirner era un avversario a cui Marx ed Engels avevano dedicato qualche centinaio di pagine per infamarlo. E questo aiuta a capire come mai,ancora negli anni '90 del XIX secolo,vari teorici e studiosi socialisti mostrassero ancora una evidente simpatia per Stirner.
 
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ButelFabio
view post Posted on 16/10/2006, 18:19     +1   -1




CITAZIONE (Hellas Army @ 16/10/2006, 11:04)
Viene trasferito a Washington e dichiarato traditore; viene richiesta per lui la pena di morte. Al processo viene dichiarato infermo di mente e rinchiuso per dodici anni nel manicomio criminale di Saint Elizabeth.

Mio Dio questa non la sapevo... DODICI anni, è un'assurdità, non me lo riesco neanche ad immaginare stare per una dozzina d'anni in un manicomio... pazzesco
 
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ILBRIGANTE
icon12  view post Posted on 16/10/2006, 21:46     +1   -1




Felix Dzerzhinsky

Feliks Edmundovič Dzeržinskij nacque a Vilnius,in Lituania,nel 1877 e morì a Mosca nel 1926.Fu capo della Cheka, la polizia politica dei bolscevichi che si trasformò poi in NKVD. Dapprima fu un grande amico nonché collega di Lenin, dopo la morte di quest'ultimo si schierò dalla parte di Stalin e morì proprio durante un discorso contro l'opposizione trockijsta. Davanti alla Lubjanka, ovvero il palazzo del KGB, sorgeva una grande statua che lo raffigurava, che venne però distrutta col crollo del comunismo in Russia. Lo stesso Vladimir Putin, ex membro del KGB, ha un gran culto di Dzerzhinsky.
[da wikipedia]

1917 - 1918 : Capo della Cheka
1922 - 1923 : Capo della Gpu (erede della Cheka)
1923 - 1926 : Capo della Ogpu (erede a sua volta della Gpu)


Su questo personaggio vorrei dire qualcosa di mio.
Di lui si sa poco, visto anche il lavoro che doveva compiere, ma merita senzadubbio di essere menzionato e "analizzato".
Una figura straordinaria e affascinante... Nel 1917 gli venne dato da Lenin l'ordine di allestire una polizia segreta di partito... Creò la Cheka (su cui penso sia inutile sprecare parole... semplicemente un qualcosa di perfetto per efficienza) in anni in cui la russia era devastata.
Mantenne l'ordine in Unione Sovietica fino alla sua morte.
Fu sempre fedele alla linea, ai tempi di Lenin come ai tempi di Stalin.
Non ambì mai al potere, si limitò a fare il suo dovere... E lo fece straordinariamente!
Se l'Unione Sovietica durò così tanto tempo dobbiamo ringraziare (o maledire a seconda delle posizioni politiche) proprio il vecchio Dzerzhinsky.
Infatti allestì la Cheka in maniera così eccezionale che i menscevichi non riuscirono ad attuare la controrivoluzione neanche con il supporto dei servezi segreti dei più grandi paesi occidentali.
Fu anche l'inventore di tecniche eccezionali che vengono tuttora studiate negli uffici dell'Fsb (erede del celebre Kgb che da Dzerzhinsky ereditò molto).
Che dire... concludo con due immagini... una sua foto... e un'altra foto che a me rattrista molto... ma renderà felice qualcuno... la sua statua buttata giù.
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Volagrifo
view post Posted on 16/10/2006, 22:04     +1   -1




Sir James Richardson Spensley (Stoke Newington, 17 maggio 1867 - Magonza, 10 novembre 1915)
Era un medico inglese giunto in Italia per la sua professione e diventato ben presto uno dei principali promotori del gioco del calcio e dei primi gruppi scout.

Cenni BiograficiL'attività di medico e il suo trasferimento in Italia
Spensley sbarcò come medico di bordo da una nave inglese nel porto di Genova nel 1896 - quando nel capoluogo ligure era presente una folta colonia britannica. Grande appassionato di calcio, in patria si era cimentato come portiere in una piccola squadra della sua città. I britannici, peraltro, benché vivessero lontani dalla loro patria, continuavano ad esercitare i sport a loro cari come il cricket e spesso si riunivano per esercitarli.

L'attività sportiva degli anglo-sassoni veniva vista in maniera strana dagli italiani, per i quali lo sport di squadra non era propriamente un passatempo usuale, ma molti di loro non disdegnarono di imparare e di praticare questi sport.


Spensley e il Genoa
Prima della venuta di Spensley il Genoa disputava le sue partite su un campo messo a disposizione da 2 industriali scozzesi e le gare si svolgevano tra soci o contro squadre improvvisate di marinai inglesi o ginnasti dell'Andrea Doria. Entrato nel club genoano, vista la sua capacità organizzativa, fu nominato capitano della squadra di calcio e subito si impegnò ad aiutare Franz Calì ad aprire una sezione calcistica all'interno dell'Andrea Doria.

Spensley fu anche uno tra i promotori ad organizzare la prima sfida di calcio tra rappresentanti di diverse città italiane. Questa sfida si tenne il 6 gennaio del 1898 tra il Genoa e una squadra mista di giocatori dell'Internazionale Torino e della F.C.Torinese, che vinse la partita, e diventerà per Spensley e altri l'occasione per gettare le basi sulla possibilità di unire, come in Inghilterra, tutte le squadre di calcio italiane in un'unica entità che sarà poi la FIGC.


Spensley e l'apertura agli italiani
Altro merito di Spensley fu la proposta, poi accettata nel 1897, di far entrare all'interno del Club anche soci italiani. Per la precisione la comunità svizzera, all'epoca numerosissima a Genova, aveva tempo prima già avuto questo permesso quindi all'interno del sodalizio erano già presenti soci italo-svizzeri come i fratelli Pasteur (Enrico Pasteur e Edoardo Pasteur), nati però a Genova.


Spensley e il primo campionato italiano
Nella partita di finale valevole per l'assegnazione del primo titolo italiano di campionato, poi aggiudicato al Genoa, Spensley giocò nel doppio ruolo di difensore/portiere poiché dopo l'infortunio dell'estremo Baird il medico inglese prese il suo posto tra i pali.

L'anno seguente Spensley, che aveva ormai spostato l'attenzione del Club sul calcio, propose il cambiamento del nome sociale da Genoa Cricket & Athletics Club in Genoa Cricket and Football Club.


L'attività calcistica negli ultimi anni
Il medico e fervente sportivo inglese prese parte a molte partite come portiere e difensore centrale fino al 1906 all'età di 40 anni con la squadra da lui fondata: le cronache dell'epoca riferiscono che non fu un atleta particolarmente dotato tecnicamente, anche se è pensabile che, all'epoca, certe qualità non fossero enfatizzate come sarebbe accaduto solo che pochi decenni dopo. Non si sottrasse, tuttavia, all'impegno morale di coordinatore del settore Calcio, guidando e dirigendo la squadra, dalla fondazione fino al 1907.


Spensley e lo scoutismo italiano
Mentre era in Inghilterra, Spensley aveva conosciuto Robert Baden-Powell, fondatore dello scoutismo, e ne aveva anche avuto in dono una copia autografata del libro Scouting for Boys. Nel 1910 l'associazione genovese Juventus Juvat, detta anche le Gioiose, fondata da Mario Mazza decise di avvicinarsi alle prime esperienze scout italiane nate da poco a Bagni di Lucca per opera di Sir Francis Vane.

Lo stesso Vane suggerì a Mazza di contattare Spensley, e venne a Genova per una conferenza il 13 novembre 1910. In seguito a questa conferenza, due giorni dopo, Mazza e Spensley costituirono la sezione genovese dei Ragazzi Esploratori Italiani (REI). Presidente fu nominato il conte Ottavio Reghini, mentre Mazza fu eletto Segretario di Sezione. Spensley divenne Commissario Delegato per la Liguria.

Già verso la fine del 1911, però, sorsero contrasti fra il Mazza ed il Reghini. Mazza uscì dal REI e ricostituì le Gioiose.

Anche Spensley uscì dal REI con un gruppo di esploratori che, in alcune occasioni, fecero attività assieme alle Gioiose.


Morte
Come un altro personaggio legato alla storia del Genoa, Luigi Ferraris, morì durante la prima guerra mondiale.

Spensley era stato ferito sul campo di battaglia durante lo svolgimento delle sue mansioni mediche (sui giornali genovesi dell'epoca, molto colpiti dall'accaduto, si riportò che Spensley stesse portando soccorso ad un nemico ferito). Fatto prigioniero la ferita lo condusse alla morte poco dopo.

La sua tomba è stata scoperta casualmente negli anni Novanta a Magonza in Germania, luogo della sua morte al fronte, da due studenti genovesi.


Attività
Spensley, uomo di grande cultura, era un grande appassionato e praticante di diversi sport, fra cui pugilato e il nascente calcio. Appassionato di religioni orientali, conosceva - oltre alle lingue europee - il sanscrito ed il greco; quale medico di bordo aveva avuto possibilità di viaggiare all'estero e di apprendere lingue, usi e costumi di varie località del mondo.

Era anche corrispondente del quotidiano inglese Daily Mail.

Da grande filantropo qual era, durante la sua permanenza a Genova si dedicò al sostentamento dei trovatelli e degli orfani di strada.

 
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Hellas Army
view post Posted on 17/10/2006, 14:28     +1   -1




CITAZIONE (ButelFabio @ 16/10/2006, 19:19)
CITAZIONE (Hellas Army @ 16/10/2006, 11:04)
Viene trasferito a Washington e dichiarato traditore; viene richiesta per lui la pena di morte. Al processo viene dichiarato infermo di mente e rinchiuso per dodici anni nel manicomio criminale di Saint Elizabeth.

