VIVERE ULTRAS forum: I colori ci dividono, la mentalità ci unisce! (dal 23/01/04)

Personaggi Storici

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la peggio gioventù
view post Posted on 22/1/2007, 12:06     +1   -1




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Michael Wittmann
(22 aprile 1914 - 8 agosto 1944) ufficiale delle Waffen-SS, è considerato uno dei più capaci e combattivi comandanti di carri armati della seconda guerra mondiale.

Nato a Vogelthal da una famiglia di contadini, nel 1937, dopo aver svolto il servizio militare, si arruolò nelle SS, entrando a far parte della "Leibstandarte". La sua notevole prestanza fisica e il suo coraggio dimostrato a più riprese al comando di un'autoblinda dell'unità di ricognizione della "Leibstandarte", ne determinarono l'assegnazione al comando di uno dei primi Sturmgeschütz III (cannone d'assalto) assegnati all'unità delle SS.

Nei primi giorni dell'invasione dell'Unione Sovietica nel 1941, Wittmann si trovò con il suo Sturmgeschütz III isolato dal proprio reparto mentre sopraggiungeva una colonna di carri nemici; il terreno ondulato permetteva comunque al semovente tedesco di non essere scorto dai russi: Wittmann ne approffitò per tendere un'imboscata all'unità nemica, riuscendo a distruggere tre dei sei mezzi corazzati sovietici, prima di ritornare al proprio reparto. In seguito, durante i furiosi combattimenti per la conquista di Rostov nell'autunno del 1941, Wittmann rimase ferito due volte.

La sua abilità e il suo coraggio gli valsero l'ammissione alla SS-Junkerschule di Bad Tölz, dalle quale Wittmann uscì il 21 dicembre 1942 con il grado di SS-Untersturmführer.

Nel frattempo la "Leibstandarte" aveva ricevuto una compagnia di carri Tigre. Trasferito allo Schwere SS-Panzer-Abteilung 101, Wittmann si distinse ben presto come il più temibile cacciatori di carri dell'unità. Agli inizi del 1943 nel settore di Bielgorod, dopo soltanto cinque giorni di combattimento, Wittmann era riuscito a distruggere 30 carri T-34 e 28 cannoni anticarro russi. Il 9 gennaio 1944, dopo aver distrutto il 66° carro, fu proposto per la Croce di Cavaliere che gli venne consegnata il 14 gennaio successivo, quando, nel frattempo aveva portato a 88 il numero di carri distrutti, ciò gli valse, il 30 gennaio le foglie di quercia.

Assunto il comando della seconda compagnia dell'unità Tiger della "Leibstandarte", Wittmann assunse fama internazionale il 13 giugno 1944, quando in appena un'ora distrusse 21 carri armati e altri 28 veicoli corazzati della 7. Divisione Corazzata Inglese, presso il villaggio di Villers-Bocage.

Il mese successivo, l'8 agosto, durante l'Operazione Totalize, Wittmann morì insieme ad altri 3 membri del suo equipaggio, non prima di aver ottenuto il maggior numero di vittorie nella storia per l'equipaggio di un carro armato, con la distruzione di più di 270 veicoli nemici.

Diverse sono le teorie circa la morte di Wittmann: da un lato si sostiene che il suo carro sia stato colpito da un carro Sherman della 33. Brigata Corazzata; mentre altre fonti sostengono che il carro sia stato colpito da un razzo lanciato da un Hawker Typhoon.
 
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Genoa1893
view post Posted on 22/1/2007, 12:46     +1   -1




EVA MARIA DUARTE PERÒN
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cenni biografici

Eva Maria Duarte nasce a Los Toldos, in Argentina il 7 maggio 1919, figlia illegittima e di famiglia povera. Soffre molto la sua condizione di figlia illegittima, soprattutto perché, spesso viene allontanata dagli altri .

Fin da bambina emerge una forte personalità, sente dent ro di sé la volontà di riscatto, si sente diversa e vuole rimanerlo. Fin dagli anni della scuola Eva sente una forte attrazione per la recitazione e cova dentro di se il desiderio di divenire attrice.

A 15 anni, nel 1935, Eva parte e si trasferisce a Buenos Aires, lasciando la madre e la famiglia per tentare la carriera di attrice teatrale, prima, e radiofonica poi. Si narra di un'Evita poco fortunata, dalle doti mediocri, spesso povera e ridotta quasi alla fame. Ma la tenacia e la volontà di arrivare, la spingono ad andare avanti tra mille difficoltà.

Nel 1939 Eva comincia una serie di programmi radiofonici che le porteranno la celebrità; si alterna nei ruoli di eroine come Caterina di Russia e in quelli di ragazze semplici che si innamorano di giovani altolocati e, dopo storie ed episodi strazianti, riescono a realizzare il sogno.

Alla fine del 1943 Eva conosce Peròn, e il 22 gennaio 1944 i due si rincontrano al Festival del Luna Park di Buenos Aires dove, si dice, abbia inizio la loro storia d'amore. Peròn la ricorda così: " Aveva la pelle bianca ma, quando parlava, il volto le si infiammava. Le mani diventavano rosse a forza d'intrecciarsi le dita. Quella donna aveva del nerbo".

Nel 1945 partecipa all’organizzazione della manifestazione per la liberazione di Peròn, allora Vicepresidente del governo, imprigionato ed allontanato dal potere da una parte delle forze armate. Eva si adopera per mobilitare i descamisados, i poveri argentini, gli operai e i sindacati. Una folla enorme e tutt’altro che rassegnata scese in piazza e, a furor di popolo, Peròn viene liberato.

Alla fine del 1945 Eva e Peròn si sposano e, nel febbraio del 1946, Peròn viene eletto Presidente dell'Argentina.

Eva, da allora assunse un ruolo fondamentale. Si impegnò in battaglie politiche e sociali, la troveremo immersa in opere di volontariato puro, di assistenza e nel ruolo di Ministro. Da Eva comincia a nascere la "Evita" e dall'attrice radiofonica comincia a nascere la Dama de la speranza.

1947 Evita visita l'Europa; si reca in Spagna, in Italia, in Francia e viene ricevuta dal Papa in Vaticano.

1948: Viene creata la fondazione Eva Peròn, che avrà poteri illimitati e campo d'azione senza confini e rappresenterà un nuovo modo di gestire le opere di assistenza sociale. Grazie al suo lavoro intenso ed appassionato, Evita si guadagnerà di giorno in giorno l'amore e l'adorazione delle masse popolari.

1951 La Confederatiòn Generale de Trabajo propone la candidatura di Evita alla Vicepresidenza.

Il 31 agosto Evita è costretta a rinunciare ufficialmente per motivi di salute, in realtà per l'ostilità dell'esercito.

26 Luglio 1952: Evita muore dopo una lunga malattia.

1955 La salma di Evita viene trafugata e scompare senza lasciare traccia. Viene riconsegnata a Peròn nel 1971 quando era in esilio a Madrid. Solo nel 1974 tornerà in Argentina.

EVITA IN EUROPA

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"Evita rappresenterà le donne argentine in Europa. E noi vogliamo che sia bellissima. Il consiglio che vorremmo darle è quello di pettinarsi con i capelli raccolti, lo chignon è la pettinatura che le sta meglio. Potrebbe dirglielo lei, da parte nostra?": Così un gruppo di donne umili, dalla pelle scura, vestite poveramente, si recarono alla vigilia della partenza di Evita come "ambasciatrice straordinaria" nel Vecchio Continente nella redazione di "Democracia" con la speranza di incontrare la dama della speranza.

Dopo il '46, anno dell'elezione a presidente di Peròn, infatti, Evita diventa la "regina" d'Argentina; da quel momento in poi collaborerà con tutte le sue energie alla causa peronista, e nel '47 sarà la protagonista di una trionfale visita in Europa: in Spagna, Italia, Francia ed infine dal Papa, evento lungamente preparato dalla diplomazia argentina che suscitò vasta eco. I giornali dell'epoca ne danno un resoconto entusiasmante. "Riporto da Roma - dirà la moglie del presidente argentino - un'impressione indimenticabile: in Vaticano tutto respira santità".

Il 6 giugno ‘47, dunque, Evita prende l'aereo per la Spagna, un viaggio "simbolico" e politicamentensignificativo: tornare alle origini con un pellegrinaggio interiore unito alla nostalgia per le sue origine basche. Evita si recava in Europa - si disse all'epoca - per lanciare un "arcobaleno di bellezza" tra i due continenti. E così fu. Tre giorni prima della partenza, però, non mancò di inaugurare il primo dei suoi "pensionati di transito". Un giorno - si legge in tutte le sue biografie - era arrivata a Buenos Aires senza avere un letto dove andare a dormire, adesso altre ragazze come lei avrebbero avuto tutto quello che a lei era mancato. E questo divenne ben presto l'unica ragione della sua brevissima vita, stroncata all'età di 33 anni.

L'accoglienza in Spagna fu regale, come nel resto d'Europa. "La piazza - scrive la Ortiz nella sua biografia "Evita un mito del nostro secolo" - era sempre nera di gente, un fenomeno che al passaggio di Eva si ripeté dappertutto... Più Evita va a sud e più suscita l'idolatria".

Il suo amore viscerale per gli umili e i diseredati non tardò ad esprimersi: a Madrid si intestardì a voler visitare con un caldo infernale i quartieri poveri della città. Agli uomini dal volto scavato chiedeva se avessero un lavoro, si interessava alle malattie degli altri, regalando pesetas e ripetendo incessantemente che non si trattava di carità, ma di giustizia sociale. I poveri - ripeteva - hanno il dovere di chiedere". La sorella, dopo la sua morte, raccontò che Evita non piangeva praticamente mai: "Non versò una lacrima quando seppe che stava per morire, ma di ritorno dall'Argentina, pianse disperatamente mentre annunciava la sua decisione di dedicarsi ulteriormente ai poveri. Pianse quando concesse la pensione ai vecchi. Pianse davanti alla miseria degli abitanti di un villaggio della Cordigliera delle Ande”.

Durante la visita all'Escorial, l'ingenua e istintiva Evita commentò a voce alta: "Quante stanze! Ah, che bel pensionato per orfani si potrebbe fare".

Dopo la Spagna fu la volta dell'Italia. Il 26 giugno '47 prese l'aereo per Roma esclamando: "Adiòs Espana mìa". All’aeroporto della capitale italiana la aspettavano il conte Carlo Sforza, ministro degli Esteri del governo De Gasperi, insieme alla moglie e ad alcuni esponenti del Vaticano. Di fronte all'ambasciata, in piazza dell'Esquilino, Evita fece fronte con austerità e coraggio alla contestazione della cellula comunista che aveva sede di fronte. Il giorno dopo si consumò la visita ufficiale da Pio XII. Il Papa pronunciò qualche parola in spagnolo per benedire la moglie del presidente e poter dire che seguiva con attenzione "il lavoro di Peròn suo figlio prediletto", poi regalò ad Evita un rosario d'oro. Il colloquio durò venti minuti: alla madonna dei descamisados era stato riservato lo stesso tempo dedicato alle regine. All'indomani dell'incontro con il pontefice Evita ricevette a nome di Peròn la gran croce di San Gregorio Magno. Durante un ricevimento offerto da un'associazione femminile rinnovò il suo sostegno per il voto alle donne. " Il mio nome - disse - è diventato il grido di riconoscimento delle donne di tutto il mondo. E' giunto il momento di avere gli stessi riconoscimenti degli uomini". Ma la sua vera ossessione era l'opera sociale ed il volontariato.

