| NESTOR COMBIN Ciao Gigi, oggi il pensiero che ti dedico tutte le mattine lo voglio rendere pubblico. Non arrabbiarti, amico mio, ma ci tengo a rompere questo piccolo patto perché oggi tutti devono avere un pensiero per te. Quel 15 ottobre di 40 anni fa non ha cambiato solo la mia vita, ma anche quella di tante persone che ti amavano e ti stavano vicine. Il mio abbraccio più forte va sempre a tua sorella Maria e a Cristiana, la donna della tua vita: il loro dolore rimbomba ancora nel mio cuore e la cicatrice di quella domenica sera mi fa sempre male.
Eravamo contenti, Gigi. Io avevo segnato tre gol alla Sampdoria e tu eri stato protagonista assoluto: era forte quel Toro e quante risate alla cena nella sede di corso Vittorio Emanuele. Eravamo seduti vicino, tu sorridevi e mi dicesti: «Domenica c'è il derby, secondo me segni di nuovo tre gol». Mi misi a ridere e a prenderti in giro: «Guarda che tre gol è un evento nel calcio, mica si possono fare sempre. E poi contro la Juve sarebbe come un miracolo». Tu, però, insistevi ed eri sicuro della mia tripletta. Sto ancora male se penso a quelle ultime parole, perché furono le ultime che ci scambiammo. Dopo cena tu volevi andare ancora in un bar sotto casa con Poletti, mentre io volevo rivedermi i tre gol alla «Domenica Sportiva». Ero tranquillo, in pigiama sul divano, quando un giovane giornalista venne a cercarmi per darmi la notizia più brutta del mondo. Andai subito all’ospedale, c'era confusione e non volevano fare entrare Cristiana perché non era tua moglie. Io mi arrabbiai, spinsi tutti via, sfondai le porte e corsi verso la tua stanza. Capii subito la gravità e un infermiere ci disse che non c'era più nulla da fare.
Tu eri morto. Io anche. Piangevo e soffrivo, non dormii per giorni e non mi allenavo più. Fabbri cercava di farmi reagire, ma io il derby non volevo giocarlo. Il presidente Pianelli mi parlò a lungo ed io al tuo funerale avevo promesso ai tifosi di ricordarti segnando alla Juve che ti voleva portare via. Ma ero distrutto. Scesi lo stesso in campo, avevo 39° di febbre, e segnai quella tripletta che tu avevi previsto sette giorni prima. Tutto lo stadio era una lacrima e tu eri dentro di me ad aiutarmi. Piango ancora adesso, Gigi. Tu eri il mio fratello minore: gli avversari ti picchiavano ed io ti difendevo perché tu non dicevi mai nulla. Tutti ti criticavano perché non capivano la tua intelligenza ed io mi divertivo come un matto a parlare con te e ad uscire insieme.
Mi manchi, Gigi. Quando ti ho visto su quella foto gigante al Comunale, nel giorno del Centenario del Toro, ho sorriso e ti ho sentito di nuovo al mio fianco. Salutavo i tifosi con il numero 3 e tutti erano impazziti di gioia. Ti ricordano con tanto affetto a Torino e sono sicuro che anche da Lassù stai guardando le partite. Due domeniche fa i granata hanno proprio vinto contro la Sampdoria, come 40 anni fa. Sei tu che hai aiutato Corini a spingere il pallone in rete, vero? Allora grazie Gigi: sei sempre il migliore e uno dei nostri.
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