Mio Dio questa non la sapevo... DODICI anni, è un'assurdità, non me lo riesco neanche ad immaginare stare per una dozzina d'anni in un manicomio... pazzesco

d'altronde gli USA non potevano certo permettersi di avere un loro cittadino "partigiano" dell'asse, e che comunque aveva svelato fin da subito la natura economica e lobbista delle guerre :rolleyes:
 
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LupoVive
view post Posted on 17/10/2006, 16:24     +1   -1




COLA DI RIENZO
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Nicola (detto Cola) di Lorenzo (o Rienzo o Rienzi) nacque a Roma nel 1314, figlio di un oste di Trastevere (quartiere popolare di Roma), sebbene la leggenda gli abbia attribuito un padre di nobilissime origini: niente di meno che l'imperatore Enrico VII di Lussemburgo (imperatore 1312-1313).
Autodidatta, poi avviato a una scuola notarile, dopo aver fatto parte nel 1342 di un’ambasceria cittadina presso la corte papale avignonese, intraprese una campagna politica antinobiliare. Affascinato sin da giovane dalle vestigia dell’antichità, il ricordo della grandezza del passato di Roma era ricorrente nei suoi discorsi e nei dipinti allegorici che egli stesso confezionava e illustrava in pubblico.
Il 20 maggio 1347, con il favore popolare, Cola attuò un colpo di Stato, proclamando la Repubblica romana e assumendo la carica di tribuno del popolo. Occupato il Campidoglio e cacciate dalla città le famiglie della nobiltà che rifiutarono di giurare sottomissione (tra cui i Colonna), vennero avviate riforme antifeudali e antimagnatizie, nel mezzo di esecuzioni capitali di avversari politici e solenni cerimonie propagandistiche, mentre Cola si faceva alfiere della libertà italiana. Tuttavia, dopo pochi mesi, il potere iniziò a dargli alla testa ed egli si mise in mente di poter reinstaurare l'impero Romano, liberando le città italiane dal giogo degli imperatori tedeschi.
Era un grande sognatore idealista e ambizioso. Ma l’opposizione nobiliare e le sue stesse indecisioni fecero calare la sua popolarità, ed egli abbandonò la carica di tribuno nel dicembre del 1347, ritirandosi in Castel Sant’Angelo, dove fu poi tenuto prigioniero dai nobili tornati al potere. Fuggito nell’autunno del 1348 durante l’epidemia di peste, si rifugiò in Abruzzo, fra le comunità francescane della Maiella.
Nel 1350 si recava a Praga per cercare appoggio dall’imperatore, ma dopo una prima accoglienza favorevole fu consegnato a Clemente VI, come questi aveva richiesto, e giunse ad Avignone nell’agosto del 1352. Sebbene prigioniero, la sua reputazione di uomo colto gli fece stringere buoni rapporti con varie personalità della curia. Morto Clemente VI, il nuovo papa Innocenzo VI lo inviò a Roma al seguito del cardinal Albornoz, incaricato di ristabilire l’autorità pontificia sulla città. Nominato senatore, Cola disattese speranze riaccesesi nella parte popolare. I suoi eccessi autocelebrativi e l’imposizione di nuove tasse gli alienarono buona parte dei suoi sostenitori. L’8 ottobre 1354 quattro rioni della città gli si sollevarono contro e la folla prese d’assalto il Campidoglio. Cola cercò di fuggire travestendosi, ma venne riconosciuto e trucidato. Ha lasciato un interessante epistolario.

 
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cirenaico
view post Posted on 21/10/2006, 01:51     +1   -1




Fra Dolcino da Novara (ca. 1260-1307)

Fra Dolcino nacque, intorno al 1260, a Prato Sesia (Novara). In gioventù fu probabilmente un francescano, sicuramente compì degli studi regolari con il grammatico vercellese Syon (m. 1290), perché mostrò sempre una certa cultura e una buona conoscenza del latino e delle Sacre Scritture.
Nel 1290 entrò nel movimento degli apostolici di Gherardo Segalelli, ma per diversi anni non si fece particolarmente notare.
Il cambiamento avvenne nel 1300 dopo la morte sul rogo del Segalelli: la repressione da parte della Chiesa cattolica fu molto brutale e lo stesso D. riparò per qualche tempo nel Bolognese. Da qui scrisse la prima delle sue lettere a tutti i seguaci del movimento, presentando la sua idea sullo sviluppo delle ere della Storia rielaborando le ben note teorie di Gioacchino da Fiore.
Ben presto D. fu nominato capo del movimento degli apostolici e nei primi mesi del 1303, egli trasferì il movimento a Cìmego, sulle montagne del Trentino, vicino ad Arco sul Lago di Garda, dove conobbe Margherita di Trento, figlia della contessa Oderica di Arco ed educanda in un convento. La fanciulla sarebbe diventata la futura compagna di D., che da Arco scrisse la seconda delle sue lettere agli apostolici.
Tuttavia poiché la lunga mano dell'Inquisizione era giunta fino in Trentino con il rogo di tre apostolici, D. decise nel 1304, per organizzare meglio la resistenza, di guidare i suoi seguaci (ben tremila persone) con un'epica marcia attraverso le montagne lombarde della Bergamasca (dove furono raggiunti da Longino Cattaneo, futuro luogotenente di D.) fino in Val Sesia, la sua terra natia. Si dice che il nome di Campodolcino, un paese vicino a Chiavenna, sia una diretta testimonianza di quest'esodo di massa dei dolciniani.
In Val Sesia i dolciniani si insediarono dapprima nella parte bassa della valle tra Gattinara e Serravalle, in località Piano di Cordova, nel feudo dei conti di Biandrate, e grazie all'apporto di servi fuggiaschi dei vescovi di Novara e di Vercelli, arrivarono ad essere una schiera di circa 4.000 persone. Si unirono anche diversi letterati provenienti da varie parti d'Italia (Bologna, Toscana e Umbria), come Bentivegna da Gubbio.
Successivamente sotto l'incalzare delle truppe del vescovo di Vercelli, Raniero de Pezzana Avogadro (1235-1310), essi si spinsero più in su nella valle, invitati dall'abà (capo di una corporazione valligiana) Milano Sola, di Campertogno, un paese pochi chilometri prima di Alagna. Da lì, per difendersi meglio dapprima si trasferirono sulle pendici della Cima Balme ed infine in Val Rassa, vicino a Quare, su una montagna denominata Parete Calva, dove i superstiti (circa 1.500 persone) si asserragliarono, protetti dai valligiani valsesiani, per tutto l'inverno del 1304. Da qui scendevano per attaccare e saccheggiare gli accampamenti militari sottostanti.
Ogni azione compiuta dai dolciniani in questo periodo fu giustificata da D. Egli riteneva che essi fossero talmente perfetti da poter commettere qualsiasi atto senza correre il rischio di peccare, secondo il detto di San Paolo: Tutto è puro per i puri (Lettera a Tito 1,15) ed in questo essi assomigliarono molto ai Fratelli dei Libero Spirito.
Ma nel rigido inverno del 1305 la morsa dell'assedio delle truppe cattoliche fu talmente incisiva che Margherita di Trento, con inaspettato coraggio, decise lei stessa di guidare il gruppo in una disperata azione di sgancio dall'assedio attraverso montagne e passi innevati fino alla loro nuova roccaforte, il monte Rubello, vicino a Trivero, in provincia di Vercelli, dove giunsero nel Marzo 1306.
Nel frattempo, nello stesso 1306, volendo definitivamente farla finita con questa setta, il Papa Clemente V (1305-1314) aveva bandito una crociata.
I dolciniani, ben presto circondati e posti d'assedio dalle truppe cattoliche e dalle popolazioni biellesi (che non furono solidali come quelle valsesiane), resistettero per circa un anno, ma poi, oramai ridotti in condizioni disumane (mangiavano carne di topi e di cani e ci furono perfino episodi di cannibalismo), dopo un ultimo assalto, avvenuto il 23 marzo 1307 e costato la morte a 200 dolciniani, alfine i 140 superstiti si arresero.
D., Margherita e Longino Cattaneo furono catturati vivi e portati a Biella, dove Longino e Margherita furono arsi sul rogo il 1° Giugno 1307, nonostante i tentativi di alcuni nobili locali di salvare la vita della donna, facendola abiurare.
D. fu costretto ad assistere al rogo della sua compagna e successivamente portato a Vercelli per essere, a sua volta, arso: durante il percorso gli vennero strappate le carni con delle tenaglie roventi. Nonostante quest'atroce tortura, D. non si lamentò mai, eccetto quando si strinse nelle spalle all'amputazione del naso o quando sospirò profondamente al momento dell'evirazione.
I superstiti dolciniani furono ripetutamente condannati dal Sinodo di Treviri del 1310, da quello di Lavaur del 1368 e infine da quello di Narbona del 1374: eppure 70 anni dopo la vicenda tragica della Val Sesia, venivano ancora segnalati suoi seguaci in Trentino.
Le vicissitudini di D. suscitarono l'interesse di diversi letterati nel corso dei secoli come Nietzsche e Dante Alighieri, che lo descrisse nell'Inferno nel canto XXVIII ai versi 55-60 (Or di' a fra Dolcin dunque che s'armi....).
La sua riabilitazione avvenne alla fine del XIX secolo: venne infatti considerato un "apostolo del Gesù socialista" e nel 1907 sul luogo della sua ultima resistenza fu eretto, a cura degli operai biellesi e valsesiani, un obelisco commemorativo, che fu abbattuto a cannonate durante il fascismo nel 1927 per essere poi ricostruito più modestamente come cippo nel 1974.