Al ritorno in Argentina dirà a Peròn: “L'Europa è vecchia: i palazzi sono molto belli... ma per farne degli ospedali". Dopo l'Italia il viaggio proseguì a zig-zag: Lisbona, Parigi, Costa Azzurra, Svizzera, ancora Lisbona per volare a Dakar dove prenderà la nave per l'Argentina. In Francia la notizia del suo arrivo - racconta sempre la Ortiz - provocherà reazioni alla francese: una via di mezzo tra la galanteria e l'ironia. Certo è che anche lì fu un vero successo: alla piccola Eva Duarte, problemi politici a parte tra Francia e Argentina, venne consegnata la Legione d'Onore. L'ultimo giorno Evita visitò Versailles e la tomba di Napoleone di cui aveva grande ammirazione. La sua visita ebbe come conseguenza inaspettata: il cambiamento del nome di una stazione della metro che da "Obligado" diventò "Argentine". Evita precisò senza supponenza che Obligado non era stata una vittoria dei francesi, come essi amavano credere, ma degli argentini. L'Europa la ricevette come non ha mai ricevuto nella storia nessun'altra donna.

EVITA PERÒN

Le umili origini di Eva, l'indigenza vissuta per molti anni la portano ad occuparsi subito dei poveri, dei meno fortunati, del popolo vero e proprio. Sa benissimo che quando si è poveri il tempo passa in fretta, ed in fretta si deve agire. In un garage del palazzo presidenziale

Evita raccoglie beni di ogni genere da distribuire ai bisognosi, chiama questo luogo "Negozio delle delizie", dove ogni cosa viene rigidamente classificata. Subito si instaura con la sua gente un rapporto speciale; arrivano lettere da ogni parte del paese ed Evita vive per accontentare ognuna di esse dalle più importanti alle più frivole.

In questo momento è la passione della donna a prevalere, ancora il senso rivoluzionario del suo agire non si è messo in mostra. Si pensa al quotidiano, ad intervenire con "il cuore" con uno spontaneismo molto forte ma ancora poco efficace.

Dopo il viaggio in Europa Evita torna in Argentina e si mette all'opera, con una forza ed una determinazione senza eguali.

La personalità di Evita comincia ad emergere, comincia a scendere in campo, a dare battaglia e a rivoluzionare tutto ciò su cui mette mano. Il 23 settembre 1947 presenta la legge che riconosce il diritto di voto alle donne, una grossa vittoria per lei, talmente importante che l'11 novembre del 1951, già malata e reduce da una crisi molto forte, un'urna elettorale venne portata ai piedi del suo letto. Era la prima volta in cui le donne argentine partecipavano alle elezioni. "Ecco, ho votato" disse e scoppiò a piangere per l'emozione.

Nel 1949 venne istituita ufficialmente la Fondazione Eva Peròn, opera di assistenza sociale, uno strumento fondamentale che funzionò fino al 1955, anno della caduta di Peròn.

Costruì mille scuole e 18 pensionati in provincia, 4 policlinici a Buenos Aires e altri 9 sempre in provincia. Fondò la città dei bambini, dove i bambini poveri venivano ospitati per potersi finalmente sentire in un mondo a loro dimensione, il quartiere degli studenti, la casa per le ragazze nubili, per le impiegate..."Quante volte le sue visite ad ore assurde per controllare le condizione dei bambini, il cibo, le provviste...".

Grandi opere, importantissime, ma grandi soprattutto nel modo in cui venivano realizzate. In ogni angolo, in ogni sala si respiravano e pulsavano l'amore e la passione per la propria gente. Nessuno di questi edifici poteva risultare freddo o anonimo. Questo il grande dono di Evita: pensava al popolo come a se stessa.

La casa dei bambini, per esempio, non era un edificio a se stante, ma una vera e propria cittadella in miniatura, dove i colori, i disegni, la forma delle finestre, i tetti rossi, facevano percepire serenità e spensieratezza, sentimenti che i bambini dovevano sentire e assaporare dentro di loro.

Lo stesso rispetto, gli stessi sentimenti venivano trasmessi verso gli anziani. I pensionati, le colonie estive, l'approvazione dello statuto degli anziani, fanno sentire in modo forte un nuovo legame che unisce il popolo argentino. Un legame trasversale, che attraversa le generazioni, i ranghi sociali, i ruoli.

Si dice che Evita, il giorno della promulgazione dello Statuto, quando consegnò per la prima volta le pensioni a 1000 pensionati pianse, insieme a loro. Pianse per la gioia di poter assicurare una vecchiaia serena agli anziani argentini, per aver costruito pensionati talmente a misura d'uomo, da desiderare di trascorrere in quel luogo ed insieme a loro, la sua vecchiaia.

E ancora sorsero la casa dell'impiegata, il sindacato delle domestiche, le colonie turistiche che ospitavano fino a 3000 persone, tutte opere necessarie per accrescere il legame comunitario e solidaristico della gente. Questo è un merito fondamentale della politica di Evita. La sua opera non era soltanto un impegno a favore dei più deboli, dei suoi descamisados, ma la volontà precisa di radicare nel profondo del suo popolo un legame molto forte, un senso di appartenenza che travalicasse ogni rivendicazione sociale, uno spirito di unione talmente forte da trasformare la popolazione Argentina in un popolo unito.

Il 26 luglio del 1949, riemerge con forza la volontà di occuparsi delle donne, dei loro problemi, di seguirle da vicino. Questo rapporto, però, si evolve, diventa politico. Evita vuole rivoluzionare anche il ruolo delle donne nella vita politica. Comincia proprio quel giorno fondando il partito peronista femminile, alla cui presentazione accorsero 1000 donne argentine.

Riconosce le condizioni disagiate delle donne nella società argentina; vuole agire in favore delle lavoratrici, sottopagate e sfruttate. Sostiene che la condizione della donna, nella visione della complementarità e della differenza dei ruoli, e dei sessi, deve essere affrontata e risolta dalle donne stesse. Solo chi è attore e protagonista della vita sa affrontare ciò che deve sconfiggere. E' un po' il concetto che emerge dalla sua continua azione in sostegno dei poveri. Lei, che è stata povera, sa cosa vuol dire vivere da povera, cosa sognano i poveri, di cosa hanno realmente bisogno. Sa cogliere le sfumature, capisce che spesso, un gesto appropriato, un dono "frivolo" che accompagna quelli un po' più seri, può donare una felicità, una spensieratezza tali che aiutano a tornare alla propria vita con un “pizzico” di speranza in più.

"In politica la donna deve essere a fianco dell'uomo, ma senza mai permettergli di immischiarsi nei suoi affari..." sostiene Evita; un riassunto molto diretto del pensiero appena espresso.

Il Partito femminile era, in fondo, un'altra sfaccettatura della fondazione. L'aria che si respirava era la stessa, il medesimo spirito, le stesse le intenzioni di base. Era organizzato in province ed ogni delegata provinciale doveva occuparsi del territorio ed agire, riferire ed intervenire come, per e secondo il modo di essere incarnato da Evita. Aiutare il prossimo, rendersi utili alla comunità, agire, lavorare senza sosta e con furore, erano i requisiti delle delegate e le caratteristiche richieste da Evita. Costruire un movimento che trascini il popolo, che gli trasmetta energia, voglia di fare e di occuparsi degli altri per riaffermare, sempre e ancora più forte, l'identità di popolo. Nel 1951 Evita ottiene la presenza di 6 senatrici donne nelle liste elettorali peroniste, un'altra vittoria per un percorso politico sempre agguerrito e rivoluzionario.

Il 25 aprile del 1952 vengono elette 31 donne al parlamento argentino.

La fondazione e il partito femminile, però, non la allontanarono mai dal popolo. Continua ad operare come sempre ha fatto. Ogni giorno riceve migliaia di lettere, si reca, personalmente, presso le famiglie a portare i doni richiesti; si interessa dei bambini più poveri regalando beni di ogni genere e consegnandoli spesso di persona. Evita ha il forte bisogno di sentire il popolo vicino, di trasmettere se stessa e di farsi trasmettere emozioni spontanee, per continuare nella sua opera, senza fermarsi mai. Il tempo, ormai, passa veloce, la malattia avanza ed Evita sa che la fine è vicina. "Quante volte è intervenuta conducendo a casa sua, alla Residenza Presidenziale, dei bambini trovati per strada che si grattavano disperatamente per la scabbia..." "L'ho vista abbracciare i lebbrosi, i tubercolosi, i malati.. l'ho vista stringere tra le braccia degli straccioni e prendersi i loro pidocchi"...e ancora: "Non avevo mai avuto dei pantaloni perché eravamo molto poveri... il primo paio me l'ha dato Evita con le proprie mani mentre distribuiva vestiti ai poveri..."

I lavoratori, i sindacati che, per primi, l'avevano conosciuta quando Peròn era prigioniero, ebbero sempre un rapporto sui generis con Evita. Un rapporto di rispetto reciproco, di collaborazione e fiducia. I sindacati, spesso, inviavano beni alla fondazione; i lavoratori, in alcuni casi, devolvevano parte del salario per sostenere le opere della fondazione. Opere grandi, importanti che, comunque, avrebbero alleviato molte delle sofferenze cui erano sottoposti.

Nel 1950, in prossimità delle elezioni, si pensava, e molti si auspicavano, che la cand idatura di Peròn alla Presidenza coincidesse con quella di Evita alla vicepresidenza. Il 22 agosto era la data fissata per annunciare la candidatura di Evita, ma ciò non avvenne, l'ala militare peronista non volle sentir parlare di questa vicepresidenza ed Evita ebbe il compito di annunciarlo alla folla insistente che voleva sentire, da parte sua, l'accettazione della candidatura.

La malattia di Evita peggiorava ogni giorno di più. Sapeva che il male non l'avrebbe lasciata e si consumava lentamente, lavorando sempre di più per concludere le proprie opere. Il suo cruccio più grande era quello di lasciare Peròn, di non poter continuare ad affiancarlo, ad aiutarlo nell'opera di governo del popolo argentino. Spesso gli raccomandava i "suoi" poveri, temeva che nessuno se ne occupasse come lei.

La morte era sempre più vicina, il popolo cominciava a comprendere e, unito e sofferente, attendeva in strada che un miracolo si compisse. Il 26 Luglio 1952 Evita muore dopo una lunga malattia: nei giorni precedenti Peròn aveva capito che bisognava preparare il popolo alla morte di Evita, tacere la realtà non era più possibile. Un mormorio di preghiere colme di un 'intima speranza si alzava nelle strade, nei villaggi, dal nord al sud dell'Argentina. C'era qualcuno che era disposto ad offrire la propria vita in cambio di quella di Evita....Per tredici giorni il cuore dell'Argentina cessò di battere, la sua ultima volontà era stata quella di riposare in mezzo agli operai e, dopo mille difficoltà, i sindacalisti la accontentarono.

"Ho solo un'ambizione personale. Che il giorno in cui si scriverà il capitolo meraviglioso della storia di Peròn, di me si dica questo: c'era al fianco di Peròn, una donna che si era dedicata a trasmettergli le speranze del popolo. Di questa donna si sa soltanto che il popolo la chiamava con amore Evita"

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Grifoni*Ovunque
view post Posted on 22/1/2007, 12:54     +1   -1




AMEDEO BORDIGA

Amadeo Bordiga (Resina, NA, 13 giugno 1889 - Formia, LT, 23 luglio 1970). Uomo politico italiano e rivoluzionario comunista. Fu tra i fondatori del Partito Comunista d'Italia dopo la scissione avvenuta al Congresso di Livorno del PSI nel 1921. Critico dell'involuzione stalinista della Terza Internazionale e sostenitore di una nuova forma-partito (organico).