La dottrina
Come si diceva, D. si ispirò alle dottrine millenariste di Gioacchino da Fiore. Secondo D., la storia dell'umanità era contraddistinta da quattro periodi:
Quello del Vecchio Testamento, caratterizzato dalla moltiplicazione del genere umano,
Quello di Gesù Cristo e degli Apostoli, caratterizzato dalla castità e povertà,
Quello iniziato al tempo dell'imperatore Costantino e di Papa Silvestro I, caratterizzato da una decadenza della Chiesa a causa dell'accumulo delle ricchezze e dell'ambizione,
Quello degli apostolici Segalelli e D., caratterizzato dal modo di vivere apostolico, dalla povertà, dalla castità e dall'assenza di forme di governo ed esso sarebbe durato fino alla fine dei tempi.
Inoltre, nelle sue lettere, egli fece ampio accenno all'Apocalisse di Giovanni e in particolare ai sette angeli delle sette chiese, precursori della propria setta. Egli infatti attendeva il settimo angelo, cioè di un papa, finalmente eletto da Dio e non dai cardinali: questi ultimi sarebbero stati distrutti, assieme a Papa Bonifacio VIII (1294-1303), da Federico III d'Aragona e di Sicilia (1296-1337), re nel quale erano state riposte le speranze dei ghibellini italiani.
Nonostante le profezie di D. su Federico III non si avverassero, D. rimase sempre un riferimento per i suoi seguaci ai quali aveva predetto che, sotto questo nuovo papa, gli apostolici avrebbero potuto ricevere la grazia dello Spirito Santo e predicare e vivere in pace fine alla fine dei tempi.
 
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Slalom-Lager
view post Posted on 22/10/2006, 22:24     +1   -1




Otto Ohlendorf

Otto Ohlendorf nacque il 4 febbraio 1907 a Hohen-Egelsen si iscrisse giovanissimo al partito Nazista il 28 maggio 1925 (tessera n. 6631). Nel 1926 entrò a far parte delle SS (tessera 880).
Il giovanissimo Otto studiò giurisprudenza a Lipsia e a Gottinga e trascorse un anno in Italia nell'ambito di un programma di scambio di studenti (1931). Dopo la laurea entrò nell'Istituto dell'Economia Mondiale e del trasporto marittimo di Kiel. Gli si apriva una ottima carriera di studioso.
Nel 1936 venne reclutato dal servizio segreto di Heydrich l'SD ma continuò la sua carriera all'interno degli istituti economici tedeschi venendo nominato dirigente dell'Ufficio del Commercio tedesco. Ohlendorf era di fatto uno degli intellettuali promettenti che il neonato SD reclutava e che, nonostante facessero parte del servizio segreto continuavano la loro attività professionale.

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Così ufficialmente Ohlendorf era soltanto un consigliere economico all'interno dell'SD. Ciò gli valse il grado di Hauptsturmführer delle SS. Di fatto Ohlendorf lavorò a tempo pieno nell'SD soltanto a partire dal 1939 quando venne nominato Capo dell'Ufficio AMT III dell'RSHA cioèdello spionaggio interno. Tuttavia l'atteggiamento aristocratico e spocchioso di Ohlendorf non piaceva né ad Heydrich né ad Himmler che in una conversazione con il suo assistente Wollf ebbe a dire che "Ohlendorf si comporta come se stesse lui solo portando il Santo Graal". Così, probabilmente per queste antipatie, Heydrich gli ordino di prendere il comando di uno degli Einsatzgruppen destinati ad operare in Russia nel 1941. Secondo quanto testimoniato da Ohlendorf a Norimberga rifiutò due volte l'incarico ma, alla terza volta, fu costretto ad accettare. Venne nominato capo dell'Einsatzgruppe D destinato ad operare alle spalle dell'11a Armata tedesca nel sud della Russia. L'Einsatzgruppe D sotto il suo comando massacrò, secondo i rapporti inviati a Berlino, 91.728 ebrei dal giugno 1941 al luglio 1942.

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Ritornato in Germania, nel novembre 1943 venne nominato direttore ministeriale del Segretario di Stato del Ministero dell'Economia. Nel 1944 venne promosso Gruppenführer delle SS e tenente generale della polizia.
Il 23 maggio 1945 si consegnò alle truppe inglesi. Nel gennaio 1946 comparve come testimone al processo di Norimberga. Successivamente venne giudicato colpevole nel processo celebrato contro i comandanti degli Einsatzgruppen ed impiccato l'8 giugno 1951.

Processo di Norimberga

Ohlendorf testimoniò al processo di Norimberga descrivendo le operazioni mobili di massacro degli Einsatzgruppen ed inchiodando gli accusati alle loro responsabilità.
Famosi rimangono alcuni passaggi delle sue testimonianze che con indifferenza agghiacciante riportarono tecniche e misure operative dei massacri compiuti dai suoi uomini. Particolarmente significativo fu la sua risposta quando gli venne domandato il motivo per cui venivano uccisi i bambini ebrei: "Era necessario ucciderli per le stesse ragioni per cui bisognava uccidere i loro genitori".

Ohlendorf non negò mai lo sterminio, anzi sostenne che bisognava uccidere gli ebrei. Ciò che negò a tutti i processi cui partecipò come testimone o imputato fu che esistesse un piano per sterminare gli ebrei.
Ciononostante Ohlendorf ebbe il coraggio di professarsi innocente sino all'ultimo sostenendo di aver cercato di annullare l'ordine di Himmler, che aveva comandato il più piccolo degli Einsatzgruppen (come se questa fosse una attenuante) e che sulle migliaia di uomini che contavano gli Einsatzgruppen solo 33 erano passati in giudizio e solo 14 erano stati condannati a morte e che egli era dunque un martire.
Ohlendorf è una figura insieme caratteristica e emblematica del nazismo. Fu un "nazista integrale" in tutti i sensi.

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Ebbe tutti i vizi del nazismo: un'ideologia confusa, misticheggiante, il mito del sangue, un ideale romanticismo teutonico ed una altezzosità che lo rese inviso ai nazisti meno "raffinati" come Heydrich.
Appare strano che a questo intellettuale retorico e altezzoso sia stato affidato il comando dell'Einsatzgruppe D che sterminò quasi 100.000 tra uomini, donne e bambini nella Russia meridionale.
Ohlendorf probabilmente fu inviato quasi per punizione del suo essere "intellettuale" (ed è egli stesso ad affermarlo sostenendo che Heydrich insistette tre volte per affidargli il comando). Quando cedette il comando del suo gruppo di sterminatori Ohlendorf tornò ai suoi studi economici e alle sue teorizzazioni socio-politiche vaghe e prive di contenuto


 
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Hellas Army
view post Posted on 23/10/2006, 14:48     +1   -1




IMRE NAGY

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Imre Nagy (nato nel Kaposvár, Ungheria il 7 giugno del 1896, giustiziato il 16 giugno del 1958) fu Primo Ministro dell'Ungheria in due occasioni.

Nagy (IPA: /naɟʝ/) nacque da famiglia contadina e fu anche un apprezzato fabbro, prima di essere arruolato nell’esercito austroungarico durante la prima guerra mondiale sul fronte est. Fatto prigioniero nel 1915 dall’esercito dello Zar, scoprì il comunismo nel 1918 e venne quindi arruolato nell’Armata Rossa. Tornato in Ungheria dopo la guerra, prestò servizio nel breve governo di Béla Kun. Nel 1927 ritornò in Ungheria per aiutare il locale partito comunista clandestino, ma dovette presto scappare a Mosca, dove studiò agricoltura nell’Istituto della capitale e lavorò nella sezione ungherese del Comintern.

Durante la permanenza di Nagy in Unione Sovietica, molti comunisti non originari della Russia vennero arrestati, imprigionati e condannati a morte dal governo sovietico. In particolare, Béla Kun che guidava la repubblica sovietica di Ungheria, scomparso nella metà degli anni 30’. Questa tragedia provocò il panico tra gli emigrati ungheresi, come testimoniato da Julius Hay in Born 1900. In questo periodo Nagy divenne un agente dell’apparato di sicurezza dell’Unione Sovietica. Era una pratica comune ed il fatto che sopravvisse alle purghe staliniane degli anni 30’ e 40’ rafforza questa tesi. Sembra che Nagy abbia smesso di lavorare per lo spionaggio verso la fine degli anni 40’, dato che in questo periodo gli vennero affidate posizioni ministeriali nel suo Paese natale, inclusa quella di Ministro dell’Agricoltura e di Ministro degli Interni. Nel 1949 criticò numerose posizioni della politica agricola dell’Unione Sovietica e come conseguenza venne espulso del Politburo. Venne riammesso nel 1951, solo dopo aver fatto "autocritica", e fu costretto a realizzare le idee che aveva tanto osteggiato. Divenne Vice Primo Ministro sotto Matyas Rakosi, ma fu promosso Primo Ministro dopo la morte di Stalin, quando Georgij Malenkov, successore di Stalin alla guida del governo dell’URSS, lo preferì agli altri membri del partito.

Nagy cercò di creare un "nuovo corso" nel sistema comunista, moderando il ritmo dell'industrializzazione, permettendo ai contadini di abbandonare la collettivizazione delle fattorie e limitando il regime del terrore. Ma quando, nel 1955, Khruščёv, il vero detentore del potere, spodestò Malenkov, Nagy fu costretto a dimettersi dal suo incarico e fu espulso dal partito comunista.

La rielezione di Rakosi, uno stalinista, ed il "discorso segreto" di Khruščёv al ventesimo Congresso del partito comunista, contribuì all'inquietudine dell'Ungheria. Per ammansire la diffusa scontentezza popolare, un altro comunista ungherese, Erno Gero, fu nominato primo segretario. Ma gli eventi in Polonia, così come quelli in Ungheria, incluso la riabilitazione delle vittime ungheresi delle purghe staliniste condussero ad agitazioni molto estese. Il 23 ottobre, dimostrazioni studentesche nel centro di Budapest e gli spari, non autorizzati, sulla folla, portarono al caos. Il Comitato Centrale, riunitosi in emergenza la notte del 23 ottobre, nominò Nagy primo ministro, una posizione che detenne poco meno di 10 giorni.

Durante il suo breve mandato come il primo ministro durante la rivoluzione ungherese, Nagy tentò di tenere gli eventi sotto controllo, cercando di mediare le condizioni imposte dai sovietici con i desideri del suo popolo. Propose l'amnistia per i dimostranti, abolì il sistema monopartitico e iniziò a negoziare il ritiro delle truppe sovietiche dall'Ungheria.
Il primo novembre Nagy sfidò ulteriormente il Cremlino dichiarando la neutralità del proprio Paese e domandando alle Nazioni Unite di prenderne atto, richiesta che non venne mai considerata.

Nagy era consapevole di aver giocato il tutto per tutto: già dal giorno precedente, in numerose parti del Paese era stata segnalata la presenza di truppe sovietiche e la capitale era accerchiata. Nonostante questo, il generale Pal Maleter, Comandante in capo dell’esercito magiaro, continuava a negoziare il ritiro dell’Armata Rossa, finché nella notte tra il 3 ed il 4 novembre 1956 venne arrestato da un commando del generale Serov durante le trattative con la delegazione sovietica guidate dal generale Malinin.
All’alba del 4 novembre la radio trasmise un comunicato di un ministro filosovietico, János Kádár, il quale dichiarava che, non essendo possibile combattere i "sussulti controrivoluzionari" del governo in carica, proponeva di crearne uno nuovo, sotto la propria presidenza, con l’aiuto di Mosca. Kádár aveva dichiarato a Yuri Andropov, appena due giorni prima: «Se i vostri carri armati entrano in Budapest, scenderò in strada e a mani nude mi batterò contro di voi» (T. Meray, Imre Nagy).

I sovietici invasero Budapest il 4 novembre 1956 e Nagy si rifugiò nell'ambasciata jugoslava, dove gli era stata offerta protezione. Khruščёv sapeva di correre pochi rischi assaltando Budapest, era certo dell’appoggio del mondo comunista, in particolare di Mao e Tito, e sapeva che il mondo occidentale era alle prese con la crisi di Suez e con le elezioni presidenziali negli Stati Uniti.
Il 22 novembre 1956, dopo diciotto giorni di permanenza nell’ambasciata jugoslava di Budapest, Nagy e numerosi suoi collaboratori, assieme alle famiglie, ne furono fatti uscire dal regime filosovietico di Kádár con la promessa scritta, consegnata al viceministro jugoslavo Vidic, che sarebbero potuti tornare alle loro case. Appena fuori, però, furono tutti costretti a salire su un autobus e trasportati nel quartier generale del KGB, alla periferia della città. Da lì il giorno dopo furono caricati su due aerei e fatti proseguire per Snagov, una località vicino a Bucarest, in Romania, dove vennero accolti in un complesso riservato ai dirigenti di partito; furono sistemati e trattati con cura, ma fin dal primo istante fu chiaro che erano prigionieri.

Le autorità comuniste romene, sempre in contatto con i sovietici e gli ungheresi, ebbero cura di separarli in gruppi e di isolare Nagy dagli altri, per poi esercitare pressioni continue, tese a convincerli a firmare dimissioni retrodatate a prima dell’invasione sovietica, e dichiarazioni di condanna della “controrivoluzione” di ottobre-novembre. Dopo qualche settimana, divenne sempre più chiaro a tutti i reclusi che le strade erano due: o si faceva quello che veniva richiesto, e prima o poi si sarebbe tornati a casa, oppure si teneva duro e si andava incontro a guai seri.

Nel corso del vertice dei «Paesi socialisti» tenutosi a Budapest dall’1 al 4 gennaio 1957, infatti, si parlò per la prima volta ufficialmente di “tradimento” di Imre Nagy. Nel corso dell'anno tre reclusi - tra cui il filosofo György Lukács - decisero di cedere al ricatto dei loro carcerieri: scrissero lettere in cui approvavano l’intervento sovietico e l’operato del governo Kádár, rinunciando a fare politica, e poterono, chi prima chi poi, tornare a casa indisturbati. Nagy e gli altri invece decisero di tenere duro, guadagnando così l’equivalenza morale con gli eroici combattenti morti sulle barricate.

Il 17 giugno del 1958 un comunicato del ministro ungherese della giustizia informava che Nagy, Maleter e due collaboratori erano stati condannati a morte e immediatamente giustiziati, per "aver complottato contro la Repubblica Popolare". I capi di tutti i partiti comunisti del mondo erano stati invitati a pronunciarsi sul verdetto e soltanto Gomulka aveva avuto il coraggio di astenersi, mentre Maurice Thorez e Palmiro Togliatti - cui Nagy aveva scritto una lettera, peraltro mai recapitata - avevano votato sì.
 
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figumorisca
view post Posted on 23/10/2006, 19:36     +1   -1




GENERALE GEORGE A. CUSTER
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George Armstrong Custer nasce il 5 dicembre 1839 a New Rumley, piccolo paese dell'Ohio, da Emanuele Custer, fabbro del villaggio, e da Maria Ward Kirkpatrick.

All'età di dieci anni George viene mandato a Monroe nel Michigan, presso la sorella Lydia. La donna avrà una forte influenza sulla formazione del giovane. Alla scuola "Young Men Academy" di Alfred Stebbins, il giovane Custer dimostra subito le caratteristiche che lo avrebbero contraddistinto per tutta la vita. Generoso coi compagni, sempre primo negli sport e sempre pronto a tuffarsi nei romanzi di argomento militare.
Il legame con la sorella Lydia è ottimo ed è particolarmente affezionato ad uno dei suoi figli, Harry Armstrong Reed, il cui destino sarebbe rimasto per sempre legato a quello del futuro generale: moriranno entrambe nel famigerato scontro di Little Big Horn.

Durante il soggiorno a Monroe Custer ha modo di conoscere Elisabeth Clift Bacon, figlia del giudice Daniel Stanton Bacon, che sarebbe diventata sua moglie.

A diciassette anni entra all'accademia di West Point dove fin da subito manifesta tutta la propria esuberanza. Eccellente cavallerizzo, compagno socievole e aperto con gli altri cadetti è tuttavia anche un cattivo esempio per la sua propensione al disordine, la mancanza di puntualità e l'insofferenza ai comandi. Si distingue per gli aspetti negativi del suo carattere che gli procurano l'allontanamento dall'accademia. Per non aver sedato una rissa tra cadetti in qualità di ufficiale della guardia, rischia seriamente la corte marziale e l'inevitabile conseguente espulsione.

La carriera militare di Custer inizia in modo significativo dopo lo scoppio nel 1861 della guerra di secessione americana, che vede molti cadetti del Sud ritirarsi dall'accademia per arruolarsi nelle file confederate. L'Unione ha un disperato bisogno di ufficiali. Le qualità poco accademiche ma molto concrete sul piano pratico di Custer non tardano ad emergere nell'emergenza della guerra.

In luglio Custer riceve l'ordine di raggiungere Washington per aggregarsi al 2° reggimento cavalleria. Nel 1862 Custer viene trasferito al 5° cavalleria dell'Armata del Potomac: dimostra tutta la sua audacia in un'azione di ricognizione sul fiume Chickahominy nella quale, sotto gli occhi del generale John G. Barnard, riesce a dimostrare la guadabilità del fiume e la localizzazione delle avanguardie nemiche. Questo gli procura l'ammirazione del generale Mc Clellan, che gli propone di diventare suo aiutante di campo col grado onorario di Capitano.

Nel giugno 1863 le armate di Lee sono in procinto di invadere la Pennsylvania e in questa situazione il generale George G. Meade, comandante dell'armata del Potomac, chiede al comandante in capo dell'esercito Henry W. Halleck la disponibilità di tre nuovi generali di brigata per riorganizzare le forze di cavalleria. Il generale Pleasonton propose per la nomina il capitano Custer, impressionato dal suo comportamento nella carica presso Aldie contro la cavalleria del generale confederato JEB Stuart. Custer viene informato del fatto il 29 giugno, due giorni prima della battaglia di Gettysburg: a ventitre anni diventa il più giovane generale della storia degli Stati Uniti.

La battaglia di Gettysburg, ricordata come la più sanguinosa di tutta la guerra e punto di non ritorno per il Sud, mette ancora una volta uno di fronte all'altro, Custer e JEB Stuart. Di nuovo, come ad Aldie, i leggendari cavalleggeri confederati vengono intercettati e fermati dalla cavalleria di Custer che impedisce il ricongiungimento con le truppe di Lee, apportando in tal modo un notevole contributo per l'esercito dell'Unione. Il giorno successivo, il 4 luglio, Lee attraversa il Potomac e rientra in Virginia.

Nel 1864 Lincoln nomina Ulysses S. Grant comandante in capo delle forze dell'Unione. Le armate di Lee e di Grant si fronteggiano sul fiume Rapidan e nella foresta di Wilderness (Virginia). E' un massacro da entrambi le parti: si contano 15.000 tra morti e feriti nelle file unioniste e 8.000 tra quelle confederate. Custer alla testa della brigata del Michigan guida la carica sul nemico costringendo i confederati a ripassare il fiume Chickahominy.

A Yellow Tavern (Virginia), l'11 maggio 1864, il Sud perde JEB Stuart, uomo di grandissimo valore che tentava di arginare una carica del generale Custer.

La guerra di secessione si avvia rapidamente verso la conclusione: già capitolata Atlanta, capitale della Georgia, Savannah cade di li a poco, il 21 dicembre. Il 3 aprile 1865 la caduta di Richmond sancisce la fine della guerra di secessione, costata circa 600.000 morti.