Scienza, arte, rivoluzione

La formazione di Bordiga fu di carattere scientifico. A differenza della quasi totalità dei politici moderni, egli sottopose fin da ragazzo la teoria politica a una visione scientifica piuttosto che il contrario (nelle sue opere della maturità sostenne che la scienza moderna è marcatamente influenzata dall'ideologia). Il padre Oreste, piemontese, fu uno stimato studioso di scienze agrarie, la cui autorevolezza era riconosciuta specialmente a proposito dei secolari problemi agrari del Mezzogiorno italiano. Lo zio paterno, Giovanni, fu matematico, esperto di geometria proiettiva, insegnante all'università di Padova, militante del radicalismo tardo risorgimentale (appassionato d'arte, fondò tra l'altro la Biennale di Venezia). La madre, Zaira degli Amadei, discendeva da una antica famiglia fiorentina e il nonno materno fu cospiratore nelle lotte risorgimentali. L'ambiente famigliare fu dunque fondamentale nella formazione del giovane rivoluzionario, che seppe fondere la scienza con l'arte, come ebbe a dire nel 1960 a proposito dell'intero movimento rivoluzionario. Con queste premesse, Bordiga si laureò in ingegneria al Politecnico di Napoli nel 1912. Aveva già conosciuto il movimento socialista al liceo, tramite il suo professore di fisica (Calvi) e nel 1910 aveva aderito al Partito Socialista Italiano.

Dal "Circolo Carlo Marx" alla fondazione del PCd'I

L’opposizione dei socialisti radicali alla Guerra di Libia lo vide in prima linea nelle assemblee e in piazza, come registrano i rapporti di polizia. Nell'aprile del 1912 fondò con alcuni giovani compagni il Circolo Carlo Marx, gruppo che uscì dalla sezione napoletana del PSI ma non dal partito, rientrandovi quando terminò il tentativo delle manovre bloccarde con i massoni. Sotto la sua influenza, la sezione napoletana del partito divenne il nucleo di una combattiva corrente che poco a poco si fece strada nei convegni locali della gioventù socialista e nei congressi nazionali del partito. Nello stesso tempo cresceva l'esperienza di lotta, vissuta in una delle aree industriali, quella ad Est di Napoli, che allora era tra le più sviluppate d'Italia.

Il suo rifiuto dell'approccio pedagogico alla politica divenne in quegli anni uno dei suoi cavalli di battaglia. Fu fin dall'inizio profondamente ostile alla democrazia rappresentativa, che considerava strettamente legata all'elettoralismo borghese: "Se esiste una totale negazione dell'azione democratica, essa va ricercata nel socialismo" (In Il Socialista, 1914). Fu contrario alla libertà di azione concessa ai parlamentari socialisti, che invece egli voleva porre sotto il diretto controllo della direzione del partito. Similmente alla maggior parte dei socialisti nei paesi mediterranei, fu avversario severo della massoneria.

Allo scoppio della guerra, nel 1914, si distinse per la sua campagna rigorosamente antimilitarista. Nel 1915 fu chiamato alle armi e dovette sospendere l'attività aperta contro la guerra. Esonerato dal servizio attivo per grave miopia, riprese l'attività politica presentando nel partito, nel 1917, una mozione contro la formula ambigua e fuorviante di "né aderire né sabotare". Destò grande sorpresa fra i dirigenti del partito il risultato della votazione: 14.000 voti per la mozione della Sinistra e 17.000 per quella degli altri raggruppamenti. Nell'agosto del 1917 Bordiga fu l'animatore della "Frazione Intrasigente Rivoluzionaria", della quale scrisse le tesi politiche, fatte accettare quasi all'unanimità al seguente congresso della Federazione Giovanile.

Allo scoppio della Rivoluzione russa nell'ottobre del 1917, aderì al movimento comunista internazionale e formò la "Frazione Comunista Astensionista" all'interno del PSI. La frazione si diceva astensionista in quanto si opponeva alla partecipazione alle elezioni borghesi e fu questa corrente, alla quale si affiancò quella torinese dell'Ordine Nuovo di Antonio Gramsci e Palmiro Togliatti, a uscire dal PSI a Livorno nel gennaio 1921 per formare il Partito Comunista d'Italia (Pcd'I). Era l'epilogo di una lunga divisione interna ai socialisti, che fin dal 1919 si erano trovati nel dilemma se accettare o meno interamente le condizioni poste da Lenin per entrare nella Terza Internazionale. Nel corso delle dispute su queste condizioni, Bordiga, partecipando al Secondo Congresso dell'Internazionale Comunista nel 1920, fece aggiungere 2 condizioni alle 19 già fissate da Lenin. Nonostante l'appoggio di Lenin ai comunisti italiani contro i riformisti del PSI, le posizioni astensioniste di Bordiga furono criticate dallo stesso Lenin in "L'estremismo: una malattia infantile del comunismo" (cui Bordiga rispose negli anni '60 con un saggio contro i falsificatori di Lenin).

Dalla guida del PCd'I all'emarginazione

Sotto la guida carismatica di Bordiga il Partito Comunista d'Italia si avviò ad essere un organismo assai dissimile dagli altri partiti che avevano aderito all'Internazionale. La composizione prettamente operaia non aveva prodotto la solita gerarchia interna piramidale con al vertice gli intellettuali. D'altra parte, la pur rigorosa disciplina interna non si fondava tanto su disposizioni statutarie quanto sul programma e su quello che proprio in quel periodo si stava configurando come "centralismo organico". Questo particolare assetto "naturale" fu spiegato e rivendicato già dal 1921 come elemento distintivo della Sinistra Comunista "italiana". In un articolo dello stesso anno, Bordiga chiarisce che il partito rivoluzionario si caratterizza per il fatto di essere già il progetto, la base fondante della società futura e da questa deriva la sua specifica natura e struttura, mentre rigetta ogni meccanismo interno mutuato dalla società presente.

Bordiga fu eletto nel Comitato Centrale del Pcd'I e vi rimase fino al suo arresto nel 1923. Nel giugno egli e gli altri dirigenti arrestati vennero sostituiti alla direzione del partito per ordini di Mosca. Assolto al processo, rifiutò di entrare nel comitato esecutivo. Nel 1926 partecipò al Congresso clandestino di Lione, dove la Sinistra fu messa in minoranza dai centristi allineati a Mosca (Gramsci, Togliatti, Terracini, ecc. si erano schierati con il campo che si stava delineando come stalinista) con vari espedienti, nonostante disponesse ancora della stragrande maggioranza dei voti congressuali.

Subito dopo il Congresso di Lione, in cui furono presentate le ultime tesi che la Sinistra Comunista poté scrivere in difesa dell'Internazionale, Bordiga partecipò al VI Esecutivo allargato dell'IC, dove tentò per l'ultima volta di intervenire in difesa dei principii fondanti di quello che doveva essere il partito mondiale. Nello stesso anno fu arrestato e inviato al confino sull'isola di Ustica, dove con Gramsci contribuì a organizzare la vita dei prigionieri. Al rilascio fu sempre più emerginato dall'attività politica finché nel 1930 venne espulso per aver difeso Leone Trockij nonostante le divergenze con lui. Per diversi anni non poté più svolgere politica attiva, controllato notte e giorno dalla polizia fascista

Il rapporto con Gramsci

Bordiga aveva un rapporto quasi paterno e protettivo nei confronti del giovane Gramsci, fisicamente poco adatto alla dura lotta politica del tempo, in ambiente di guerra civile. Cercava di assecondare come poteva "il suo lento evolvere dall'idealismo filosofico al marxismo". Non gli importava nulla che fosse stato interventista di guerra e gli fu amico anche nei momenti di dura polemica. Lo sarebbe stato anche se avesse conosciuto la sua corrispondenza segreta con Togliatti e gli altri centristi di minoranza alleati a Mosca che lavoravano alla liquidazione della Sinistra: essendo completamente estraneo alle manovre politiche sia concretamente che come mentalità, badava alla salvaguardia del partito rivoluzionario indipendentemente dalle sue componenti interne e dai numeri di iscritti che esse coinvolgevano. Quando il gruppo gramsciano si avvicinò alla Sinistra, reputò "leale" il titolo della sua rivista, che non parlava di Classe, Stato e Società come facevano i comunisti, ma genericamente di "Ordine Nuovo". Bordiga scherzava sulla concezione antideterministica di Gramsci, che ancora nel 1919 interpretava la Rivoluzione d'Ottobre come una specie di "miracolo della volontà umana", contro ogni determinismo delle reali condizioni economiche e politiche della Russia: "Solo a rilento Gramsci accettò le direttive marxiste sulla dittatura del partito e sulla stessa incidenza del sistema marxista, fuori dell'economia di fabbrica, in una visione radicale di tutti i rapporti di fatti nel mondo umano e naturale". Quando poi conobbe Lenin, racconta ancora Bordiga, "la cosa non restò senza effetto; maestro ed allievo non erano da dozzina". Gramsci ammetteva di non accettare tutto del marxismo e di maturare lentamente, tanto che rispose a tono: "Preferiremo sempre quelli che imparano lentamente capitoli del marxismo a quelli che li dimenticano". Ma ancora nel 1926, in margine al Congresso di Lione, quando ormai la Sinistra era liquidata, a una precisa affermazione di Bordiga, che ormai considerava un avversario da rimuovere, rispose: "Dò atto alla sinistra di avere finalmente acquisita e condivisa la sua tesi, che l'aderire al comunismo non comporta solo aderire ad una dottrina economica e storica e ad una azione politica, ma una visione ben definita, e distinta da tutte le altre, dell'intero sistema dell'universo anche materiale". Al confino insieme per qualche tempo a Ustica alla fine del 1926, Bordiga e Gramsci organizzarono una "scuola di partito" per prigionieri dove nessuna "materia" era esclusa. Di comune accordo, tenevano a turno "lezioni" in cui l'uno esponeva la materia secondo le tesi dell'altro, scherzando alla fine sul confronto delle eventuali manchevolezze di ognuno. (Le citazioni in corsivo sono memorie di Bordiga).

Il secondo dopoguerra

In seguito allo sbarco alleato e allo spostamento al Nord del fronte di guerra nel 1944, intorno a Bordiga si raccolsero i vecchi compagni del '21. Con la guerra ancora in corso, furono presi contatti clandestini con i compagni del Nord. Nell'immediato dopoguerra vi furono le prime riunioni congiunte, ma Bordiga rifiutò di far parte del partito se fosse rinato nuovamente sulle basi della vecchia Internazionale degenerata. Iniziò quindi a collaborare al periodico "Battaglia Comunista" (1945), organo del neo-costituito Partito Comunista Internazionalista. All'uscita della rivista "Prometeo" (1946), organo teorico dello stesso partito, scrisse sul primo numero un Tracciato d'impostazione che doveva servire da riferimento programmatico. Nel 1949 iniziò a scrivere la serie di 136 articoli "Sul filo del tempo", tesa a dimostrare la necessaria continuità fra le origini del movimento comunista e i compiti attuali. Sulla base di tale impostazione teorica scrisse una gran mole di articoli e saggi tendenti a dimostrare che l'URSS era da considerarsi un paese capitalista impegnato in un "industrialismo di stato". Questa posizione lo poneva in irriducibile contrasto con lo stalinismo ed il togliattismo, che sostenevano invece l'idea che in Russia si stesse "costruendo il socialismo in un paese solo".

Dal 1945 partecipò alquanto dall'esterno alla organizzazione del Partito Comunista Internazionalista. Affermò di non voler essere presente ad alcun convegno o congresso per non influenzare con il suo carisma ancora integro lo schieramento dei militanti (disse di non aver problemi a "militare", come stava facendo, ma non voleva assolutamente "generalare"). Alcuni articoli come Bussole impazzite furono scritti contro la confusione che regnava nel giovane partito, come anche l'abbozzo di tesi Natura funzione e tattica del partito rivoluzionario. Nel 1951 preparò con un certo numero di compagni di partito le Tesi caratteristiche sulle quali si consumò la scissione che diede vita ad un nuovo "Partito Comunista Internazionalista" ("Internazionale" dal 1964). Il nuovo organismo si basava sul "centralismo organico" già rivendicato negli anni '20, e ora più significativo che mai nel senso di un rifiuto del modello organizzativo della III Internazionale ("centralismo democratico") a favore di una compagine di lavoro che avesse finalmente la possibilità di realizzarsi. Continuava comunque a denunciare "da sinistra" l'URSS, rimanendo fedele al marxismo e a Lenin, criticando e denunciando lo stalinismo come corollario orientale degli Stati Uniti nella controrivoluzione mondiale.