Un ultimo appuntamento attendeva Custer: la resa di Lee ad Appomattox Court House (Virginia) il 9 aprile 1865. Custer è presente assieme a Sheridan, Sherman ed altri generali all'incontro con il quale Lee consegna le armate confederate nelle mani di Grant. Lo scrittoio della casa sul quale Grant firma i termini della resa, verrà acquistato dal generale Sheridan che ne ferà dono alla signora Custer.

Nel maggio 1865 il Nord festeggia la vittoria con una trionfale parata a Washington in Pennsylvania Avenue. In tribuna d'onore, al fianco del generale Grant, c'è il nuovo presidente Andrew Johnson, eletto dopo la morte di Abraham Lincoln, ucciso il 14 aprile. Lo stesso giorno Custer riceve l'ordine di partire per il Sud, inquadrato nella grande operazione di recupero delle terre ribelli.

Nella primavera del 1866 viene richiamato a Washington per riferire sulle condizioni del Texas e della Louisiana. Sempre in primavera venne congedato da generale dei volontari: si ritrova nella condizione di capitano con uno stipendio che passa automaticamente dagli ottomila ai duemila dollari l'anno.
Pochi mesi dopo riceve la nomina di tenente colonnello e in ottobre raggiunge presso Fort Riley (Kansas) il reggimento del 7° cavalleria completamente ristrutturato.

Il generale Winfield S. Hancock, comandante del dipartimento del Missouri, è dell'idea di organizzare una spedizione punitiva per far comprendere agli indiani la potenza militare dell'esercito degli Stati Uniti. Custer ha l'ordine di uscire da Fort Hays per una perlustrazione dell'area dello Smoky Hill. La sua spedizione lunga circa mille miglia si rivela piena di insidie: si contano centinaia di diserzioni che Custer seda con l'immediata uccisione. In una delle sue tappe a Fort Harker l'aspetta un'amara sorpresa: riceve un telegramma da parte di Grant che lo invitava a presentarsi immediatamente al comando.

A Fort Leavenworth nell'agosto 1867 viene riunita la corte marziale, i cui punti d'accusa erano: l'abbandono del posto di comando senza autorizzazione. l'utilizzo di mezzi di trasporto dell'esercito per uso personale, aver ordinato l'uccisione dei disertori senza il beneficio di un processo.
La Corte emette un verdetto di colpevolezza per il quale Custer viene sospeso dal grado e dal comando per il periodo di un anno.

Nel frattempo i Sioux e i Cheyenne, inseguiti dal 7° cavalleggeri, mettono a ferro e fuoco l'intera zona dello Smoky Hill compresa tra i fiumi Platte e Arkansas. Le fattorie, le stazioni di posta e le carovane dei coloni sono il sistematico bersaglio degli indiani che attaccano, uccidono e bruciano.

Il trattato di Medicine Lodge, crea un "Territorio "Indiano entro il quale nessun bianco avrebbe potuto mettere piede, ma la soluzione che vorrebbe risolvere un problema ne crea altri. Le bande Cheyenne più recalcitranti rifiutano l'ingresso nel territorio appena costituito: gli scontri con l'esercito continuano per tutto il 1868. Tutto l'ovest è in fiamme a iniziare dal Wyoming sino al Territorio Indiano: il territorio è troppo vasto e i soldati non sono in grado di controllarlo.

Il 24 settembre 1868 Custer viene richiamato in servizio. Sotto una tormenta di neve, grazie all'utilizzo di guide Osage, Custer trova presto tracce di indiani in direzione direzione sud-est verso il fiume Washita. La notte del 27 novembre il villaggio indiano Cheyenne di Pentola Nera, ancora immerso nel sonno, viene attaccato dagli squadroni del 7° cavalleggeri al suono del "Garry Owen", l'antica marcia irlandese, molto cara a Custer. Il capo Cheyenne Pentola nera, che si considerava un amico degli americani, tenta di fermare il massacro imminente sbandierando lo stendardo donatogli dal governo degli Stati Uniti.

Fu un vero massacro. Pentola Nera e sua moglie morirono assieme a un centinaio di altri Cheyenne, compresi donne e bambini. Nel campo tutto fu bruciato tutto e la quasi totalità dei cavalli fu abbattuta per impedire che altri indiani se ne servissero. Tra i cavalleggeri si contarono una ventina di morti. Con la strage del Washita Custer porta un contributo notevole alla campagna invernale del generale Sheridan: entro la primavera del 1869 le cinque tribù meridionali avrebbero fatto rientro nella riserva. L'operato di Custer viene criticato, ma non dal suo superiore Sheridan.

Nel 1871 Custer viene inviato col 7° nel profondo sud a causa dei continui disordini provocati dal Ku Klux Klan, movimento politico che si batteva contro la concessione del voto alla gente di colore. Nel 1872, durante la visita negli Stati Uniti del figlio dello zar, il granduca Alessio di Russia, Custer, assieme ad altri generali è incaricato di organizzare una caccia al bisonte per intrattenere l'ospite europeo. Del gruppo fanno parte anche Buffalo Bill e un centinaio di guerrieri Sioux che eseguono davanti al granduca le loro danze, ed esibendosi a cavallo in spericolati caroselli.

Nell'aprile del 1873 il 7° cavalleria viene di nuovo rispedito al nord, a Fort Lincoln nel Nord Dakota. Appena sul posto, Custer, su pressione del generale Sheridan, organizza una spedizione di ricognizione nella zona delle Black Hill con la scusa di proteggere gli indiani da eventuali intrusioni da parte dei bianchi. La spedizione, per colmo di sventura dei Sioux, porta alla scoperta dell'oro.
A questo punto è chiaro che quello che doveva essere un territorio inviolabile sarebbe diventato un territorio di esclusiva pertinenza dei bianchi. Il governo organizza una nuova spedizione nella quale i geologi avrebbero dovuto verificare la consistenza dei giacimenti. Per placare la collera degli indiani il governo arriva a mercanteggiare le loro terre. La posizione dei Sioux a tale riguardo è prevedibile; solo Nuvola Rossa, stanco di combattere i bianchi, sembra accettare l'offerta. In risposta la maggior parte delle tribù abbandona nel 1875 le riserve di Pine Ridge e di Standing Rock per portarsi nella zona del fiume Powder. Nei primi mesi del 1876 il governo degli Stati Uniti considera ostili gli indiani fuori delle riserve e a tale riguardo sollecita un intervento da parte dell'esercito.

Sheridan non aspettava nient'altro di meglio. Convocati a Chicago i generali George Crook e Alfred H. Terry, con essi concorda un piano che prevede l'impiego di tre grosse colonne di soldati, una al comando di Crook proveniente dal Wyoming, un'altra al comando del colonnello Gibbon proveniente dal Montana e la terza al comando di Terry proveniente dal Nord Dakota. Le tre colonne avrebbero dovuto incontrarsi nella zona del Powder dove maggiormente si concentravano le forze dei Sioux e dei Cheyenne. Terry avrebbe dovuto, costeggiando il fiume Yellowstone, andare incontro alle truppe di Gibbon e poi con esse ricongiungersi con quelle di Crook nel punto in cui il fiume Big Horn si congiunge allo Yellowstone. Il piano ben congegnato aveva comunque un grosso limite: i tre generali marciando ognuno per proprio conto, date le asperità del terreno e le difficoltà delle comunicazioni, rischiavano di ignorare quello che poteva accadere alle altre colonne.

Il 25 giugno 1876 nelle vicinanze del fiume Little Big Horn nel Montana, ha luogo una delle battaglie piu' famose ed eroiche della storia degli Stati Uniti d'America. Il 7° cavalleria comandato dal generale Custer attacca un grande villaggio indiano composto per la maggior parte da Lakota e Cheyenne. Custer ed i suoi soldati sono stretti in una morsa e annientati. Nessun superstite che prese parte alla battaglia riuscirà a raccontare quello che avvenne effettivamente. Da questo prenderà forma una leggenda che ancora oggi coinvolge moltissimi studiosi.

Quando il 25 giugno Custer guido' i suoi uomini sul Little Big Horn e rimasero tutti uccisi il paese rimase scioccato. L'immagine comune era quella del miglior reparto della cavalleria americana che veniva umiliato e annientato dai primitivi indiani. Custer era il generale piu' famoso d'America ed il suo mito commosse tutta la nazione. La stampa ne fece un martire.

Ma come morirono Custer ed i suoi uomini rimarrà per moltissimo tempo un mistero, o più propriamente una vera leggenda. Se Custer sia stato un pazzo o un eroe è ancora oggi materia di discussione. Il presidente Grant, che non lo aveva in simpatia, affermò pubblicamente che il massacro di Custer era stato un inutile sacrificio di uomini, di cui riteneva responsabile lo stesso Custer.

Un secolo dopo, nel 1983 un grande incendio nel Montana centrale colpì la zona dove avvenne la battaglia. Con chilometri di prateria e di bosco bruciati venne alla luce il sito della battaglia. Con l'aiuto della scienza, antropologi e archeologi hanno studiato e analizzato per oltre vent'anni i reperti relativi all vicenda.

Gli archeologi come veri detective sono riusciti a smontare uno dei piu' grandi miti del west americano, con il loro lavoro e le loro scoperte sono riusciti a modificare l'immagine del reggimento di Custer: gran parte di loro erano inesperti soldati. I reperti hanno permesso di studiare a fondo anche i guerrieri indiani, ben lontani da essere avversari primitivi e privi di qualsiasi tattica militare. Erano invece bene armati e profondi conoscitori del terreno di guerra.

Sul Little Big Horn gli indiani combatterono per uccidere chi stava minacciando la loro esistenza, le loro famiglie, le loro donne e i loro bambini. La battaglia non fu una strenua resistenza, bensì una breve e devastante sconfitta.
 
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la peggio gioventù
view post Posted on 21/1/2007, 14:20     +1   -1




Personaggi presenti:

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livorno2006
view post Posted on 21/1/2007, 14:32     +1   -1




Biografia

Ritratto di ColomboDopo aver prestato servizio sotto Renato d'Angiò, probabilmente nel 1473 Cristoforo iniziò l'apprendistato come agente commerciale per i traffici di merci gestiti dalle famiglie Centurione, Di Negro e Spinola.

Nel 1474 fu a Chio in Grecia e poi in Portogallo.
Nel 1476 Colombo fu a Bristol, dopo aver fatto presumibilmente parte della flotta genovese, diretta in Inghilterra, che fu attaccata da navi francesi al largo del Capo Vincenzo.
Poi si recò a Galway in Irlanda e quasi certamente nel 1477 raggiunse l'Islanda.

Verso il 1479 Colombo si trasferì a Lisbona, continuando a commerciare per la famiglia Centurione. In questo periodo sposò Filipa Moniz Perestrello, dalla quale nel 1481 ebbe un figlio, Diego, e andò ad abitare nella casa della moglie a Porto Santo (Madera). Poco tempo dopo si trasferì a Lisbona, dove il fratello Bartolomeo lavorava come cartografo.

Fu probabilmente in questo periodo della sua vita, tra il soggiorno a Madera ed il successivo in Portogallo che nella mente di Cristoforo iniziò a prendere forma il disegno della rotta breve per le Indie.

Basandosi sulle carte geografiche del suocero, sui racconti dei marinai e sui reperti (canne, legni ed altro) trovati al largo delle coste delle isole dell'Oceano Atlantico, Colombo cominciò a convincersi che al di là delle Azzorre dovesse esserci una terra e che questa non potesse essere altro che l'Asia.


Giulio Monteverde - Colombo giovinetto
Genova, Castello d'AlbertisA Lisbona Colombo cominciò a documentarsi ed a leggere testi geografici, come la Historia rerum ubique gestarum di papa Pio II, stampata nel 1477, l'Imago mundi di Pierre d'Ailly (1480) e il Milione di Marco Polo.
Una notevole influenza sulla decisione poi presa da Colombo dovette esercitare una lettera che nel 1474 Paolo Toscanelli indirizzò ad un canonico di Lisbona, Fernan Martins.
Nella missiva, che è quasi certo che Colombo conoscesse, il fisico fiorentino indicava la rotta verso ovest per raggiungere l'India.

Dopo aver chiesto inutilmente al re Giovanni II la somma necessaria per il suo progetto, Colombo nel 1485, dopo la morte della moglie, si recò a Palos con il figlio.


Dopo essere stato a Cordoba ed a Siviglia, nel 1486 Colombo si presentò al cospetto di Ferdinando II di Aragona e di Isabella di Castiglia, ai quali presentò il suo progetto di raggiungere per mare il Catai ed il Cipango.
Ma una commissione riunita per vagliare le effettive possibilità di riuscita del viaggio bocciò la proposta.

Nel 1488 Colombo ebbe un altro figlio, Fernando, da Beatriz Enriquez Arana.

Negli anni seguenti Colombo cercò varie volte di farsi ascoltare dalla corte spagnola e si rivolse pure, tramite il fratello Bartolomeo, ai re d'Inghilterra e di Francia. In seguito all'unificazione della Spagna con la conquista di Granada, Colombo, grazie all'intermediazione del francescano Juan Pérez, del duca di Medinaceli e del tesoriere di corte Luis de Santangel, raggiunse un accordo con Isabella.

Secondo il contratto, firmato il 17 aprile 1492 a Santa Fè, Colombo, in caso di riuscita del viaggio, avrebbe avuto il titolo di ammiraglio e la carica di Viceré e Governatore delle terre scoperte.
La somma necessaria per l'armamento della flotta, pari a 2.000.000 di maravedí, sarebbe stata versata metà dalla corte e l'altra metà da Colombo, finanziato da alcuni banchieri italiani, tra cui il Berardi.

Furono così allestite tre caravelle, la Santa Maria, di 150 tonnellate, capitanata da Colombo, la Pinta di 140 t. e la Niña di 100 t., al comando di due armatori di Palos, Alonso e Vicente Pinzón.

Viaggi

I quattro viaggi di Colombo

Primo viaggio
La partenza avvenne il 3 agosto 1492 da Palos con un equipaggio complessivo di 120 uomini. Dopo uno scalo nelle Canarie per rifornimenti, le tre navi ripresero il largo il 6 settembre. Spinte dagli alisei, le caravelle navigarono per un mese senza che i marinai riuscissero a scorgere alcuna terra. Il 7 ottobre Colombo decise di virare verso sud-ovest, avendo visto alcuni uccelli dirigersi verso quella direzione. Finalmente alle due del 12 ottobre Rodrigo de Triana, a bordo della Pinta, avvistò la terra. All'alba Colombo sbarcò su un'isola, chiamata Guanahani dagli indigeni, che battezzò San Salvador.
L'esplorazione dell'isola non diede i risultati sperati, in quanto Colombo non trovò le ricchezze descritte da Marco Polo.
Colombo prende possesso del Nuovo MondoRipreso il mare, Colombo esplorò la costa nord-orientale di Cuba. La sera del 27 ottobre 1492, le caravelle di Colombo arrivano alla fonda di Cayo Bariay a Cuba, nell'attuale provincia di Holguin, il giorno successivo invia il suo ammiraglio ad esplorare la terraferma, nel diario di bordo di domenica 28 ottobre 1492 troviamo scritto: "Es la isla mas hermosa que ojos humanos hayan visto" (E' l'isola più bella che occhio umano abbia mai visto). Successivamente esplora quella settentrionale di Haiti, raggiunta il 5 dicembre e chiamata Hispaniola. Qui la Santa Maria urtò uno scoglio e dovette essere abbandonata. Colombo fece costruire un forte, La Navidad, dove lasciò parte dell'equipaggio.

Il 2 gennaio 1493 Colombo riprese la rotta verso l'Europa. Dopo che una tempesta lo costrinse ad attraccare alle Azzorre, Colombo arrivò nel porto di Lisbona il 4 marzo.
Dopo aver incontrato il re del Portogallo Giovanni II, Colombo arrivò a Palos il 15 marzo.
In Spagna Colombo, che aveva portato con sé alcuni indigeni, un po' di oro, tabacco e dei pappagalli, fu accolto come un eroe dai sovrani, che lo sollecitarono ad intraprendere un altro viaggio.

Secondo viaggio

Secondo viaggioL'ammiraglio Colombo salpò per il suo secondo viaggio da Cadice il 25 settembre con 17 navi ed un equipaggio di circa 1200 uomini, tra i quali vi erano il figlio Diego, il fratello Giacomo e l'amico Michele da Cuneo, savonese, che ci ha lasciato un'importante relazione.

Il 3 novembre la flotta raggiunse Dominica e veleggiò tra le piccole e le grandi Antille. Il 19 arrivarono a Porto Rico ed il 22 dello stesso mese Colombo tornò ad Hispaniola, dove scoprì che gli uomini dell'equipaggio che aveva lasciato erano stati uccisi.

Dopo aver fondato un nuovo avamposto, Isabella, Colombo trascorse alcuni mesi nell'esplorazione dell'entroterra alla ricerca di oro. Poi nel 1494 lasciò Hispaniola e il 30 aprile giunse a Cuba e pochi giorni dopo in Giamaica. Tornato ad Hispaniola, Colombo, dopo aver inviato una nave carica di indigeni in Spagna, costrinse i nativi rimasti a cercare l'oro.

Alla fine del 1495 Colombo ripartì alla volta della Spagna, che raggiunse nella primavera del 1496.

Terzo viaggio

Terzo viaggioDopo due anni trascorsi in Spagna a convincere i reali della necessità di una nuova spedizione e a reperire la somma necessaria per il viaggio, Colombo riuscì ad armare 6 navi, con un equipaggio di circa 300 marinai.

La flotta, partita il 30 maggio 1498, si diresse verso le isole di Capo Verde e di lì raggiunse Trinidad, il 31 luglio.
Nell'agosto dello stesso anno Colombo esplorò il Golfo di Paria ed il delta dell'Orinoco.

Tornato a Santo Domingo, Colombo dovette fare i conti con i coloni in rivolta e gli indigeni decimati dalle malattie e dai lavori forzati.
I sovrani spagnoli, avvertiti dai reduci dei disordini sull'isola, inviarono nel 1500 Francisco de Bobadilla, per far luce sull'accaduto.
Questi, resosi conto della situazione, arrestò Colombo ed i fratelli e li ricondusse in patria.
All'arrivo Isabella fece liberare Colombo, che però dovette rinunciare al titolo di viceré.

Quarto viaggio

Quarto viaggioNonostante tutto, Colombo intraprese un quarto viaggio, accompagnato dal fratello Bartolomeo e dal figlio tredicenne Fernando. Le quattro navi, salpate da Cadice l'11 maggio 1502, arrivarono a Santo Domingo il 29 giugno.
Qui le autorità di Hispaniola vietarono a Colombo l'attracco ed egli ripartì verso l'America centrale.

Tra il luglio e l'ottobre di quell'anno Colombo costeggiò l'Honduras, il Nicaragua ed il Costa Rica. Il 16 ottobre arrivò a Panama, dove si fermò per l'inverno. Qui fondò una colonia, presso il Rio Belen.