Nel 1964-66 fissò in ulteriori tesi quelle che avrebbero dovuto essere le basi storiche e organizzative del partito rivoluzionario, coadiuvate dall'intenso lavoro di "difesa del programma" e di "restaurazione teorica" iniziato nell'immediato dopoguerra. Nel 1969 fu colpito da una paresi che lo rese semiparalizzato. Ciò non gli impedì di rilasciare una lunga intervista, nel giugno 1970, un mese prima di morire, quasi un testamento politico. Morì il 23 luglio del 1970.

qui trovate alcuni suoi scritti..
http://www.marxists.org/italiano/bordiga/index.htm

mentre qui altre "info"..
https://digilander.libero.it/diesel43/



 
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Fdru-Ce
view post Posted on 22/1/2007, 13:34     +1   -1




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James Connolly (5 giugno 1868 – 12 maggio 1916) fu un sindacalista e rivoluzionario irlandese.

Nato ad Edimburgo, Scozia, da immigrati irlandesi, lasciò la scuola per lavorare all’età di undici anni, ma ciononostante divenne una delle più importanti figure della sinistra del tempo. Raggiunse l’esercito britannico all’età di quattordici anni e fu stanziato a Dublino dove avrebbe più tardi incontrato la futura moglie. Nel 1892 era già una importante figura della Scottish Socialist Federation, con il ruolo di segretario dal 1895; già nel 1896 aveva abbandonato l’esercito e fondato l’Irish Socialist Republican Party. Connolly fu tra i fondatori del Socialist Labour Party che si divise dalla Social Democratic Federation nel 1903.

Braccio destro di James Larkin nell’Irish Transport and General Workers Union, fondò nel 1913 l’Irish Citizen Army (ICA), un gruppo armato e ben addestrato il cui compito era quello di difendere lavoratori e scioperanti, in particolar modo dalla brutalità della Dublin Metropolitan Police. Nonostante contassero al massimo su 250 membri, il loro obiettivo divenne presto l’instaurazione di una nazione irlandese, indipendente e socialista.

Nel 1916, considerando gli appartenenti all’organizzazione Irish Volunteers troppo borghesi e poco focalizzati sull’indipendenza economica dell’Irlanda e pensando che fossero poco risoluti nel prendere le armi contro l’Impero Britannico, tentò di spronarli all’azione minacciando di mandare il suo corpo minuto da solo contro l’impero, se necessario. Ciò allarmò i membri dell’Irish Republican Brotherhood, che avevano già infiltrato i Volunteers e che avevano dei piani per un’insurrezione quello stesso anno. I leaders dell’IRB, compresi Tom Clarke e Patrick Pearse incontrarono Connolly per vedere se un accordo potesse essere raggiunto. Si è detto che questi fosse stato rapito da loro, ma ciò si è rivelato poi falso. Comunque scomparì per tre giorni senza dire a nessuno dove era stato. Durante l’incontro l’IRB e l’ICA decisero di agire insieme a Pasqua di quell’anno.

Quando, il 24 aprile del 1916, la rivolta di Pasqua ebbe atto, Connolly era Comandante della Brigata di Dublino e, avendo la Brigata di Dublino un ruolo sostanziale nella rivolta, egli era de facto Comandante in Capo. Dopo la resa, fu giustiziato dagli inglesi per il suo ruolo, nonostante fosse stato ferito così gravemente durante i combattimenti da non riuscire a stare in piedi per l’esecuzione; fu così ucciso su una sedia. Gli sopravvissero la moglie e numerosi figli (tra cui Roddy Connolly).

La sua fama in Irlanda è legata per lo più al suo contributo per la causa nazionalista, mentre il suo marxismo è passato in secondo piano (nonostante alla sua figura come socialista si rifacciano molti partiti di sinistra e gruppi repubblicani di sinistra). Comunque gli scritti di Connolly dimostrano il suo essere, prima di tutto, un pensatore marxista; in molti dei suoi lavori si scaglia contro ciò che chiama il nazionalismo borghese di coloro che si definiscono patrioti irlandesi. Connolly fu tra i pochi politici di sinistra della Seconda Internazionale che si opposero alla Grande Guerra; ciò lo mise in contrasto con molti leader dei partiti europei di sinistra, ma al tempo stesso marcò la sua appartenenza al gruppo di coloro che si sarebbero più tardi chiamati comunisti, come per esempio Lenin. Era inoltre membro della radicale organizzazione Industrial Workers of the World.

Lenin fu un grande ammiratore di Connolly, nonostante i due non si siano mai incontrati. Egli infatti criticò gli altri comunisti, che avevano bollato la ribellione in Irlanda come borghese; secondo Lenin, infatti, nessuna rivoluzione era pura, ed i comunisti avrebbero dovuto unirsi con altri gruppi di insoddisfatti per rovesciare il preesistente ordine sociale. In Scozia il suo pensiero ha influenzato molto quello di socialisti come John Maclean, che combinò in modo simile idee politiche di sinistra con idee nazionaliste con la formazione dello Scottish Workers Republican Party. C’è una statua di James Connolly a Dublino, fuori dalla Liberty Hall, dove si trovano gli uffici della SIPTU Trade Union.
 
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la peggio gioventù
view post Posted on 22/1/2007, 13:48     +1   -1




Maria Pasquinelli

La storia d’Italia , soprattutto nei suoi frangenti più tragici e dolorosi, è costellata di grandi personalità, le quali seppero incarnare gli ideali più profondi in cui credevano, traducendo integralmente il pensiero in azione e comportamento; tali personaggi sono sconosciuti ai più,seppelliti in una profonda fossa dell’oblio dalla cosiddetta storiografia ufficiale, tanto più se provenienti dalla “parte sbagliata” rispetto al pensiero unico giacobino che ha contraddistinto per lunghi decenni, dal dopoguerra ad oggi, la rivisitazione dei fatti e delle vicende di quegli anni.
E’ il caso di Maria Pasquinelli, giovane protagonista di un esemplare episodio di strenua difesa dell’italianità delle terre istriano-dalmate, che si colloca nel quadro storico del Trattato di Pace siglato a Parigi il 10 febbraio 1947.
Maria Pasquinelli era nata a Firenze nel 1913, ma aveva vissuto a lungo a Bergamo, dove conseguì fra l’altro la laurea in pedagogia. Convinta fascista, frequentò a Roma la “scuola di mistica fascista” e nel 1940 decise di arruolarsi come infermiera al seguito delle truppe italiane in Africa. Il suo carattere di “pasionaria” la portò perfino a travestirsi da soldato e combattere in prima linea, giacchè, a dir suo, chi aveva predicato il combattimento non lo sosteneva adeguatamente e le truppe al fronte non erano animate da alcun ideale. Scoperta, fu fatta rimpatriare dai suoi superiori.
Nel 1942 chiese di essere inviata come insegnante in Dalmazia; insegnò lingua e letteratura italiana a Spalato fino al 1945, e successivamente a Pola.
La mattina del 10 febbraio 1947 Pola si era svegliata come in un incubo; la città era letteralmente in disarmo, i bar chiusi, le saracinesche abbassate; le poche persone che si incontravano per strada erano intente, con aria funesta, a stoccare i pochi averi sui carri, in vista di un tragico, imminente esodo.
Quella stessa mattina il generale De Winton, comandante delle truppe britanniche di stanza a Pola, si dirigeva presso la sede del comando. A Parigi avrebbe avuto luogo la firma del Trattato di pace da parte del governo italiano, e a lui sarebbe toccato il compito di procedere al più delicato degli adempimenti previsti dal trattato: la consegna dell’enclave di Pola alle autorità jugoslave.
Appena sceso dall’auto, De Winton venne affrontato da Maria Pasquinelli, la quale, estraendo dalle tasche una pistola gli sparò tre colpi al petto, freddandolo.
Nei primi tempi l’episodio fu fatto passare sotto silenzio, oppure frettolosamente liquidato come frutto di pazzia o di isterismo della Pasquinelli. Le vere ragioni di quel gesto sensazionale emersero invece solo diversi anni più tardi, quando Indro Montanelli, approfondendo la vicenda , venne in possesso di uno scritto autografo, trovato in tasca alla donna appena commesso l’omicidio, in cui venivano evidenziate le motivazioni che la spinsero a tale delitto. Ne riportiamo il testo: “ Io mi ribello, col fermo proposito di colpire a morte chi ha la sventura di rappresentarli, ai Quattro Grandi i quali, alla conferenza di Parigi, in oltraggio ai sensi di giustizia, di umanità e di saggezza politica, hanno deciso di strappare ancora una volta dal grembo materno le terre più sacre all’Italia, condannandole o agli esperimenti di una novella Danzica o con la più fredda consapevolezza, che è correità, al giogo jugoslavo, sinonimo, per la nostra gente indomabilmente italiana, di morte in foiba, di deportazioni, di esilio”.
Il 10 aprile, a Trieste, fra le grida di disapprovazione e di ostilità dei presenti, la corte alleata condannava a morte Maria Pasquinelli. Il giorno dopo la stessa città fu tappezzata da una moltitudine di manifesti tricolori, i quali recitavano: “Dal pantano d’Italia è nato un fiore, Maria Pasquinelli”. La Pasquinelli ottenne la commutazione della pena di morte in ergastolo e nel 1964 venne graziata. E’ tornata a vivere a Bergamo, sua città d’infanzia, dove ha cercato esclusivamente di farsi dimenticare.


 
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Genoa1893
view post Posted on 22/1/2007, 14:32     +1   -1




FORLANI BARBARA

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aveva venticinque anni. Barbara era una giovane maestra; frequentò il corso per le ausiliarie volontarie della RSI anche contro il volere dei genitori, per essere fedele ai suoi ideali di Patria e per assistere i combattenti; dalle sue parole s’intuisce tutto il travaglio di questa giovane donna che, consapevole della sorte che l'aspettava, non ha avuto tentennamenti della scelta compiuta.

Questa fu l'ultima lettera che scrisse a casa:

"mamma carissima, ieri ho avuto due vostre lettere. Sono stata veramente contenta di avere vostre notizie così recenti e dubito quando potrò averne ancora, perchè i nostri cari "ribellucci" da alcuni giorni fanno saltare il trenino che arriva a metà strada, da noi e compiono scorribande. Anche questa volta, mamma, hai voluto essere pungente nelle tue parole, ma io ora ti faccio una domanda: cosa devo fare per meritare il tuo perdono? io credo che riuscirei ad ottenerlo solo a questa condizione: venire a casa! E' così? Sappi mamma, che prima di intraprendere questo cammino ho molto, dico molto pensato e discusso da sola nelle notti insonni nella mia camera. Quanti quesiti mi sono posta. Risolvendoli sempre per la grande fede e l'amore che porto per te e per la mia cara Patria, con una sola soluzione: partire! La morte non mi spaventa, come mai mi ha spaventata. Non la temo. Le vado incontro giorno per giorno, ora per ora. L'unico mio rammarico sarebbe il trapasso senza il tuo perdono. Sia fatta, mamma, la tua volontà. Non ti chiederò più nulla. Me ne starò sola con le mie montagne. Confiderò loro, che sono più vicine al Giudice Supremo, le mie angosce, i miei dolori i miei crucci. Rina."



NICOLETTA MAINARDI
(volontaria della Xa)

Il boogie-woogie, colonna sonora dell'Italia che voleva lasciarsi alle spalle gli orrori e le ristrettezze della guerra, riempie la sala da ballo. La voce metallica di un altoparlante interrompe la musica. Nella palestra di corso Monte Grappa trasformata, più con la fantasia che con i mezzi, in un locale da ballo si diffonde questo appello: "L'ex ausiliaria fascista, Mainardi Nicoletta, è pregata di abbandonare la sala", un caldo giugno del 1945. Tra i ballerini cala il gelo. Una ragazza di vent'anni lascia il suo cavaliere e in tutta fretta si allontana, approfittando del momento di confusione.
Le ferite sono ancora aperte e per l'ex repubblichina non c'è tempo per riflettere: la festa è finita. Almeno per Nicoletta Mainardi: «E non fu la sola volta che la mia passione per il ballo ha rischiato di tramutare un pomeriggio diverso dal solito in una tragedia». Poche settimane dopo, infatti, la ragazza riesce a convincere nuovamente la madre ad accompagnarla nei locali della scuola di piazza Martinez, altra improvvisata balera. Qui, la giovane ex ausiliaria della Decima Mas, viene riconosciuta da un gruppetto di partigiani che le si avvicinano con un'aria alquanto minacciosa. La salva solo il pronto intervento di un inglese, al quale poco prima la giovane aveva raccontato la sua storia pericolosa di fascista intenzionata a non rinnegare la propria fede. Al gentleman che chiede cosa stiano facendo, i partigiani replicano: «E' una fascista» e lui, con humor tutto anglosassone commenta: «Finalmente una». Per la Mainardi è la salvezza. Poi, col passare delle settimane, la sete di «vendetta» si placherà e i successivi balli avranno tutti un andamento assai più tranquillo. Andava «normalizzandosi» la vita di quei ragazzi, e la ventenne Mainardi era tra questi, per i quali la guerra era iniziata allo scoccare del 25 aprile, quando per i loro coetanei era finalmente finita.
«Sono partita nel 1944 - racconta Nicoletta, genovese cresciuta in una famiglia di fascisti assai tiepidi - perché credevo in quegli ideali. Anche se la sconfitta si intravedeva ormai dietro l'angolo, mi sembrava giusto. E poi, a quell'età, la speranza esiste sempre». Alle spalle la classica trafila di chi è nato nel Ventennio: figlia della lupa, piccola italiana, studentessa della Gil. In quell'Italia del "dopo 8 Settembre", tutta inventiva e poche regole, il gruppo delle ausiliarie della Repubblica Sociale è davvero un'anomalia: qui ordine e disciplina restano in cima a tutto e la giovane genovese lo provò a sue spese: «Una notte in cella di rigore, che vergogna», dice, per un alzabandiera eseguito distrattamente.
Da Sondrio, nella Polizia di Frontiera, il passo successivo è al corso della X Mas, quella guidata da Junio Valerio Borghese. «Finito il corso la comandante generale del corpo femminile, Fede Arnaud, mi incarica della propaganda e dell'arruolamento nel nord Italia». Il sud è già in mano alleata, la linea Gotica assegna alla penisola destini diversi. Per l'ausiliaria Nicoletta Mainardi sono mesi di viaggi e un po' in treno e un po' in autostop, mai turbati da brutte avventure. E lei, che sogna di essere inviata in prima linea, ne soffre.
Si rifarà dopo il 28 aprile, quando la notizia dell'uccisione di Benito Mussolini e di Claretta Petacci rischia di far degenerare una situazione già molto difficile. I giorni dopo il 25 aprile e l'Italia liberata in festa, sorprendono le ausiliarie e i ragazzini della X Mas a Lonato, a pochi chilometri dal lago di Garda, dove si consumano gli ultimi giorni del Regime. Borghese organizza un'autocolonna e porta il suo giovanissimo esercito a Milano. "Qui - prosegue Nicoletta - per qualche giorno siamo rimasti asserragliati in due palazzi di piazzale Fiume, oggi piazza della Repubblica, a due passi dalla stazione centrale. Poi, il comandante riesce a trattare la resa con i capi partigiani e, ottenuta l'assicurazione che nessuno ci torcerà un capello, libera gli assediati".
Sono i giorni in cui, tra le vie di Milano, non è difficile imbattersi in donne rapate a zero, con la testa cosparsa di minio e con al collo il cartello con la scritta: fascista. Nicoletta, insieme a tre amiche, una di Sanremo, una di Vallecrosia ed una romana, si nasconde nel Piccolo Cottolengo di don Orione. «Noi raccontammo di essere delle studentesse, ma lì capirono immediatamente la realtà. In una stanza vicina alla nostra c'era una vecchietta che ci ripeteva: state attente. Scoprimmo il perché solo il giorno in cui due uomini armati e un prete vennero a prelevarla». Era la governante di Osvaldo Valenti e Luisa Ferida, i due attori della Repubblica Sociale, uccisi dai partigiani. «Capimmo di essere in pericolo e allora scappammo di nuovo». Era maggio. Il gruppo di amiche si separa. Una, la romana, finirà in campo di concentramento. Le tre liguri, invece, dopo un breve viaggio in treno fino a Pavia, capiscono che è meglio affidarsi all'autostop. A farle arrivare fino alle porte di Genova è proprio una jeep carica di partigiani.

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la peggio gioventù
view post Posted on 22/1/2007, 17:43     +1   -1




Robert Gerard “Bobby” Sands
(Rathcole, UK, 9 marzo 1954 - Lisburn, UK, 5 maggio 1981). Attivista politico britannico nordirlandese, deceduto durante lo sciopero della fame del 1981, nella prigione di Maze.

Nato del borgo nordirlandese di Rathcoole e cresciuto nel quartiere di Abbots Cross, a Belfast, si trasferì diverse volte con la sua famiglia a causa delle costanti intimidazioni subite dai Lealisti protestanti, nonostante non sia stato mai chiaro se i Sands fossero cattolici, dato che il loro cognome deriva dal nonno paterno di Bobby, che era protestante. Lasciata la scuola, Bobby Sands divenne un apprendista capo cantiere, finché non fu costretto a lasciare, per le minacce dei lealisti.

Nel 1972, all' apice dei tumulti aderì al PIRA (Provisional Irish Republican Army), ma nello stesso anno venne arrestato e rimase in carcere senza processo fino al 1976.

Al suo rilascio fece ritorno in famiglia, a Twinbrook nella parte ovest di Belfast, dove divenne un'attivista della comunità. Era fuori di prigione da solo un anno quando venne nuovamente arrestato. Anche se le accuse più gravi a suo carico vennero lasciate cadere, venne processato per possesso di armi da fuoco (lui e altri quattro erano in una autovettura nella quale venne rinvenuta una pistola) nel settembre 1977 e condannato a 14 anni di carcere.

Sands scontò la pena in uno dei bracci della prigione di Long Kesh, noto come H-Blocks. In prigione Sands divenne uno scrittore di giornalismo e poesia, i cui articoli vennero pubblicati dal giornale repubblicano An Phoblacht. Alla fine del 1980 Sands venne scelto come ufficiale comandante dei prigionieri dell'IRA a Long Kesh. Divenne anche un cattolico sempre più zelante, che un giorno (secondo lo scrittore e politico irlandese, Conor Cruise O'Brien) ricevette la visita di un sacerdote della Contea di Kerry che gli portò un'icona di "Nostra Signora", la quale, gli disse, avrebbe dato a Sands la forza di liberare il suo "popolo oppresso" (in Irlanda del Nord).

I prigionieri dell'IRA avevano organizzato una serie di proteste per cercare di riottenere lo status di prigionieri politici e non essere soggetti alle normali regole carcerarie. Queste iniziarono con la "protesta dei lenzuoli" nel 1976, quando i prigionieri si rifiutarono di indossare le uniformi e gli fu permesso di usare solo le lenzuola. La "protesta dello sporco" nel 1978, vide i prigionieri vivere nello squallore. Essi spalmavano gli escrementi sui muri delle celle, poiché venivano picchiati duramente dai secondini quando lasciavano le celle per andare al bagno. C'era stato già uno sciopero della fame nell'autunno 1980, che era terminato quando il governo britannico sembrò accettare le richieste dei prigionieri. Quando lo sciopero finì, il governo ritornò alla linea dura tenuta in precedenza.

Il secondo sciopero della fame iniziò quando Sands rifiutò il cibo il 1 marzo 1981. Sands decise che gli altri prigionieri avrebbero dovuto unirsi allo sciopero ad intervalli regolari, allo scopo di aumentare l'impatto "pubblicitari", con i prigionieri che peggioravano costantemente e morivano su un arco di molti mesi.

Poco dopo l'inizio dello sciopero, il membro del parlamento per Fermanagh & South Tyrone (un repubblicano irlandese indipendente) morì e si svolse un'elezione suplettiva. Sands venne nominato come candidato anti-H-Block, e vinse il seggio il 9 aprile 1981 con 30.492 voti, contro i 29.046 del candidato dell'Partito Unionista dell'Ulster, Harry West. Il governo britannico cambiò la legge non molto dopo, introducendo il Representation of the People Act. Questo proibiva ai prigionieri di partecipare alle elezioni, e richiedeva un periodo di cinque anni dal termine della pena, prima che un ex detenuto potesse candidarsi.

Tre settimane dopo, Sands morì di inedia nell'ospedale della prigione, dopo 66 giorni di sciopero della fame. L'annuncio della sua morte diede il via a diversi giorni di rivolta nelle zone nazionaliste dell'Irlanda del Nord. Oltre 100.000[1] persone si schierarono lungo il percorso del suo funerale. Sands fu membro del Parlamento di Westminster per venticinque giorni — uno dei mandati più brevi della storia. Lasciò i genitori, i fratelli e un figlio piccolo nato da una relazione che aveva avuto prima della sua ultima incarcerazione.

Altri nove uomini dell'IRA e dell'INLA che furono coinvolti nello sciopero, morirono dopo Bobby Sands. Gran parte dei repubblicani irlandesi e dei simpatizzanti dell'IRA guardarono a Sands e agli altri nove come a dei martiri che resistettero all'intransigenza del governo britannico, e molti nazionalisti irlandesi che disapprovavano l'IRA, furono scandalizzati dalla posizione del governo britannico.

La copertura mediatica che circondò la morte di Bobby produsse un nuovo flusso di attività dell'IRA, che ottenne molti nuovi membri e incremento la sua capacità di raccogliere finanziamenti. Molte persone si sentirono spinte ad aiutare a spezzare la connessione britannica aiutando l'IRA, non vedendo altre opzioni dato l'atteggiamento intransigente dei politici britannici nei confronti dell'Irlanda. I numerosi successi elettorali conseguiti durante lo sciopero spinsero il movimento repubblicano a muoversi verso la politica, e indirettamente spianarono la strada all'Accordo del Venerdì Santo e al successo del Sinn Féin molti anni dopo. Bobby Sands scrisse uno splendido libro in cui narra l'inferno del carcere e la tragedia dell'Irlanda in lotta intitolato "Un giorno della mia vita". Estremamente significativa e' la frase che pronuncio' Bobby Sands riferendosi agli anni della sua adolescenza: "Ero soltanto un ragazzo della working class proveniente da un ghetto nazionalista, ma è la repressione che crea lo spirito rivoluzionario della libertà. Io non mi fermerò fino a quando non realizzerò la liberazione del mio paese, fino a che l'Irlanda non diventerà una, sovrana, indipendente, repubblica socialista".

 
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Otello Celletti
view post Posted on 22/1/2007, 17:57     +1   -1




Günther Prienimage

Günther Prien (16 gennaio 1908 - 7 marzo 1941) fu uno dei dieci migliori assi degli U-boot tedeschi, nel corso della Seconda battaglia dell'Atlantico, durante la Seconda guerra mondiale. Sotto il suo comando il sottomarino U-47 affondò più di 30 navi Alleate per più di 200.000 t di tonnellaggio. Il suo "colpo" più importante, fu comunque l'affondamento della nave da battaglia inglese HMS Royal Oak ancorata a Scapa Flow.

Nato a Osterfeld, in Sassonia, Prien intraprese la vita di mare fin da giovane; nel 1925 sopravvisse al naufrago dell' Hamburg lungo le coste irlandesi. Ottenuto il brevetto di ufficiale della marina mercantine, fu però costretto ad abbandonare il servizo a causa della situazione disastrosa della marina tedesca a causa della Grande Depressione. Nel 1933 entrò nella Reichsmarine, servendo inizialmente sull'incrociatore leggero Königsberg, prima di essere trasferito agli U-boot nell'ottobre del 1935, venendo promosso nello stesso anno Leutnant zur See, e Oberleutnant zur See nel 1937. Nominato comandante di uno nuovi sottomarini Tipo VIIB, l'U-47, il 17 dicembre 1938, il 1 febbraio dell'anno successivo venne ulteriormente promosso Kapitänleutnant (tenente).