Il 15 aprile 1503 Colombo ripartì per Hispaniola, ma durante il viaggio una tempesta provocò gravi danni agli scafi e lo costrinse a fermarsi sulla costa settentrionale della Giamaica. Colombo rimase sull'isola per circa un anno, aspettando i soccorsi richiesti tramite due amici diretti in canoa verso Hispaniola. Il 29 giugno 1504 la nave concessagli arrivò e con essa Colombo salpò per la Spagna, dove arrivò il 7 novembre.

La scoperta dell'America

Ritratto nella Sala de los Almirantes,
all'Alcazar di SivigliaLa figura di Cristoforo Colombo è rimasta nella storia per la Scoperta delle Americhe.

L'impresa navale di Colombo, motivata dal desiderio di raggiungere le Indie e commerciarvi direttamente e più velocemente, fu resa possibile dalla determinazione del viaggiatore genovese ma anche da un suo errore.
Egli sosteneva infatti che la Terra avesse un diametro più piccolo di quello effettivo e che il continente euroasiatico fosse più esteso di quanto non sia in realtà: la composizione di questi due errori aveva come effetto la convinzione, effettivamente infondata, di poter compiere la traversata.

Infatti, nonostante la credenza oggi molto diffusa che Colombo fosse il solo a sostenere che la Terra fosse rotonda, questa idea era invece opinione comune della gente colta del basso Medio Evo (per tutti, si possono citare San Tommaso d'Aquino e Dante Alighieri).
Già dall'antichità, infatti, le osservazioni prodotte in ambiente astronomico-matematico ellenistico (dove la circonferenza della Terra era stata accuratamente misurata da Eratostene) erano state riprese e perfezionate dagli scienziati musulmani, che avevano tradotto e studiato quei testi, e dagli studiosi occidentali.
La leggenda urbana che la Terra fosse considerata piatta deriva da un romanzo del 1828, La vita e i viaggi di Cristoforo Colombo di Washington Irving, che descriveva la falsa immagine di un Colombo unico sostenitore della teoria di una Terra rotonda contro l'ignoranza medioevale. In realtà, la forte opposizione che Colombo trovò derivava dal fatto che la traversata oceanica era considerata troppo lunga per essere fattibile.

I calcoli di Colombo erano, oggi sappiamo, sbagliati, mentre quelli dei suoi avversari erano sostanzialmente corretti: Colombo stimava in appena 4400 km la distanza dalle Isole Canarie alla costa asiatica, un valore cinque volte più piccolo di quello reale.
La grande fortuna di Colombo fu che il suo viaggio venne molto ridotto, perché sulla strada per le Indie trovò le Americhe, altrimenti la sua spedizione sarebbe sicuramente perita in mezzo all'oceano, o sarebbe tornata indietro.

Colombo stesso non si rese conto di essere su un continente diverso da quello che si aspettava: pensava invece di essere arrivato in Giappone, e rimase di tale convinzione fino alla morte.
Alcuni anni dopo, Amerigo Vespucci divulgò l'opinione che si trattasse di un continente nuovo.



Giacinto Pannella, detto Marco, (Teramo, 2 maggio 1930) è un uomo politico italiano radicale, liberale, anticlericale, nonviolento ed antiproibizionista. Cofondatore del Partito Radicale e di Radio Radicale. Protagonista delle battaglie civili degli anni '70 e della fase di transizione tra la prima e la seconda Repubblica. Unico leader politico in Italia ad utilizzare costantemente i metodi di lotta politica nonviolenta resi popolari dal Mahatma Gandhi e dal reverendo Martin Luther King, ha praticato decine di scioperi della sete e della fame per affermare la legalità, il diritto alla vita e la vita del diritto. Ha inciso nella vita politica italiana attraverso l'utilizzo massiccio dello strumento referendario, promuovendo la raccolta di quasi cinquanta milioni di firme certificate e autenticate.

BIOGRAFIA
Inizio della carriera politica
Nato da padre abruzzese(Leonardo Pannella) e madre svizzera (Andrée Estachon), nel 1945 si iscrive al Partito liberale. Prima simpatizzava per i monarchici. Nel 1950 ne diviene incaricato nazionale universitario; due anni dopo è Presidente dell'UGI (Unione Goliardica Italiana, associazione delle forze laiche studentesche), divenendo poi anche Presidente dell'Unione nazionale degli studenti universitari (UNURI).

Fondazione del Partito Radicale
Nel 1955 si laurea in giurisprudenza all'Università di Urbino (voto 66/110) e fonda il Partito Radicale assieme ad Ernesto Rossi, Leo Valiani, Mario Pannunzio ed Eugenio Scalfari. Nel 1959, su "Paese Sera", propone l'alleanza di tutte le sinistre e l'ipotesi di un governo che comprenda anche il PCI. È lo stesso anno in cui rimuoverà Craxi dalla guida degli Universitari Italiani.
Nel 1960 è in difficoltà economiche, viene dal Belgio dove ha lavorato in una fabbrica di scarpe ma non ha il permesso per rimanere. Si presenta alla redazione de Il Giorno a Parigi, divienendone corrispondente.
Quando il Partito Radicale entra in crisi e rischia lo scioglimento, torna a raccogliere, assieme a pochi amici e aderenti alla corrente di "sinistra radicale", la difficile eredità e nel 1963 ne assume la segreteria. Nel 1965 ha fondato la LID (Lega Italiana Divorzio) che ha contribuito, nel 1970, a far approvare la legge Fortuna-Baslini. Intanto sviluppa un intenso dialogo con Aldo Capitini sul significato e le forme della nonviolenza, per il rinnovamento della politica, non solo in Italia. Nel 1968 è stato imprigionato a Sofia per avere protestato contro l'invasione russa della Cecoslovacchia. Nel 1972 ha contribuito ad ottenenere, anche con un digiuno, la legalizzazione dell'obiezione di coscienz

La battaglia per la legge sul divorzio
Il 1° ottobre 1965, il deputato socialista Loris Fortuna presentò una proposta di legge volta ad introdurre, in casi limitati, lo scioglimento del matrimonio. I radicali si resero conto che era possibile trasformare quello che per lunghi anni era stato un fatto privato in un problema di carattere sociale. Infatti, sommando i seicentomila separati legali con il milione e mezzo circa di separati di fatto, e con le altre migliaia di persone coinvolte nelle separazioni, complessivamente si arrivava ad almeno un dieci/dodici per cento della popolazione italiana in un modo o nell'altro direttamente interessata. Sicché tutte queste persone avrebbero potuto rappresentare un vasto potenziale di mobilitazione politica. Una tale situazione si presentava perciò come il terreno ideale per la sperimentazione della concezione che i radicali, guidati da Marco Pannella, avevano della politica e del partito: fare appello ai diretti interessati alle singole battaglie, individualmente, assicurando loro attraverso movimenti organizzati, o anche attraverso un vero e proprio partito, un modo per esprimersi politicamente. I radicali pensavano infatti che, nella società italiana, i costumi erano ormai, a metà degli anni Sessanta, molto più evoluti del diritto vigente. Dopo la presentazione del progetto di legge Fortuna, i radicali suggerirono dunque di organizzare un sostegno da parte dell'opinione pubblica, unico modo per evitare l'insabbiamento della questione. A questo punto furono decisamente aiutati dal fatto che il settimanale popolare "ABC" appoggiò subito l'iniziativa, assicurando così una vasta eco tra il pubblico, proprio lo scopo che i radicali si proponevano. Nel gennaio 1966 Marco Pannella e l'avvocato Mauro Mellini annunciarono la costituzione della Lega Italiana Divorzio o, più semplicemente, LID (Lega italiana per l'introduzione del divorzio). La struttura della Lega era disegnata come centro di coordinamento delle attività svolte in tutto il Paese, un organismo assai aperto ed informale, la cui novità principale stava nel fatto che i componenti della direzione nazionale, pur provenienti da partiti diversi, ne facevano parte a titolo personale e non come delegati della forza politica di appartenenza. La Lega, per riuscire nei suoi intenti, da una parte usò strumenti volti ad assicurare l'informazione sulle proprie attività e ad ampliare le adesioni, dall'altra si valse di pressioni dirette sui singoli parlamentari affinché si prodigassero per accelerare l'iter parlamentare della legge sul divorzio. Allo scopo furono pubblicati alcuni fogli, senza periodicità fissa, fino ad una tiratura di centocinquanta mila copie: "Battaglia divorzista", organo ufficiale della Lega, "Il divorzio" e "Notizie LID". La LID nazionale organizzò poi alcune manifestazioni di massa con i rappresentanti dei partiti laici, riuscendo a raccogliere varie migliaia di partecipanti. Finalmente, nel 1970, una maggioranza parlamentare che comprendeva tutti i partiti di ispirazione maggiormente laica, dal PCI e dal PSI fino al PLI, approvò la legge sul divorzio, ricordata anche con il nome di "legge Fortuna-Baslini".


Parlamentare
Nel 1973 Pannella fonda e dirige il quotidiano "Liberazione", che uscirà dall' 8 settembre 1973 al 28 marzo 1974. Nel 1974 ha contribuito al mantenimento del divorzio nel referendum, tenutosi nel maggio di quell'anno (promosso da movimenti d'ispirazione cattolica), nel 1978 ha quasi vinto quello contro il finanziamento pubblico dei partiti. A partire da questo periodo Pannella sviluppa la riflessione sulla depenalizzazione dell'uso delle droghe. Nel 1975 si è fatto arrestare per uno spinello e, da allora, chiede la legalizzazione delle droghe.
Nel 1976 è entrato in Parlamento, due anni dopo ha strappato la legge sull'aborto. In questi anni sostiene una linea di forte opposizione alla amplissima maggioranza parlamentare incentrata sull'accordo tra DC e PCI, che definisce polemicamente "ammucchiata". A questo periodo risale anche la nascita, e la successiva diffusione sull'intero territorio nazionale, di Radio Radicale, prima emittente nazionale a trasmettere in diretta i dibattiti del Parlamento, i congressi dei partiti politici e delle associazioni sindacali e i più importanti processi penali.
Dal 1979 è europarlamentare e, fino al 1985, si è battuto contro la fame nel mondo. Ha organizzato, con altre forze politiche, i referendum anti-caccia e anti-nucleari. Nel 1985 ha contribuito alla nascita delle Liste Verdi, anche mettendo a disposizione del movimento ambientalista il simbolo elettorale del Sole che ride. Verso la fine degli anni Ottanta è stato il promotore della trasformazione del Partito Radicale in partito "transnazionale" e "transpartito", partito che da allora in poi concentrerà la sua azione politica verso gli obiettivi dell'abolizione della pena di morte in tutto il mondo, dell'affermazione universale dei diritti umani e della democrazia, dell'istituzione di un tribunale internazionale, in ambito ONU, in grado di sanzionare i crimini di guerra e i crimini contro l'umanità. Dal 1986 chiede leggi elettorali maggioritarie e uninominali. Ha fatto eleggere deputati Leonardo Sciascia, Toni Negri (campagna per la giustizia sul c.d. processo "7 aprile"), Enzo Tortora (campagna per la "giustizia giusta"), Cicciolina (con la collaborazione decisiva di alcuni quotidiani alla ricerca di sensazionalismo, in particolare La Repubblica di Eugenio Scalfari) e Domenico Modugno.
Non tutte queste candidature portano fortuna al suo partito. Toni Negri ne approfitta per fuggire in Francia, e Cicciolina si limita a dare scandalo senza contribuire realmente alla causa radicale. Nell'elezione successiva, Cicciolina ha anche fondato, con altre pornostar il c.d. Partito dell'Amore, che non ha ottenuto deputati.
Nel 1992-'93 ha promosso e vinto, insieme con il parlamentare democristiano Mario Segni e con altri rappresentanti politici, il referendum sul sistema elettorale per l'elezione dei deputati e dei senatori. Tale successo politico ha determinato il passaggio dal sistema elettorale proporzionale puro ad un sistema elettorale ibrido, per tre quarti maggioritario uninominale, per la parte restante ancora proporzionale. In quegli stessi anni, ulteriore significativa vittoria è stata ottenuta da Pannella con la amplissima prevalenza dei sì nel referendum, sempre promosso dal movimento Radicale, per l'abolizione del finanziamento pubblico dei partiti (lo stesso quesito referendario era stato sottoposto al voto degli elettori nel 1978 e perso per pochi voti), ma tale finanziamento è stato sostanzialmente reintrodotto pochi anni dopo dalla grande maggioranza delle forze politiche.

 
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la peggio gioventù
view post Posted on 21/1/2007, 14:54     +1   -1




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Sandino, César Augusto "il generale degli uomini liberi"

Generale e patriota del Nicaragua (Niquinohomo 1893-Managua 1934). Ingegnere minerario, divenne uno dei capi della rivolta contro i governi di Chamorro Vargas (1926)
e Díaz (1926-28). Nel 1928 non accettò la presidenza imposta dagli U.S.A. di José María Moncada e si dette alla guerriglia, tenendo in scacco per molti anni i marines statunitensi. Dopo l'elezione di Sacasa (1932) e il ritiro delle truppe americane (1933), Sandino depose le armi in seguito a un accordo con il nuovo governo, ma fu ucciso da uomini
della Guardia Nazionale su istigazione dell'ambasciatore statunitense Arthur Bliss Larre.

 
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mok 88
view post Posted on 21/1/2007, 15:38     +1   -1




Claus von Stauffemberg

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Nato a Jettingen, allora in territorio tedesco, nel 1907, von Stauffenberg non aveva pienamente aderito al Nazismo; allo scoppio della Seconda guerra mondiale combatté in Africa col grado di colonnello ma il 7 marzo venne gravemente ferito a causa dello scoppio di una mina. Il famoso chirurgo Ferdinand Sauerbruch riscì a salvargli la vita, ma perse comunque la mano destra, l'occhio sinistro e tre dita della mano sinistra.

Pur così ridotto, von Stauffenberg continuò a prestare servizio nell'esercito, ma con animo risolutamente antinazista: infatti da quel momento si dedicò al tentativo di liberare la Germania da Hitler, dopo essersi reso conto che questi stava portando il proprio paese verso la sconfitta; si trova dimostrazione di ciò in una lettera che invia alla moglie nel marzo del 1943: "Sento il dovere di fare qualcosa per salvare la Germania. Noi tutti, ufficiali dello Stato Maggiore, dobbiamo assumere la nosta parte di responsabilità".

Nello stesso periodo, in un'altra lettera, espresse il parere che, anche se il tentativo di fare un attentato a Hitler fosse stato destinato al fallimento, "lo si deve compiere egualmente: la cosa importante è dimostrare davanti al mondo e davanti alla storia che il movimento di resistenza tedesco è esistito e che ha osato passare all'azione, a prezzo della vita".

Fu così che fu ordita la congiura degli ufficiali tedeschi contro il Führer; l'attentato fu fissato per il 20 luglio 1944 e venne denominato "Operazione Walkiria": la bomba, contenuta all'interno di una valigetta, fu posizionata vicino a Hitler dallo stesso von Stauffenberg, ma venne spostata da qualcuno alcuni metri più lontano facendo così fallire l'attentato.

I congiurati vennero fatti arrestare dalle SS e dalla Gestapo, così come tutti coloro che in qualche modo erano venuti a contatto con loro. Gli arrestati furono torturati per ottenere rivelazioni, poi vennero trucidati, spesso senza nemmeno un processo.

Anche von Stauffenberg fu arrestato e fatto fucilare assieme agli altri congiurati nella stessa notte del 20 luglio 1944 nel cortile del Bendlerblock, sede del Comando Supremo dell'Esercito a Berlino. Fu poi detto che prima di essere ucciso, lo Stauffenberg avesse gridato: "Lunga vita alla Germania libera". Su ordine del Führer, tutti i membri delle famiglie dei colpevoli dovevano essere eliminati: questo portò anche all'arresto, alla deportazione e uccisione di molti innocenti, che avevano la disgrazia di condividere il nome, anche senza essere parenti, dei congiurati. Per quanto riguarda la famiglia von Stauffenberg il fratello maggiore, Berthold, fu giustiziato; la moglie di Stauffenberg, Nina, ed i suoi cinque figli furono arrestati dalle SS e stavano per essere poi giustiziati, ma furono salvati dall'arrivo delle truppe alleate.

 
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la peggio gioventù
view post Posted on 21/1/2007, 16:12     +1   -1




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San Rocco
(Montpellier?, 1345/1350? - Montpellier?, 1376/1379?) è venerato come santo dalla Chiesa cattolica. Su di lui gli agiografi non sempre sono stati concordi, perfino sulle date di nascita e morte.

Gli agiografi concordano che sia nato a Montpellier, in Francia, forse da famiglia agiata. Perduti i genitori in giovane età, distribuì i suoi averi ai poveri e s’incamminò in pellegrinaggio verso Roma.

Rocco arrivò in Italia durante un'epidemia di peste, in luoghi attaccati dal contagio. Probabilmente si tratta dell'epidemia di Peste Nera che intorno alla metà del Trecento devastò l'intera Europa, ma che già prima e anche dopo continuò a manifestarsi qua e là. Rocco, arrivato ad Acquapendente, presso Viterbo, si stabilì nel lazzaretto per curare i malati. In seguito, prima di proseguire per Roma, si fermò a Cesena e a Rimini per altre epidemie, occupandosi di malati che, a volte, venivano abbandonati persino dai familiari. Molti malati guariscono in un modo che viene ritenuto

Giunse infine a Roma, dove rimase tre anni, passando da un ospedale all'altro. Qui, secondo una leggenda agiografica, curò, fino ad ottenerne la guarigione, un cardinale, che lo presentò al papa. Per qualche agiografo il cardinale sarebbe Anglico de Grimoard, anche lui della zona di Montpellier e fratello del papa avignonese Urbano V, che era tornato a Roma nel 1367), riandando via tre anni dopo. Se è così, cade l'ipotesi di un Rocco nato a fine Duecento ed in piena gioventù durante il soggiorno a Roma. Anglico de Grimoard, infatti, cardinale nel 1366, visse a Roma tra il 1368 e il 1371).

Anche il ritorno da Roma a Montpellier fu interrotto da un'epidemia di peste, scoppiata a Piacenza. Rocco vi si fermò ma, mentre assisteva gli ammalati dell’Ospedale di Santa Maria di Betlemme, venne contagiato. Allora, forse allontanato dagli altri ammalati dell'ospedale, si sarebbe trascinato fino ad una capanna lungo il fiume Trebbia per morire in solitudine. La tradizione vuole che un cane, che tanti artisti dipingeranno al suo fianco, lo abbia nutrito portandogli del pane, attirando così l'attenzione del padrone del terreno, il nobile Gottardo Pollastrelli, sullo sconosciuto giacente nella capanna. Rocco, soccorso e curato dal signore, poté guarire.

Tornato a Montpellier, però, nessuno lo riconobbe: scambiato per un malfattore, finì in carcere senza ribellarsi, per cinque anni, fino a morire trentaduenne, il 16 agosto di un anno imprecisato (un'altra tesi,secondo cui sarebbe morto in carcere ad Angera, sul Lago Maggiore, è meno attendibile).

Nel secolo successivo, attraverso vicende controverse, i suoi resti (o gran parte di essi) furono portati a Venezia, trovando definitiva collocazione nella chiesa a lui intitolata. Successivamente una reliquia fu donata alla città di Montpellier.

Venne canonizzato nel 1584 da papa Gregorio XIII, che ne fissò la sua festa al 16 agosto.
 
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