Il 14 ottobre 1939, rischiando di rimanere incagliato per il livello del mare poco profondo, schivando banchi sconosciuti, le correnti ingannevoli e le difese protettetive, il sottomarino di Prien riuscì a penetrare in una delle principali basi navali della Royal Navy a Scapa Flow. Sebbene gran parte della flotta interna inglese fosse allora in mare aperto, Prien riuscì ad affondare la nave da battaglia Royal Oak, là ancorata, causando la morte di 833 marinai britannici, e a far ritorno in Germania come un eroe. Insignito della Croce di Cavaliere della Croce di Ferro, divenne il primo membro della Kriegsmarine a ricevere questa alta onorificenza, venendo inoltre soprannominato Der Stier von Scapa Flow ("Il toro di Scapa Flow"): questo emblema venne verniciato sulla torretta esterna dell'U-47, e divenne l'emblema dell'intera 7a flottiglia di U-boat.

Ritornato in mare, Prien continuò a perlustrare l'Atlantico e ad affondare le navi mercantili alleate, venendo decorato, per i suoi successi, con le Fronde di Quercia della Croce di Cavaliere, nel 1940.

Morì, insieme a tutto l'equipaggio dell'U-47 nel marzo del 1941, poco dopo essere stato promosso Korvettenkapitän.

Sebbene fosse rimasto in mare per meno di due anni, Prien realizzò il record di affondamenti durante la Seconda guerra mondiale: in 238 giorni trascorsi in mare, affondò 30 navi nemiche per un tonnellagio complessivo di 193.808 t.

 
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TestaQuedra85
view post Posted on 22/1/2007, 18:30     +1   -1




IL MITO DEI MITI nessuno come lui... MAI
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Biografia

Nacque a Baden in Svizzera, e studiò chimica all'Università di Zurigo. Il suo principale interesse era la chimica di piante e animali, in seguito ha condotto importanti ricerche sulla struttura chimica della chitina, per la quale ha ricevuto il suo dottorato. Hofmann si unì al dipartimento chimico-farmaceutico dei Laboratori Sandoz, Basel (ora Novartis), studiando le piante medicinali scilla marina e segale cornuta come parte di un programma per purificare e sintetizzare i principi attivi per l'uso come farmaco.

Le sue ricerche sull'acido lisergico, il componente comune centrale degli alcaloidi della segale cornuta Ergot, condusse nel 1938 finalmente alla sintesi dell'LSD-25. Fu cinque anni dopo, ripetendo la sintesi della sostanza ormai quasi dimenticata, che il Dr. Hofmann scoprì gli effetti psichedelici dell'LSD dopo averne accidentalmente ingerito un po' dalle sue dita il 16 aprile 1943. Tre giorni dopo, il 19 aprile (dopo conosciuto come il Giorno della Bicicletta), Hofmann consumò deliberatamente 250 µg di LSD, e sperimentò effetti molto più intensi (vedi: LSD per dettagli). Questo fu seguito da una serie di auto-sperimentazioni condotte da Hofmann e i suoi colleghi. Scrisse per la prima volta circa questi esperimenti il 22 aprile.

Divenne direttore del dipartimento di prodotti naturali a Sandoz e continuò studiando le sostanze allucinogene trovate nei funghi Messicani e altre piante utilizzate dagli aborigeni. Questo portò alla sintesi della psilocibina, l'agente attivo di molti "magic mushrooms".

Hofmann si interessò anche ai semi della magica morning glory messicana (Rivea corymbosa), i cui semi sono chiamati Ololiuhqui dai nativi. Fu molto sorpreso trovando il componente attivo dei Ololiuhqui chimicamente molto simile all'LSD.

Nel 1962, lui e sua moglie Anita si spostarono in Messico per cercare la pianta magica Ska Maria Pastora (foglie della salvia dei veggenti), più tardi conosciuta come Salvia divinorum. Fu capace di ottenere campioni di questa pianta ma non riuscì mai a isolarne il principio attivo.

Hofmann è membro del Comitato per il Nobel, collega dell'Accademia Mondiale delle Scienze, membro della Società Internazionale sulla Ricerca delle Piante e della Società Americana di Farmaceutica.

Ha scritto oltre 100 articoli scientifici e ha scritto (o collaborato in) diversi libri, incluso LSD, My Problem Child, che fa parte di un'autobiografia e descrive il suo famoso giro in bicicletta.

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ButelFabio
view post Posted on 22/1/2007, 19:07     +1   -1




bella roba le droghe... ocio a non defungere però...
 
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TestaQuedra85
view post Posted on 22/1/2007, 20:14     +1   -1




pensaci te ad arrivare all'età di hoffman io ci farei la firma
 
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la peggio gioventù
view post Posted on 23/1/2007, 11:51     +1   -1




BERTO RICCI

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Avremmo voluto rispettare il desiderio dello scrittore fiorentino Berto Ricci il quale in un suo Avviso del gennaio 1932 scrisse: " Non son di nostro gusto gli anniversari, ne' i grandi ne' i piccoli ma ..." la grave situazione italiana e la ricerca di punti di riferimento teorici sicuri per costruire il futuro su solide basi dottrinali ci spingono a violarne il volere, per cercare nel suo pensiero spunti importanti, un esempio di stile da additare ai piu' giovani, oltre che a ricordarlo nella ricorrenza della scomparsa.

Egli influenzo' sensibilmente i giovani dell'epoca, in special modo Indro Montanelli, Romano Bilenchi e Vasco Pratolini, per i quali i suoi attesissimi Avvisi, pubblicati sull'Universale, erano " come una rivelazione destinata a trasformare il mondo ". La sua importanza e' riconosciuta anche da Benedetto Croce il quale nei Quaderni della Critica sottrae all'assoluto giudizio negativo sul Fascismo solo quei giovani fascisti alla Ricci cui " deve rendersi giustizia ".

Il suo anticonformismo piaceva - come confermo' Paolo Spriano - anche ai fuorusciti comunisti, tipo Ruggero Greco. I quali s'interessarono al professore fascista fiorentino che aveva voglia di rivoluzione, di scandalizzare i moderatiscrivendo che la Russia " con la rivoluzione dei comunisti ha fatto bene a se stessa " ed elogiava gli italiani che col Fascismo avendo dato una mazzata al liberalismo e a tutti i socialismi trasformisti, " non possono sentirsi piu' vicini a Londra parlamentare e conservatrice, che a Mosca comunista...L'antiroma c'e', ma non e' a Mosca. Contro Roma, citta' dell'anima, sta Chicago, capitale del maiale " e considerava il fascismo " borghese " come antifascismo bello e buono. Ma non si deve confonderlo con un bolscevico travestito, o un fascista di sinistra. Ricci sostenne che il Fascismo avesse bisogno sia di una fase di " destra ", che identifico' nella conquista dell'Impero, sia di una di "sinistra ", in cui prevalesse la spinta sociale. Il nemico numero uno, come scrisse nel 1939, " fu e resta il centro, cioe' la mediocrita' accomodante...Il centro e' compromesso, noi siamo per l'affermazione simultanea degli estremi, nella loro totalita' ". Egli era un convinto mussoliniano; esaltava la rivoluzione fascista come " premessa necessaria dell'Impero romano che realizzera' la Monarchia di Dante e il Concilio di Mazzini ".
Berto Ricci, all'anagrafe Roberto, nacque a Firenze il 21 maggio 1905 ed eroicamente morì da tenente delle Camicie Nere, XXVI Reggimento Artiglieria, III Gruppo IX Batteria, verso le nove del 2 febbraio 1941 a Bir Gendula, nel Gebel cirenaico, mentre cercava di far riparare i suoi uomini dal fuoco micidiale di due aerei Spitfire inglese. Alla maniera degli antichi eroi - secondo il suo amico Paolo Cesarini- " fu fulminato con il volto severo verso il cielo " mentre in piedi gridava: " A terra, a terra! "

Dopo un'iniziale militanza anarchica, nel 1930, fu conquistato dalla fede nel Fascismo, restando pervaso per tutta la feconda vita dall'entusiasmo del neofito. A Mussolini e al Fascismo Ricci arrivo' collaborando al Selvaggio, di cui non accettava l'antimodernismo reazionario, e frequentando l' ambiente di Strapaese. " Toscanaccio " tra " toscanacci " non poteva che apprezzare il fascismo rude, popolare e intransigente delle " squadre " che sognavano la " seconda ondata ".

Rinunciando ai molti vantaggi che il suo prestigio intellettuale e i suoi legami con il Partito potevano procurargli resto'militante tra i militanti, mantenendo la famiglia con il modesto stipendio di insegnante di matematica nei Regi Istituti Tecnici Industriali Statali di Prato e " V.E. III " di Palermo, perche'‚ come scrisse Diano Brocchi " si rifiuto' di campare della sua arte di scrittore per paura che il mestiere riuscisse ad influire su cio' che andava scrivendo in giornali e riviste del Regime ".

Anche per Ricci si potrebbero ripetere le parole dette da Leonardo da Vinci dopo la morte di un altro giovane eroe: " Mai cieco ferro al mondo tronco'piu' grande speranza ". Infatti, il giovane polemista fiorentino fu una delle piu' promettenti speranze della generazione venuta all'impegno dopo la tempesta della I Guerra Mondiale. Essi aspirarono ad essere degni dei fratelli maggiori o dei padri che l'avevano combattuta e vinta, morendo se la Patria ne avesse avuto bisogno, o partecipando alla edificazione dello Stato fascista con l'impegno intellettuale, di cui rivendicarono una larga autonomia. Egli chiese ai giovani intellettuali di misurarsi con tre storici problemi della societa' italiana: questione religiosa, formazione di una nuova classe dirigente e riforma del costume.

Berto Ricci appartenne ad una covata d'intellettuali militanti, fascisti eretici e puri, come ad esempio Carlo Roddòlo, Guido Pallotta e Niccolo Giani, che raccolti attorno alle riviste giovanili, L'Italiano, Selvaggio, Cantiere, Vent'anni, Bargello, portarono una ventata di giovinezza e d'anticonformismo nel Fascismo, ormai diventato Regime e sempre piu' preda del gerarchismo, i cui malefici frutti si vedranno il 25 Luglio 1943.

La sua passione piu' viva e profonda fu forse l'attivita' letteraria. Ma l'impegno giornalistico, unito all'insegnamento, seriamente esercitato per tutta la vita, ci lasciano di lui poche opere: Poesie e Corona Ferrea, due raccolte di versi pubblicate rispettivamente nel 1930 e nel 1933; intramezzate dallo Scrittore Italiano, edito nel 1931, e della contemporanea traduzione del Vicario di Wakelfield di O. Goldsmith. Il Meglio del Petrarca, un'antologia del 1928, fu la sua prima opera. Colto umanista tradusse Ovidio e Shakespeare. Nei numerosi articoli sulle espressioni della letteratura europea contemporanea fu avvantaggiato dal conoscere il francese, il tedesco, il portoghese e l'inglese.

Nel libro Lo Scrittore italiano, oltre ad una serie di considerazioni sull'arte e sugli scrittori, volle fornire un modello, umano e politico oltre che artistico, agli intellettuali fascisti o italiani, termini considerati da Ricci come due sinonimi.

L'importanza di Ricci è dovuta, principalmente, alla pubblicazione dell'Universale, che ebbe come " padre spirituale " Ottone Rosai. Il bimensile, un " fascicolo di 30 pagine, scritto col fuoco, alla carducciana e non con lo stile alla leopardevole; fu fondato " con la volonta' di agire sulla storia italiana ". Il periodico, " segui Rosai. Il poeta stampo'il foglio credendo " che attraverso i suoi errori, le sue contraddizioni, l'Universale espresse con le sue idee, anzi con la sua esistenza, una verita' fondamentale: la necessita' per gli artisti e per gli scrittori italiani, di partecipare alla vita italiana "... senza " isolette oceaniche e paradisi artificiali " volendo " portare un contributo alla storia in atto ". La rivista, che ebbe vita breve e difficile, usci' dal 3 gennaio 1931 al 25 agosto 1935.

Il professore e i suoi ragazzi pensavano, secondo Montanelli che: " il fascismo, da quella mezza burla che era stato sino ad allora, poteva trasformarsi in una rivoluzione vera solo se riusciva a costruire un nuovo tipo d'italiano: quello per il quale Ricci - piu'che a fornire idee - bado' a fornire un esempio a chi gli stava intorno, e ci riusci' ". Collaborarono al bimensile, tra gli altri, Roberto Pavese, detto il filosofo, Indro Montanelli, Romano Bilenchi, che fu il piu' vicino collaboratore di Ricci e che lo sostituì nella direzione del periodico dal giugno all'agosto 1935, Ottone Rosai, Edgardo Sulis, Dino Garrone, Diano Brocchi e Camillo Pellizzi. Da questa covata, fu compiuto l'estremo tentativo di una minoranza di giovani intellettuali d'inserirsi, incidendovi, nella vita italiana. Lo scrittore fu aiutato, come giudicò Montanelli, dalla " sua prosa polemica cosi' asciutta e tagliente, e cosi in contrasto con lo stile del tempo, " che " la letteratura giornalistica italiana non ne ha mai avuta di tanto stringente, dura e, qua e la', spavalda ".

Farinacci dalle pagine del cremonese Regime Fascista accuso'Ricci di " bolscevismo " a causa di due Avvisi del febbraio 1932 in cui si lamentava " l'ozio di una parte della classe ricca, sia borghese che aristocratica, " alla quale ultima " qualche chiappafumo s'impunta a assegnarle in teoria prerogative da medioevo ". Inoltre, i suddetti ceti venivano imputati di " criminosa diserzione " nella difficile situazione economica del periodo e ammoniti che: " La proprieta'inviolabile non e' affatto un principio dello Stato fascista, che ha dimostrato di saper colpire anche la proprieta' in nome della Patria. La proprieta' inviolabile e' un dogma liberale non fascista, inglese e non romano: da noi proprietario e'depositario e non altro...[la storia italiana ] e' storia di spogliazioni compiute dallo Stato per il popolo ".

In un Avviso dell'ottobre 1932, si dichiaro' " non entusiasta " del concetto di Corporazione Proprietaria, esposto da Ugo Spirito durante il Convegno di Ferrara.

Nel gennaio 1933, il professore e i suoi sottoscrissero un Manifesto Realista in cui definirono il " marxismo incompatibile con la natura umana e soprattutto con la natura italiana ", e teorizzarono che: " Il tramonto inarrestabile del sistema liberale esiga da una parte l'eticita' dell'economia, dall'altra la graduale partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende e la fine d'ogni proletariato. Ritengono che la societa' futura avra' a fondarsi sul dovere del lavoro e sul diritto del produttore alla proprieta' nei limiti utili allo Stato; e che il diritto di proprieta' e quello d'eredita' siano buoni in quanto servono allo Stato, nocivi in quanto non concordano coi suoi fini; che l'iniziativa individuale sia da favorirsi oppure da limitarsi e reprimersi secondo lo stesso criterio ". La rivista fu intransigente contro i tentativi di reinserimento nella vita politica compiuti dai vecchi sovversivi dell'Italia prefascista. Per l'opposizione d'Alessandro Pavolini, in quel periodo " federale " di Firenze, Ricci avra'la tessera del P.N.F. solo nel febbraio del 1934, dopo tre anni di successi de l'Universale.

Allo scoppio del conflitto italo-etiopico, Ricci, che aveva definito la guerra " madre della civilta' " e teorizzato che " non c'e' rivoluzione fascista senza impero ", lascio' la moglie, la figlioletta di appena due anni e l'insegnamento, per combattere, col grado di scelto, nella I Divisione delle Camicie Nere.

L'Universale diede " dodici combattenti per l'Impero; un caduto, medaglia d'argento Roddolo, un mutilato, medaglia di bronzo Cesarini ".

Gli Avvisi piacquero molto al Duce che invito' la covata dello scrittore fiorentino," antidealista ed antigentiliana "a portare una ventata di aria frizzante di gioventu' tra le polverose stanze de Il Popolo d'Italia. Gli alti papaveri del Regime fecero naufragare l'iniziativa. Lo stesso Mussolini, che apprezzava il fiorentino considerandolo quasi il prototipo dell'italiano nuovo nato dal Fascismo, approvo' l'iniziativa di affidargli un giornale, ma il progetto sfumo' nei meandri del MINCULPOP, in quel periodo impegnato nella ricerca di eretici o infiltrati nelle riviste giovanili. La ritrosia di Ricci,cui pesava chiedere le cose piu' di una volta, e la vincita di un concorso alla cattedra di matematica a Palermo fecero naufragare definitivamente il progetto della Tribuna dell'Universale.

Il trasferimento in Sicilia, accettato a malincuore dal giovane reduce, non interruppe la sua partecipazione alla vita politica e culturale attraverso le stoccate pubblicate sulla rivista di Giuseppe Bottai Critica Fascista ed ad articoli sul giornale mussoliniano Popolo d'Italia. Dal 30 gennaio al 15 settembre 1937, Ricci insegnò matematica presso il Regio Istituto Tecnico Industriale " Vittorio Emanuele III " di Palermo. Critico severo delle degenerazioni cattoliche della religione di Cristo, la cui decadenza " impone ormai...di risorgere o morire ", e del lento procedere verso la costruzione dello Stato Nazionale del Lavoro, Ricci diede del Fascismo un'interpretazione che si rifaceva a tratti a Mazzini, criticando la scelta monarchica del 1922.

Nell'importante lettera circolare ai collaboratori del 3 aprile 1938 scritta per annunciare la rinascita del periodico, affermò che: " Bisogna preparare la liberta' fascista ", e che il Fascismo, dopo aver dato agli italiani il senso dello Stato, doveva educare il popolo alla vera libertà e alla partecipazione alla vita pubblica ed espresse il suo " rispetto e simpatia alla Nazione tedesca e alla rivoluzione nazionalsocialista; avversione assolutaall'ideologia razzista e specialmente a qualunque sua infiltrazione in Italia ".

Allo scoppio della II Guerra Mondiale riusci, dopo "aver scocciato mezza Italia " e aver scritto " venti lettere per farsi richiamare e venti ... per farsi trasferire ... ad una destinazione piu' guerriera da un accampamento a pochi chilometri da casa " a farsi mandare sul fronte marmarico,dove cadde mentre combatteva, da volontario in camicia nera, gli " inglesi di fuori ", pensando di risolvere a guerra finita i conti con " gli inglesi di dentro ". Per Ricci, come scrisse in una lettera del 14 gennaio 1941 al pittore e scrittore Nino Bertocchi, la vittoria doveva essere " davvero imperiale e innanzi tutto morale e civile ". In tal modo smentendo le tesi di Ruggero Zangrandi e di Romano Bilenchi, con cui aveva gia' chiuso da tempo, che per sminuire i loro voltafaccia post bellici parleranno poi del gesto del volontario Ricci in termini di " consapevole suicidio " o di un Ricci che sopravvissuto sarebbe diventato comunista. Il quale nel suo ultimo incontro con Montanelli disse che il problema di una sua conversione per lui non si poneva in quanto: " Sono già convertito - ricordando la sua giovanile militanza anarchica - non posso riconvertirmi per la seconda volta. Sarebbe una arlecchinata ".

Confusa fra tante appare la sua tomba nel sacrario dei caduti d'Oltremare di Bari, l'iscrizione " (Ro) Berto Ricci " e la data della sua morte. Vergognosamente l'amministrazione comunale di Firenze cancello', nel 1948, una via a lui dedicata.
 
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Testolina
view post Posted on 23/1/2007, 13:24     +1   -1




CITAZIONE (TestaQuedra85 @ 22/1/2007, 18:30)
IL MITO DEI MITI nessuno come lui... MAI
(IMG:http://www.etnopsico.org/img/Hofmann_honor.jpg)


Biografia

Nacque a Baden in Svizzera, e studiò chimica all'Università di Zurigo. Il suo principale interesse era la chimica di piante e animali, in seguito ha condotto importanti ricerche sulla struttura chimica della chitina, per la quale ha ricevuto il suo dottorato. Hofmann si unì al dipartimento chimico-farmaceutico dei Laboratori Sandoz, Basel (ora Novartis), studiando le piante medicinali scilla marina e segale cornuta come parte di un programma per purificare e sintetizzare i principi attivi per l'uso come farmaco.

Le sue ricerche sull'acido lisergico, il componente comune centrale degli alcaloidi della segale cornuta Ergot, condusse nel 1938 finalmente alla sintesi dell'LSD-25. Fu cinque anni dopo, ripetendo la sintesi della sostanza ormai quasi dimenticata, che il Dr. Hofmann scoprì gli effetti psichedelici dell'LSD dopo averne accidentalmente ingerito un po' dalle sue dita il 16 aprile 1943. Tre giorni dopo, il 19 aprile (dopo conosciuto come il Giorno della Bicicletta), Hofmann consumò deliberatamente 250 µg di LSD, e sperimentò effetti molto più intensi (vedi: LSD per dettagli). Questo fu seguito da una serie di auto-sperimentazioni condotte da Hofmann e i suoi colleghi. Scrisse per la prima volta circa questi esperimenti il 22 aprile.

Divenne direttore del dipartimento di prodotti naturali a Sandoz e continuò studiando le sostanze allucinogene trovate nei funghi Messicani e altre piante utilizzate dagli aborigeni. Questo portò alla sintesi della psilocibina, l'agente attivo di molti "magic mushrooms".

Hofmann si interessò anche ai semi della magica morning glory messicana (Rivea corymbosa), i cui semi sono chiamati Ololiuhqui dai nativi. Fu molto sorpreso trovando il componente attivo dei Ololiuhqui chimicamente molto simile all'LSD.

Nel 1962, lui e sua moglie Anita si spostarono in Messico per cercare la pianta magica Ska Maria Pastora (foglie della salvia dei veggenti), più tardi conosciuta come Salvia divinorum. Fu capace di ottenere campioni di questa pianta ma non riuscì mai a isolarne il principio attivo.

Hofmann è membro del Comitato per il Nobel, collega dell'Accademia Mondiale delle Scienze, membro della Società Internazionale sulla Ricerca delle Piante e della Società Americana di Farmaceutica.

Ha scritto oltre 100 articoli scientifici e ha scritto (o collaborato in) diversi libri, incluso LSD, My Problem Child, che fa parte di un'autobiografia e descrive il suo famoso giro in bicicletta.

(IMG:http://lacajanegra.blogia.com/upload/20060...17-hoffman1.jpg)

se non sbaglio ci sono anche gli acidi a nome suo :woot: :wacko: :ph34r: :huh: :o: :P :) :blink: :unsure: -_- :D ;) :*flirt*: :*censured*:
 
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- Il Brigante -
view post Posted on 23/1/2007, 15:50     +1   -1




PREMETTO CHE CIO' CHE HO TROVATO E' UN PO' DI PARTE... TIPO L'INFONDATA AFFERMAZIONE DELL'ODIO DI STALIN VERSO DI LUI... E DEL SUO APPORTO AGLI ALLEATI... LUI COMBATTEVA PER L'UNIONE SOVIETICA CERTO NON PER GLI USA....
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Georgij Konstantinovič Žukov (russo: Гео́ргий Константи́нович Жу́ков) (Strelkovka, governatorato di Kaluga, 1 dicembre 1896 [calendario gregoriano]; 19 novembre 1896 [calendario giuliano] - Mosca, 18 giugno 1974), generale e politico sovietico, è noto per aver condotto, durante la Seconda Guerra Mondiale, l'Armata Rossa alla liberazione dell'Unione Sovietica dall'occupazione nazista, all'occupazione della maggior parte dell'Europa Orientale ed alla conquista della capitale tedesca, Berlino.
Partecipò al primo conflitto mondiale come soldato di cavalleria. A causa dell’abbandono della guerra della Russia, Žukov si vide obbligato ad arruolarsi nell’Armata Rossa, durante la rivoluzione, come comandante di squadrone nella I armata di cavalleria.
Comandante di reggimento di cavalleria nel 1925, nel 1933 fu posto alla testa della IV divisione cosacchi del Don.
Nel 1937 ebbe il comando del VI corpo d’armata cosacchi. Nel 1939 fu spedito in Estremo Oriente per organizzare e comandare la guerra di frontiera in Mongolia, che si concluse con la pesante sconfitta delle forze giapponesi (vedi la voce, Guerra russo-giapponese) .
Grazie a questa importante vittoria, Žukov divenne un personaggio militare affermato al livello nazionale e stimato dai vertici dello stato maggiore. Nel 1940 infatti fu nominato comandante del distretto militare di Kiev e più tardi capo di Stato Maggiore generale. In qualità di generale di SM collaborò attivamente assieme al generale Timosenko, con il quale seppe riorganizzare al meglio la sfoltita e dimessa Armata Rossa.
Nel 1941 poiché in contrasto con Stalin sulla necessità di abbandonare Kiev, a causa dell’invasione nazista, venne esonerato dal compito di generale di Stato Maggiore, restando tuttavia membro dello stesso, divenendo comandante del fronte di riserva. In tale nomina riuscì, nonostante tutto, a bloccare, al fronte del settore di Smolensk, l’inesorabile avanzata delle forze tedesche che puntavano su Mosca.
L’8 settembre 1941, perse su di sé il comando del fronte di Leningrado e nell’ottobre dello stesso anno assunse il comando di tutto il fronte occidentale riuscendo a imporre una quasi definitiva battuta d’arresto alle truppe tedesche e a difendere magistralmente Mosca.
Dopo altri contrasti con Stalin e conseguenti declassamenti, emerse nuovamente, riuscendo ad organizzare, in condizioni del tutto sfavorevoli, la difesa di Stalingrado ed il successivo contro attacco grazie a cui l’Armata Rossa riuscì ad annientare in maniera definitiva la VI armata nazista di Friedrich Paulus.
Nel luglio del 1943, ritrovato slancio e potenza, l’Armata Rossa sotto il comando dell’inesauribile generale Žukov, poté al fronte del settore di Kursk ed in varie successive offensive, sconfiggere le provate forze tedesche e liberare l’intera Russia Bianca, l’Ucraina ed infine la Bulgaria (solo nel agosto del 1944) dall’occupazione dell’esercito di Hitler. Nel settembre del 1944 fu inviato in Polonia a combattere nel saliente di Varsavia. Il 15 novembre ebbe il comando di condurre la definitiva operazione che avrebbe portato alla conquista di Berlino. Mentre inglesi, canadesi e americani avanzavano dalla Francia, conquistando il lato ovest della Germania, Žukov varcato l’Oder, batté gli americani sul tempo conquistando per primo una Berlino in macerie.
L’8 maggio 1945 ricevette la dichiarazione di resa di tutte le forze armate tedesche firmata dal rappresentante Keitel.
Dopo ciò fu nominato comandante delle truppe sovietiche in Germania; a cause delle crescenti ostilità con Stalin (tanto forti da spingere Stalin a mettere sotto indagine della NKVD, la polizia segreta, lo stesso generale), il quale temeva Žukov poiché lo vedeva come un pericoloso concorrente del favore popolare, fu destinato a incarichi di scarsa importanza.

Ministro della difesa nel 1955, sotto il governo Krusciov fu inspiegabilmente destituito nel 1957. Visse quindi come semi-recluso e lontano dalla vita pubblica fino al 9 maggio 1965. Per il ventesimo anniversario della resa tedesca, avvenuta l’8 Maggio 1945, in occasione delle celebrazioni ufficiali fu invitato ad un banchetto al Cremlino da Leonid Breznev. Dopo quest'avvenimento, pur essendo stato riabilitato ufficialmente, non ricomparve più in pubblico fino alla sua morte. Zukov è considerato uno fra i più grandi strateghi della seconda guerra mondiale; decisivo il suo apporto alla vittoria in favore degli Alleati.

BOGDANOV
(visto che era uscito fuori definito non marxista in un intervento in manifesti...)

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Aleksandr Aleksandrovic Malinovskij, conosciuto con lo pseudonimo di Bogdanov, una delle figure di maggior rilievo del marxismo russo e la più influente “alternativa” a Lenin nell’ambito del bolscevismo, nacque a Sokolka, nel governatorato di Grodno il 10 (22) agosto 1873.
Nel 1892 entrò alla facoltà di fisica e matematica dell'università di Mosca. I suoi studi si intersecarono presto con una intensa attività politica che gli costò l'arresto nel 1894 e, poco tempo dopo, l'esilio a Tula.
Dal 1896 fu impegnato in azioni di propaganda politica tra le fila degli operai e pubblicò la sua prima opera Breve corso di scienza economica. Nel 1899 concluse gli studi laureandosi in medicina all'università di Char'cov (Ucraina) ma venne nuovamente arrestato per le sue attività propagandistiche. Si spostò a Kaluga, quindi a Vologda dove lavorò come medico presso l'ospedale psichiatrico locale.
Divenne membro del partito socialdemocratico russo(RSDRP). Dopo aver aderito al bolscevismo nel 1903, si recò sulle montagne svizzere a trovare Lenin, il quale apprezzò particolarmente quella visita che gli assicurava un appoggio qualificato. I suoi lavori teorici e filosofici gli assicurarono una grande notorietà anche tra i più illustri scrittori russi dell'epoca.
Al III congresso del partito socialdemocratico fu eletto membro del comitato centrale e responsabile delle sezioni letterarie. Bogdanov avvicinò a Lenin altri amici con i quali era in contatto, che poterono garantire nuovi mezzi finanziari e l'accesso agli ambienti intellettuali russi. Già nello stesso anno la polizia dello Zar segnalava Bogdanov e Lenin come i due rivoluzionari “piu’ pericolosi in assoluto”. Insieme, uno in Russia e l’altro dalla Svizzera, guidarono la neonata fazione dei bolscevichi durante la Rivoluzione del 1905, quando divenne rappresentante del Comitato centrale nel Soviet dei deputati operai.
Nel 1909 tuttavia Bogdanov, che nei tre volumi dell’opera Empiriomonismo (1903-07) aveva proposto una rifondazione delle basi filosofiche del marxismo tramite una sintesi con la critica gnoseologica di Mach (L’empiriocriticismo), fu personalmente attaccato dal leader bolscevico con la pubblicazione di Materialismo ed empiriocriticismo, ed espulso come capo della tendenza "boicottista" all’interno del partito.
L'ostilità di Lenin verso Bogdanov si accentuò su questioni fondamentali quali, ad esempio, la diversa concezione del ruolo guida degli intellettuali, sostenuta dal primo ma osteggiata dal secondo che invece incoraggiava la classe dei lavoratori a provvedere autonomamente alla propria istruzione, o la differente teorizzazione delle idee socialiste.
Quando Maxim Gorkij invitò nella sua villa a Capri sia Bogdanov sia Lenin, quest'ultimo in un primo momento rifiutò, poi nel 1908 accettò l'invito. I due riuscirono così, per un pò di tempo, a ricreare un'atmosfera piuttosto cordiale, evitando di parlare di politica e giocando a scacchi.
I rapporti personali tra i due si ruppero definitivamente nel febbraio dell'anno successivo, quando Lenin attaccò duramente la linea politica di Bogdanov anche sul piano filosofico, accusandolo di essere un relativista e di aver tradito i precetti fondamentali del marxismo. Ciò comportava automaticamente la rottura con i bolscevichi.
Aleksandr Bogdanov, sostenitore della necessità, dovuta alla soppressione dei partiti politici da parte dello zarismo, di agire esclusivamente attraverso organizzazioni illegali, organizzò le prime scuole di partito a Capri (agosto-dicembre 1909) e a Bologna (novembre 1910-marzo 1911), con lo scopo di formare "quadri permanenti di estrazione operaia”, secondo una formula che lo stesso Lenin si affrettò a imitare (con la scuola di Parigi, nel 1911).
Nel dicembre 1910 fondò il Gruppo letterario “Vpered!” (Avanti), di fatto un’autonoma frazione all’interno del POSDR. Nel 1907 e nel 1911 videro la luce anche due curiosi romanzi a sfondo politico, La stella rossa e L’ingegner Menni, che rispecchiavano la filosofia dell'autore anche in campo economico e culturale.
Dopo la Rivoluzione del 1917 divenne organizzatore e leader del movimento Proletcult (contrazione di Proletarskaya Kul’tura “Cultura proletaria”), volto a promuovere una cultura e una scienza di educazione per gli operai, alternative a quella borghese, che facesse da antidoto alle forme più bestiali dell'autoritarismo. Dal primo gruppo organizzato di scrittori-operai uscì una nutrita schiera di poeti: Gastev, Gerasimov, Kazin, Obradovic.
Per qualche anno ricoprì importanti incarichi in varie istituzioni sovietiche e dell’Internazionale comunista (fu membro della presidenza dell'Accademia comunista), ma lasciò la politica nel 1921 per dedicarsi alle scienze e alle ricerche ematologiche. A metà degli anni venti fondò il primo Istituto Accademico Statale per le trasfusioni di sangue, di cui nel 1926 divenne direttore.
Bogdanov fu “lo scrittore di gran lunga piu’ produttivo e popolare della socialdemocrazia russa”, insieme a Plechanov, non condivise la Rivoluzione d’Ottobre e arrivò anche a subire anche un arresto nel 1923. Fra il 1913 e il 1929 vennero pubblicate quattro successive edizioni della Tektologija (o scienza generale dell’organizzazione), monumentale opera filosofica in cui l'autore espone una sorta di teoria generale della natura, della società e dell’ideologia. Sono degne di memoria anche le opere: Filosofia dell'esperienza viva (1913) e Saggi della scienza organizzativa universale (1921).
Morì in circostanze non del tutto chiare, vittima di un esperimento condotto su se stesso, nel 1928 a Mosca.
 
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mok 88
view post Posted on 24/1/2007, 11:32     +1   -1




Caponnetto


Entrò in magistratura nel 1954, la sua carriera ebbe una svolta nel 1983 quando ottenne il trasferimento a Palermo, successivamente all'uccisione di Rocco Chinnici capo dell'Ufficio istruzione di Palermo. Seguendo la strategia studiata da Giancarlo Caselli per la lotta al terrorismo, realizzò un gruppo di magistrati con il compito di occuparsi a tempo pieno solo della lotta alla mafia. Il pool, che vide la partecipazione di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Giuseppe Di Lello e Leonardo Guarnotta, istruì il primo grande processo contro la mafia e si servì delle dichiarazione di pentiti come Tommaso Buscetta.

Concluse la sua carriera nel 1990 e dovette assistere alla morte prima di Falcone e poco dopo di Borsellino, assassinati dalla mafia. Da allora, finché poté, si dedicò in un opera di testimonianza contro l'illegalità. Nel 1993 fu candidato per la Rete all'elezioni amministrative di Palermo, divenendo così presidente del consiglio comunale.

Cittadino onorario di Palermo e Catania, presidente del consiglio comunale del capoluogo siciliano per un breve periodo, per tre volte è stato candidato a senatore a vita con raccolte di firme. A fargli gli auguri per i suoi 80 anni, anche il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.

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